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Concordato preventivo, scommessa o grande occasione?
Post di Francesco Ricci, commercialista e co-founder di Startax, servizio in digitale per il supporto fiscale, finanziario e legale dedicato alle startup –
Entro il prossimo 31 ottobre si potrà decidere se aderire, ma il contribuente rischia di rimanere in balìa tra benefici e criticità senza la giusta consulenza. I dati dell’ultimo aggiornamento della relazione annuale sull’evasione e sull’economia non osservata, rivelano come manchino all’appello oltre 83,6 miliardi tra tasse e contributi.
Ecco, quindi, l’idea di riproporre – in una nuova veste – uno strumento già varato agli inizi degli anni 2000 dal ministro Tremonti: il concordato preventivo biennale (CPB), volto, almeno nelle intenzioni, a migliorare il gettito fiscale e a semplificare il rapporto tra Fisco e contribuente.
In sintesi, il contribuente potrà decidere di aderire alla proposta formulata dall’Agenzia delle Entrate, definendo in anticipo il reddito imponibile per le annualità 2024 e 2025 (per i forfettari solo per il 2024). Si può accedere con specifici requisiti. Tra gli altri: non avere debiti fiscali rilevanti, essere in regola con le dichiarazioni dei redditi e non aver subito condanne per reati fiscali o societari.
Il concordato preventivo biennale potrebbe, a prima vista, essere paragonato ad una scommessa: se il reddito annuale supera la base concordata, il contribuente beneficia di una imposizione fiscale inferiore. Al contrario, se il reddito è inferiore, il contribuente sarà comunque tenuto a pagare le imposte sulla base del reddito concordato, senza possibilità di rinegoziazione.
Potenzialmente vantaggioso, ma alcune criticità possono limitare l’adesione
Il Fisco, in base ai dati degli anni precedenti (e non solo), stabilisce un reddito sul quale verranno calcolate le imposte per gli anni 2024 e 2025. Se il contribuente accetta la “proposta”, potrà quantificare le imposte dovute sul reddito “concordato” a prescindere da quanto effettivamente realizzato in quei due anni.
Prevedere correttamente un andamento dell’attività per due anni non è facile, soprattutto in questo periodo di enorme incertezza economica. Un errore di stima potrebbe portare a pagare più del necessario, vanificando così – almeno sotto il profilo finanziario – i benefici dell’accordo. Inoltre, dopo l’eventuale adesione, il contribuente ed i suoi consulenti fiscali devono monitorare attentamente e costantemente l’eventuale sopraggiungere di cause di cessazione e decadenza.
Le variabili a favore del concordato preventivo
Le variabili che potrebbero indurre il contribuente ad aderire sono potenzialmente molteplici, tuttavia, le principali potrebbero essere sintetizzate in:
a) ragionevole certezza di conseguire ricavi e redditi crescenti nel biennio 2024/2025 rispetto agli anni precedenti;
b) aver conseguito negli anni precedenti punteggi ISA (Indici Sintetici di Affidabilità fiscale) elevati;
c) voler raggiungere una sorta di “tranquillità fiscale”.
E i tre problemi più evidenti
Di contro, in realtà sono state rilevate alcune criticità in questo meccanismo, tali da limitare il numero di adesioni, almeno per il momento.
Il primo problema consiste proprio nella difficoltà di prevedere in maniera quanto più accurata e puntuale possibile il reddito imponibile per periodi futuri.
Il secondo problema è che le adesioni aperte lo scorso giugno sono ancora pochissime. E se per il 2024 le difficoltà operative si riducono con l’avvicinarsi della chiusura dell’anno (verosimilmente bisognerà stimare il reddito di 2/3 mesi), il 2025 presenta, invece, le maggiori insidie valutative.
Il terzo problema è la difficoltà nel trasferire informazioni chiare e convincenti da parte dei consulenti, occorre, dunque, un lavoro di analisi e pianificazione approfondito insieme ai consulenti fiscali, al fine di valutare attentamente l’adesione alla proposta ed evitare che tale strumento si riveli controproducente.
Il rischio di una complicazione aggiuntiva per le imprese innovative
Questo strumento è pensato per offrire una sorta di stabilità fiscale e facilitare la pianificazione finanziaria, soprattutto per piccole imprese e startup in crescita, che spesso operano in contesti di grande incertezza.
Ma le startup, per natura, tendono a essere caratterizzate da un alto grado di imprevedibilità nei ricavi, specialmente nelle fasi iniziali di sviluppo. Prevedere con precisione i guadagni futuri per aderire a un concordato biennale può essere difficile e rischioso. Se il reddito effettivo dovesse risultare inferiore a quello stimato e “concordato”, l’azienda potrebbe trovarsi a pagare più imposte di quanto effettivamente dovuto, con un impatto negativo sulla liquidità.
D’altro canto, per quelle startup che riescono a stimare con una certa accuratezza la loro crescita e che prevedono un incremento dei ricavi con una buona marginalità, il concordato preventivo biennale potrebbe rappresentare un’occasione da cogliere, per ridurre la pressione fiscale complessiva e minimizzare i rischi di accertamenti futuri.