Sicurezza e sviluppo del territorio: Il valore delle acque interne

scritto da il 23 Settembre 2024

Post di Giuseppe Fabrizio Maiellaro*

Gli eccezionali eventi e mutamenti climatici che da tempo condizionano e stravolgono la vita ordinaria dei nostri territori ci obbligano, ogni giorno di più, a riflessioni più ampie e profonde, possibilmente strategiche, che interessano lo stato di salute della nostra penisola, in senso lato, e richiamano l’attenzione su di un elemento specifico e immanente delle nostre terre: l’acqua. Il mare, certo, ma anche le acque interne – laghi, fiumi, torrenti – che caratterizzano diffusamente il nostro Paese e ne condizionano le economie, le comunicazioni e, più in generale, il benessere.

Alla radice di queste riflessioni non può che esserci una consapevolezza: l’acqua è un bene fondamentale e prezioso, sotto diversi di punti vista, anzitutto quello della qualità e dell’equilibrio del suolo.

Questo dato, oltre ad essere di conclamata rilevanza, affonda le sue radici in riflessioni e percezioni antiche e profonde: basti ricordare che, nel mondo classico, Talete di Mileto (VI secolo a.C.) poneva l’acqua alla base del tutto, come archè, sostanza e nutrimento universale, immaginando la Terra come un corpo galleggiante, per l’appunto, sull’acqua.

Acque e tutele, in Italia prima legge solo nel 1994

E sebbene questo legame tra la tutela del suolo e quella delle acque risulti presente già nelle leggi della prima metà del secolo scorso (v. R.D. n. 3267/1923[1]), va detto che alla definizione di regole per la valorizzazione e protezione dell’acqua come bene autonomo, di per sé rilevante, si è giunti in Italia soltanto dopo un percorso lungo e indaginoso, con la c.d. “Legge Galli” del 1994[2], mentre è del 1999 il varo delle norme per il contrasto all’inquinamento delle acque e l’uso sostenibile e durevole delle stesse[3]. D’altronde, anche in ambito internazionale, la prima conferenza che si è occupata della tutela dell’acqua come risorsa fondamentale è stata quella dell’ONU di Mar de La Plata (Argentina), tenutasi nel 1977, e solo nel 2002, nell’ambito del Covenant on Economic and Cultural Rights, si è invece affermata una definizione dell’acqua come diritto umano fondamentale.

Rischio ambientale, oggi serve un approccio organico 

Ora, tornando ai giorni nostri, è evidente che la tutela e il corretto utilizzo di questo elemento costituiscono un tema cruciale e ineludibile nell’ottica dello sviluppo sostenibile e della transizione ecologica del Paese, anche se la frammentazione e sovrapposizione di enti, poteri e procedimenti che caratterizza la nostra legislazione e organizzazione amministrativa, in questa materia, di certo non agevolano l’attuazione delle misure di legge.

Ecco perché, come indicato dallo stesso legislatore[4], è auspicabile un ulteriore rafforzamento dei modelli e degli strumenti di coordinamento e cooperazione tra i diversi soggetti pubblici e livelli di governo coinvolti.

È infatti necessario un approccio organico e unitario per fronteggiare il c.d. “rischio ambientale”, cioè quell’incertezza che caratterizza gli interventi a protezione dell’ambiente, dovuta alla difficoltà di gestire gli effetti di eventi e attività (antropiche)  che hanno entità e tempi variabili e non sempre (o del tutto) prevedibili. L’attuazione di queste misure, fondata sul c.d. “principio di precauzione” di matrice europea (che orienta le regole della materia), deve essere dunque sostenuta da una visione di insieme, da una maggiore profondità della (preventiva) conoscenza dei dati e dalla migliore tecnologia dei mezzi utilizzati.

In questa direzione, la sicurezza del territorio e dell’ambiente, così come il corretto utilizzo delle risorse e del suolo, rivestono un ruolo importante nel campo degli obiettivi da raggiungere per uno sviluppo effettivamente sostenibile dei territori.

Il PNRR e un nuovo concetto di cura del territorio

Non a caso, nel PNRR varato dall’Italia nel 2021, primeggiano le Missioni 2 e 3, dedicate rispettivamente alla “Rivoluzione verde e transizione ecologica” e alla “Mobilità sostenibile”.

