Che cosa frena la transizione ecologica in Italia?

scritto da il 15 Ottobre 2024

Post di G. Tiziana Gallo, progettista e pianificatrice esperta di rigenerazione urbana –

La progettazione green e sostenibile in Italia è certamente in crescita.

Ma siamo all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte e del livello degli altri Paesi europei?

La realtà è che se parliamo di grandi numeri, i Comuni italiani fanno fatica a proporre progettualità in grado di rispondere a questi standard.

Ma qual è il problema più grande che genera questo risultato?

La risposta è che non c’è presso i tecnici una consapevolezza a livello disciplinare e tantomeno di competenze professionali diffuse, tale da produrre massa critica per generare un vero cambio di passo nelle città. Dove i progetti si realizzano.

Questo determina che spesso il tipo di progettualità che si continua a sviluppare in molte città è obsoleta, ossia legata a una crescita infinita e priva di logica, che continua a consumare suolo e abbattere alberi o a proporre modelli senza alcun impatto reale, dando origine al fenomeno del greenwashing, su cui la stessa Commissione Europea ha deciso di intervenire con apposita norma.

Va detto che i primi ad essere danneggiati da tutto questo sono i “clienti” pubblici o privati, perché si trovano ad investire in progettualità che non solo non mantengono le promesse iniziali, ma che non vincono finanziamenti europei, né vengono finanziati dalle banche.

E i cittadini spesso sono in prima linea nella denuncia di questo sistema, perché hanno compreso il valore di progetti “green e sostenibili”, gli unici in grado di garantire un futuro a loro stessi e alle nuove .

Le proteste dei giovani a livello nazionale e i continui scontri fra comitati e pubbliche amministrazioni ne sono testimonianza, basta aprire i giornali.

Quindi è necessario un cambio di passo, anche perché è in atto una grande accelerazione.

Transizione ecologica

Designed by Freepik

Ed ecco che nove città italiane hanno aderito al Climate City Contract Europeo, ossia si sono impegnate a raggiungere la neutralità climatica entro il 2030.

Poco realistico? Forse.

Di sicuro occorre una accelerazione, a cui il mondo delle professioni italiano è poco preparato, rischiando ancora una volta di vedere fallire le ambizioni delle amministrazioni pubbliche più evolute.

Infatti il mondo della progettazione green, ha una difficoltà aggiuntiva, che la rende molto differente da tutto ciò a cui la progettazione è stata abituata fino a ieri.
Ossia la misurabilità delle performance.

Un progetto green deve dimostrare nei numeri di esserlo.

Non basta “un aspetto gradevole” o nomi altisonanti di chi progetta o investe. Un progetto o è green o non lo è. O rispetta i parametri del sistema ESG Agenda 2030, o non viene finanziato.

Tutto questo non può essere improvvisato facendo qualche lezione in corsi privati online.

Ci vuole vera competenza, vera preparazione anche teorica, su tutto ciò che sottende un vero e proprio modo nuovo di progettare la città.

Milano, in particolare, ha impostato un lavoro sul Climate City Contract estremamente serio, che dimostra uno sguardo evoluto su questi temi presentato durante la Milano Green Week 2024, e che oltre a ipotizzare interventi sulla città che possono realmente aspirare al carbon neutral entro il 2030 (ci si propone di ridurre l’inquinamento e la produzione di CO2, oltre che assorbirla piantumando nuovi alberi) ha costruito contestualmente partnership pubblico-private con i più grossi gruppi del real estate, municipalizzate e società in-house, terzo settore, associazionismo, università, banche e fondazioni bancarie. Tutti uniti verso lo stesso obiettivo.

Transizione ecologica

Designed by Freepik

Questi obiettivi rispondono anche alle richieste dei cittadini per una migliore qualità dell’aria e della vita in città. Apre contestualmente a una enorme possibilità di lavoro per tutto il comparto edilizio. Ma sui grandi numeri decisamente non siamo pronti.

Mancano professionisti sul mercato?

La risposta vera è. Ci sono ma non hanno potere decisionale.

Certo perché i più impegnati e competenti nel settore della sostenibilità sono i giovani e fra di loro le donne. E qui si evidenziano i due più importanti problemi del mondo delle professioni, che sta opponendo una grande inerzia al cambiamento:

– I giovani non riescono a portare il loro fattore di innovazione perché spesso relegati a ruoli secondari e sottopagati.

– Il numero di donne a capo di studi e società di progettazione e al governo degli ordini professionali in posizioni apicali è bassissimo, mentre il gender pay gap si attesta intorno a 30%. Come evidenzia questa analisi del CNAPPC.

Ne deriva che i primi attori del cambiamento in tal senso devono essere gli ordini professionali e le università, che devono urgentemente sviluppare dei protocolli di intesa per imparare facendo e per sviluppare sempre più master professionalizzanti che sviluppino tali competenze, cercando di produrre una rapida accelerazione. Lo chiede il mercato, tanto in ambito pubblico che privato.

Lo possono fare a partire dalla applicazione dei goal agenda 2030 in tutti i loro protocolli, scegliendolo e non aspettando l’obbligo di legge.

Nove città italiane oggi stanno sognando. Non vi è nessun obbligo di legge. Accettano la sfida: lo fanno per scelta. Dando un chiaro messaggio a tutti noi del mondo delle professioni e della conoscenza.

Le sfide che abbiamo di fronte non ci permettono di aspettare che il sistema si adegui. Siamo noi che dobbiamo produrre il cambiamento nel sistema. Lo stanno facendo in realtà, in progetti reali, anche realtà molto più piccole. I piccoli borghi italiani, su progetti veri.

Un bellissimo esempio è dato dai giovani amministratori del Comune di Gradara, che hanno scelto di spostare edificabilità residenziale in aree già sviluppate, per realizzare in aree di valore, sotto il profilo paesaggistico e ambientale, un parco con servizi rivolti ai cittadini, potenziando l’offerta turistica green e creando posti di lavoro in questo piccolo borgo.

Questo apre la partita per tutti i comuni Italiani. Perché se per propria scelta lo può fare il Comune di Gradara, piccolo borgo marchigiano di 4mila abitanti, allora, imparando e con i giusti tecnici a supporto, possono farlo tutti.

Generiamo tutti insieme questo necessario e intelligente cambio di passo. Portando chi detiene attualmente le maggiori competenze a metterle al servizio del Paese, in un momento in cui, decisamente, ne ha bisogno.

LEGGI ANCHE: Milano, Pianura Padana e inquinamento: possiamo farcela?