categoria: Draghi e gnomi
Dal debito alla corruzione. Perché il piano Draghi è utopia in Italia
Post di Matteo Mariotti*, economista EY Polonia –
Il 9 settembre 2024, Mario Draghi ha presentato a Bruxelles il suo rapporto, “Il futuro della competitività dell’UE”. Lo scopo di questo breve articolo non è quello di analizzare il rapporto Draghi, già ampiamente coperto da molti altri media e analisti, ma piuttosto quello di fornire alcune valide ragioni sul perché lo stesso sia utopico per l’Italia. Forniamo quindi dieci motivazioni sul perché il report Draghi è difficilmente sostenibile in Italia.
1) L’Italia è conosciuta per la complessità della sua burocrazia e i tempi prolungati dei procedimenti amministrativi. Politiche che necessitano di un’attuazione rapida, come i progetti infrastrutturali o i programmi di sostegno alle PMI, rischiano di subire ritardi a causa di iter di approvazione lunghi e requisiti normativi troppo stringenti.
2) Con un elevato rapporto debito pubblico/PIL, l’Italia dispone di un margine fiscale ridotto. L’implementazione di piani di spesa pubblica, come investimenti in ricerca e sviluppo o programmi di formazione digitale, potrebbero essere limitati dagli stessi vincoli fiscali europei, a meno che il Paese non riesca a sfruttare efficacemente i fondi europei o a incentivare gli investimenti privati.
3) Il contesto politico italiano è caratterizzato da una forte frammentazione e da frequenti cambi di governo. Le riforme a lungo termine, come quelle relative al mercato del lavoro o alle iniziative per l’educazione digitale, rischiano di essere interrotte o revocate, ostacolando il raggiungimento di progressi duraturi.
4) Il divario economico e sociale tra Nord e Sud Italia è notevole. Le politiche destinate a miglioramenti a livello nazionale rischiano di avere un impatto limitato nel Mezzogiorno se non adeguatamente adattate alle esigenze locali, risultando in un’attuazione e benefici non omogenei.
5) Il mercato del lavoro italiano è piuttosto rigido, caratterizzato da regolamentazioni stringenti sulla tutela dell’occupazione. L’introduzione di riforme volte ad aumentare la flessibilità o ad incentivare il lavoro part-time potrebbe incontrare resistenze, complicando la gestione della disoccupazione giovanile e l’adattamento ai cambiamenti tecnologici.
6) L’Italia è ancora indietro in tema di competenze digitali e infrastrutture tecnologiche. Le iniziative che richiedono l’adozione del digitale, come i servizi di e-government o i programmi di formazione sulle competenze digitali, potrebbero affrontare ostacoli a causa della scarsa preparazione e delle infrastrutture insufficienti.
7) L’Italia ha avuto storicamente difficoltà nell’assorbire e utilizzare in modo efficace i fondi dell’UE a causa di inefficienze amministrative. Il successo di molte delle politiche suggerite dal Report Draghi è strettamente legato all’impiego efficace di questi fondi. L’incapacità di sfruttare tali risorse rischia di limitare gli investimenti in settori chiave.
8) In Italia prevale una tendenza all’avversione al rischio e una preferenza per i modelli di business tradizionali. Promuovere l’innovazione, l’adozione digitale e nuove pratiche aziendali potrebbe incontrare scetticismo, rallentando l’implementazione di politiche mirate a favorire un’economia più dinamica e imprenditoriale.
9) I mercati dei capitali in Italia sono meno sviluppati rispetto ad altri Paesi europei. Le iniziative a sostegno delle PMI, dell’innovazione e della trasformazione digitale potrebbero incontrare ostacoli a causa di limitate opzioni di finanziamento, rendendo più complicato per le imprese investire in crescita e tecnologia.
10) La scarsa trasparenza negli appalti pubblici e nell’amministrazione può rappresentare un ostacolo per l’attuazione delle politiche. La corruzione può sottrarre risorse ai progetti programmati, diminuire l’efficienza e minare la fiducia del pubblico nella capacità del governo di implementare le riforme in modo efficace.
Nel complesso quindi, per quanto il report Draghi possa essere accurato e ben studiato, la sua implementazione pratica è alquanto difficile per un Paese come il nostro. Tuttavia, vedremo come l’EU reagirà a questo “scossone” dato dall’ex BCE e Primo Ministro italiano.
*Opinione personale