Occorre quindi porre mano a un nuovo concetto di cura del territorio, da ripensare in ampiezza e con uno sguardo di lungo periodo, mediante l’attuazione di una strategia integrata di norme e interventi che metta in connessione procedimenti amministrativi, tutela dell’ambiente, urbanistica ed edilizia, progettazione e realizzazione di opere pubbliche, emergenza e protezione civile.

È questa visione d’insieme, interdisciplinare, che può favorire le condizioni per un territorio sicuro, in quanto organizzato e vivibile per l’uomo, rispettoso dell’ambiente e delle risorse naturali, attento alla valorizzazione del paesaggio e del proprio patrimonio storico e artistico, così da promuovere uno sviluppo economico e sociale durevole.

Valorizzare la relazione tra tecnologia, digitale e ambiente 

In quest’ottica di integrazione, assume particolare valore anche il fil rouge che lega la conoscenza scientifica, l’avanzamento tecnologico e il livello di protezione di ambiente e territorio, quali elementi preziosi che richiedono una rinnovata attenzione per l’applicazione e la buona riuscita delle norme e delle misure di cui stiamo parlando.

Non a caso, nei procedimenti amministrativi in materia ambientale, hanno un rilievo significativo, se non decisivo, sia il dato tecnico-scientifico, dalla cui accuratezza e attendibilità dipende il buon esito delle istruttorie dei procedimenti[5], che quello informativo, che implica la necessità di garantire la più ampia accessibilità e diffusione di dati e informazioni ambientali[6].

Bisogna quindi valorizzare e incentivare la relazione e il dialogo tra tecnologia, digitale e ambiente, promuovendo una larga diffusione delle informazioni sul tema che possa mettere a fattor comune gli strumenti, i risultati e il know-how di istituzioni, mondo pubblico e imprese.

Le acque interne e i (gravi) rischi di dissesto idrogeologico

Di certo, prendersi cura delle risorse e delle acque interne significa anche prendersi cura dell’equilibrio idrogeologico delle nostre terre.

“Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”, ricordava un grande artista d’avanguardia come Andy Warhol.

Gli sconvolgimenti climatici e i dissesti degli ultimi tempi hanno messo a nudo, ancora una volta, l’incuria del suolo italiano, con gravi e diffuse ricadute sul tessuto sociale ed economico, e rappresentano oramai una costante minaccia alla stabilità del nostro territorio. Un recente approfondimento sul tema, curato dal Servizio Studi della Camera dei Deputati, riporta i dati forniti dai commissari di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico (aggiornati al 31 dicembre 2022) ed evidenzia che la quasi totalità dei comuni italiani (93,9%) è interessata dal rischio frane, alluvioni e/o erosione costiera[7].

acque

Traversara, frazione di di Bagnacavallo (Ravenna), devastata dopo la rottura dell’argine del fiume Lamone, 20 settembre 2024. ANSA/ FABRIZIO ZANI

Come noto, queste criticità dipendono, in larga parte, dai problemi legati al contenimento di laghi, fiumi e torrenti, le nostre acque interne. E, più nello specifico, alla sicurezza degli argini. Ciò a causa non soltanto delle particolari caratteristiche geomorfologiche delle nostre terre, ma anche – in modo ancor più grave – della crisi climatica in corso, che sta determinando una vera e propria emergenza idrica in tutta la penisola.

Che cosa fa lo Stato per affrontare l’emergenza

In questo scenario, peraltro, si possono registrare segnali comunque incoraggianti, in termini di iniziative assunte dallo Stato per fronteggiare la grave situazione emergenziale.

Ad esempio, va ricordato il commissariamento straordinario disposto ai sensi di legge per diverse opere idriche insistenti sul territorio italiano – dighe, acquedotti, invasi, etc. – allo scopo di rafforzare e accelerare il completamento e la messa in sicurezza di strutture preesistenti[8], con una incidenza sulla spesa pubblica di circa 2,7 miliardi di euro.

Possono poi citarsi anche le ultime leggi di bilancio (2023 – 2024), che hanno destinato ingenti risorse alle misure di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico, per circa 898,5 milioni di euro[9].

