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Acqua, consumi e bluewashing: ecco un Decalogo per le aziende
Post di Gabriele Bonfiglioli, Giuseppe Di Vita, Cecilia Ago e Aurelia Musumeci, fondatori di Acqua Foundation; e Francesca Greco (@francescagreco78), Marie Curie researcher presso l’Università di Bergamo e autrice del Decalogo –
Non abbiamo molto tempo per agire. I primi segnali dell’avanzare della crisi climatica includono un oceano sempre più acido e caldo, la perdita di biodiversità e i conseguenti eventi atmosferici più gravi. L’ONU [1] indicava già tre anni fa che i progressi verso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) e gli obiettivi legati all’acqua fossero in forte ritardo e che gli sforzi dovessero essere quadruplicati per garantire l’accesso universale all’acqua sicura, ai servizi igienici e all’igiene. Secondo l’UNESCO[2], parallelamente al concetto di greenwashing sempre più diffuso, va contrastato anche il concetto di bluewashing, che si concentra su tutte le regioni “blu” del pianeta e sugli organismi che le abitano: oceano, mari, fiumi e laghi, falde sotterranee.
Come si combatte il bluewashing?
Lavorando con chi utilizza acqua per produrre beni e servizi. Nessuno mette in dubbio che sia utile incoraggiare gli individui a modificare le proprie abitudini di consumo per mitigare l’impatto dei nostri prodotti di moda, design e informatica sulle risorse idriche. Tuttavia, ciò è impossibile se l’industria e i processi produttivi non tengono adeguatamente conto e non comunicano in modo trasparente il proprio consumo di acqua. Il primo passo per promuovere un rapporto più trasparente e basato sulla fiducia tra consumatori e produttori è quello di evitare il bluewashing nella contabilizzazione dell’acqua.
Agricoltura prima per consumo di acqua
In primis è utile ricordare quali industrie consumano più acqua e in quest’ottica l’impronta idrica di un prodotto è la quantità totale di acqua consumata per ottenere quel prodotto dal materiale grezzo fino alle nostre mani.
La prima industria per consumo d’acqua è l’agricoltura (70% di prelievi idrici totali nel mondo). Per produrre un solo bicchiere di succo d’arancia occorrono 200 litri d’acqua. L’industria segue subito dopo: in particolare, l’industria tessile è responsabile di un notevole inquinamento idrico su scala globale e ha un consumo di acqua eccezionalmente elevato. Nel 2015, l’industria tessile e dell’abbigliamento a livello mondiale ha consumato circa 79 miliardi di metri cubi di acqua e si prevede che il consumo aumenterà del 50% entro il 2030[3].
Il National Geographic e il WWF[4] hanno creato una campagna informativa che evidenzia in modo specifico la gravità dell’impatto delle magliette, la quantità di t-shirt che usiamo e compriamo ogni anno e ci invitano a riflettere su ciò di cui abbiamo effettivamente bisogno, nonché il relativo impatto sull’ambiente. In generale, guardando alle medie globali, per una sola maglietta sono necessari 2.700 litri di acqua, per un paio di jeans ne occorrono 8.000 litri e per un telefono cellulare ben 12.000. Quando poi la tendenza è quella dell’usa e getta, come per il fast fashion, il problema è destinato ad aggravarsi.
Quanta acqua beve ChatGPT
Un altro settore che merita attenzione per il crescente consumo d’acqua è quello delle big tech che stanno diventando sempre di più dei grandi consumatori d’acqua e solo recentemente hanno reso noti i dati sui loro consumi: nel 2022 i colossi tech hanno consumato oltre 2 miliardi di metri cubi di acqua per il raffreddamento dei server e l’utilizzo dell’elettricità, sufficienti a riempire 800.000 piscine olimpioniche.
La situazione, alla luce dell’incessante evoluzione dell’IA e nello scenario della crescente siccità e dei problemi ambientali, è destinata a peggiorare: secondo le previsioni, che tengono conto anche dell’acqua usata indirettamente da altre fonti collegate al data center come la centrale elettrica che lo alimenta, entro il 2027 la domanda di acqua potabile da parte dell’IA sarà oltre tre volte l’attuale.
Secondo le stime del team di ricercatori di Shaolei Ren (Università della California) è stato possibile determinare che ChatGPT ingurgita mezzo litro d’acqua ogni volta che gli si rivolge una serie di 5-50 domande. L’intervallo varia a seconda della posizione dei server e della stagione.
Il bluewashing e le imprese italiane
Alla luce di queste considerazioni, è evidente che è arrivato il momento di incoraggiare le imprese italiane a seguire un percorso per un utilizzo responsabile della risorsa idrica, che eviti il bluewashing, basato su criteri condivisi a livello internazionale per il “disclosure” del proprio consumo idrico verso i consumatori e verso gli enti certificatori. Acqua Foundation ha realizzato, come anticipazione di un vero e proprio white paper che uscirà nel 2025, un Decalogo* in dieci punti che spiega in modo semplice come contrastare il bluewashing e ottenere il massimo in termini di Corporate Social Responsibility e ESG (Environmental, Social Governance) e altri rating ambientali che a breve verranno richiesti dall’Unione Europea al fine di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo n. 6 dell’agenda ONU 2030 sull’acqua. La sfida sta a chi vorrà coglierla, per una competizione aziendale che non sia a discapito del futuro dei nostri figli.
NOTE
[1] High-Level Meeting on the “Implementation of the Water-Related Goals and Targets of the 2030 Agenda” delle Nazioni Unite, tenutosi a New York nel 2021
[2]Unesco: Che cos’è il bluewashing? Come possiamo riconoscerlo?
[3] The Boston Consulting Group e Global Fashion Agenda, “Pulse of the Fashion Industry”, 2017
[4] National Geographic: How Your T-Shirt Can Make a Difference | National Geographic