Questi interventi infrastrutturali e finanziari, seppur fondamentali, non sono però sufficienti. Proprio nel segno di quella auspicata visione integrata e di lungo periodo, occorre infatti anzitutto una conoscenza dei territori puntuale e aggiornata, mettendo in campo studi e monitoraggi effettivamente completi e metodici, assieme a soluzioni riguardanti altri aspetti del problema, ugualmente sensibili e rilevanti.

Indiziato numero uno del dissesto idrogeologico: il consumo di suolo

La questione della sicurezza idrogeologica si intreccia infatti con la annosa criticità del consumo di suolo, che si conferma una delle principali cause del dissesto idrogeologico oggi in atto, come dimostrano i dati forniti di recente dal S.N.P.A. (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) e dall’I.S.P.R.A. (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che mettono in luce proprio la impermeabilizzazione[10] senza freni – e talvolta irreversibile – delle aree a insediamento umano quale effetto dell’incremento di consumo del suolo. Si consideri che, secondo gli ultimi rapporti, tra il 2022 e il 2023, in Italia, si è registrato un aumento di suolo consumato di circa 2,4 metri quadrati al secondo[11].

Il che offre a tutt’oggi uno scenario davvero preoccupante, anche tenuto conto degli impegni sottoscritti dall’Italia in sede internazionale per l’azzeramento del consumo di suolo netto, nell’ambito dell’Agenda ONU 2030.

Un valido strumento di contrasto: la rigenerazione urbana

Ma, anche in questo caso, abbiamo comunque validi rimedi da azionare per contrastare questo fenomeno e tutte le sue conseguenze: penso ad esempio alla c.d. “rigenerazione urbana”.

Come noto, la rigenerazione urbana consiste in un programma strategico, articolato e organico di misure e azioni volte a contrastare il degrado urbano, non solo sul piano fisico, ma anche su quello sociale, e richiede l’attuazione di importanti sinergie tra pubblico e privato, con l’obiettivo di riqualificare e riutilizzare opere e porzioni del territorio incompiute, ammalorate o in disuso. La rigenerazione urbana è qualcosa di più del mero riutilizzo dell’esistente, perché guarda oltre la riqualificazione e implica un processo di trasformazioni urbane nel rispetto dell’assetto dei territori e delle loro caratteristiche sociali, economiche, culturali, occupazionali e ambientali, con un focus sull’inclusione sociale.

In buona sostanza, la rigenerazione urbana afferma una lettura del territorio in termini di eliminazione del degrado fisico e sociale, di sicurezza, di recupero dei valori identitari e di rinnovazione.

Il tema, del resto, non è affatto ignoto al dibattito pubblico, poiché sono attualmente all’esame del Parlamento due iniziative di legge, presentate nel 2023 e nel 2024, proprio in tema di contrasto al consumo di suolo e di rigenerazione urbana[12], ed è auspicabile che si addivenga al più presto al varo di una disciplina di legge organica ed efficace sulla materia.

Acque interne (e non solo) prima risorsa e prima sfida

Dunque, le idee e gli strumenti non mancano, nonostante tutto, ma esigono indubbiamente un salto di qualità culturale e operativo, da compiere collettivamente, ciascuno nel proprio campo di applicazione.

E in questa visione integrata e multidisciplinare, la protezione e la valorizzazione delle acque interne sono senz’altro un obiettivo basilare e strategico e rappresentano molto più di un buon punto di partenza: si tratta di un obiettivo prioritario, dagli effetti concreti e di lungo periodo, che può innescare una serie di risultati positivi su diversi fronti – ambientale, economico, sociale – e così rivelarsi, nel quadro degli orizzonti e degli strumenti per la ripresa, un underdog di grande impatto ed efficacia produttiva per i nostri territori, tuttora fragili e malconci.

Le nostre acque interne e, più in generale, la qualità e la ricchezza del nostro patrimonio ambientale, paesaggistico, culturale e infrastrutturale, sono e devono essere la prima risorsa e la prima sfida all’orizzonte del nostro Paese, in un momento storico come questo che, seppur difficile, costituisce una occasione imperdibile per sviluppare il benessere e la crescita dei nostri territori.


* Partner di Ontier Italia, Consulente esperto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Professore a contratto di Sicurezza del territorio presso l’Università degli studi Link di Roma

NOTE

[1] Il R.D. n. 3267/1923, nell’occuparsi della tutela del patrimonio boschivo e forestale, affermava che i terreni erano “(…) sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici” (art. 1) – criterio poi ripreso nella legge quadro n. 183/1989 sulla difesa del suolo (art. 17) e trasfuso infine nel Codice dell’ambiente del 2006 (v. i Piani di Assetto Idrogeologico – “PAI” – previsti dall’art. 67 del D.Lgs. n. 152/2006, recante il Codice dell’ambiente).

[2] Cfr. legge n. 36/1994.

[3] Cfr. D.Lgs. n. 152/1999, attuativo delle direttive CEE n. 271 e 276 del 1991.

Un riordino complessivo delle varie regole in materia idrica si è avuto infine con il Codice dell’ambiente del 2006, per una tutela di questa risorsa in ottica sia quantitativa che qualitativa.

[4] V. art. 57 del Codice dell’ambiente di cui al D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i.

[5] Il dato tecnico-scientifico si fonda anzitutto sulla raccolta e analisi degli elementi e delle informazioni rilevanti (sin dalla legge n. 183/1989, recante la legge quadro sulla tutela del suolo), dalla cui accuratezza dipende l’esito di una istruttoria che fa affidamento su ricerche, valori e standard elaborati in modo preventivo, da aggiornare costantemente.

[6] Quanto al dato informativo, è evidente che dalla sua concreta disponibilità e diffusione discende l’ampiezza e l’efficacia delle azioni e delle misure preventive, come sottolineato nella Convenzione di Aarhus del 1888 – i cui principi sono stati poi sottoscritti dalla CE nel 2005 (v. direttiva 2003/4/CE) e attuati in Italia col D.Lgs. n. 195/2005 (che regola l’accesso e la diffusione all’informazione ambientale). Ciò vuol dire lavorare costantemente sulla piena accessibilità delle informazioni ambientali, da diffondere per ottenere territori e cittadini largamente preparati e consapevoli, come primo presidio di legalità e protezione delle nostre risorse naturali, incluse le acque.

[7] Il report del Servizio Studi della Camera dei deputati, datato 13 maggio 2024, rappresenta in particolare che “(…) complessivamente, il 93,9% dei comuni italiani (7.423) è interessato dal rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera; 1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane e 6,8 milioni di abitanti a rischio alluvioni. Le famiglie a rischio sono quasi 548.000 per frane e oltre 2,9 milioni per alluvioni. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 565.000 (3,9%), quelli ubicati in aree inondabili nello scenario di media pericolosità sono oltre 1,5 milioni (10,7%)”.

[8] Cfr. art. 4 del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, conv. con mod. dalla legge 14 giugno 2019, n. 55 – c.d. “Decreto Sblocca cantieri”.

[9] Nella specie, la legge di bilancio 2023 (legge n. 197/2022) ha stanziato, per queste finalità, fondi pari a circa 886,5 milioni di euro. Tali fondi sono stati poi incrementati dalla legge di bilancio 2024 (legge n. 213/2023), stanziando ulteriori 12 milioni di euro circa per le attività di competenza delle autorità di bacino distrettuali.

[10] Per impermeabilizzazione si intende in particolare “la sigillatura del suolo con materiali che inibiscono parzialmente o totalmente le possibilità del suolo di esplicare le proprie funzioni vitali”, in primo luogo riducendo l’infiltrazione delle acque, impedendo l’evapotraspirazione e diminuendo l’umidità del suolo, e, di conseguenza, la capacità di ricarica delle falde, con tutte le conseguenze a noi ben note (cfr. portale ISPRA).

[11] V. Rapporto S.N.P.A. 2023, p. 73.

[12] È attualmente all’esame del Parlamento un disegno di legge (DDL), presentato alla Camera dei Deputati il 26 maggio 2023 (A.C. 1179, in discussione dal 3 ottobre 2023 presso la Commissione VIII Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici) e intitolato “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione urbana”. In data 20 febbraio 2024, è stato presentato al Senato un analogo disegno di legge (A.S. 1028), dal 5 agosto 2024 in corso di esame presso la Commissione permanente VIII (Ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica), intitolato “Rigenerazione urbana e uso sostenibile del suolo”.