categoria: Res Publica
Legge di Bilancio: i dati da capire e gli errori da non fare
Post di Francesco M. Renne, commercialista e revisore, faculty member CUOA Business School, formatore in materie finanziarie e fiscali –
L’invito (di chi qui scrive) è tediosamente sempre quello: analizzare e comprendere ciò che sta accadendo, per non cadere in errori (di giudizio). I facili entusiasmi seguiti ai dati (provvisori) ISTAT sull’occupazione sono infatti eccessivi; e ciò al di là delle conseguenti polemiche strumentali della politica, che si è divisa tra chi se ne è (arbitrariamente) intestato il merito e chi ne ha negato la (pur esistente) rilevanza dei dati emersi.
Prima di tutto, i dati. A luglio, l’ISTAT registra un incremento dell’occupazione dello 0,2% (56mila unità) sul mese precedente (i.e. “congiunturale”) e del 2,1% (490mila unità) su base annua (“tendenziale”). Contestualmente, il tasso di disoccupazione scende dello 0,4%, attestandosi al 6,5%.
Fin qui, è da considerarsi una buona notizia. A cui aggiungere l’evidenza del forte incremento dell’occupazione femminile (+2,9%), quasi doppio di quello maschile.
Le note stonate nei dati Istat
A vedere i dati in controluce, però, emergono alcune note stonate. Intanto, aumentano anche i dati degli inattivi (i.e. soggetti in età lavorativa che non lavorano e non cercano occupazione), il cui tasso raggiunge il 33,3% con un incremento da giugno a luglio dello 0,6% (circa 73mila unità, di cui ben 63 mila donne) e si registrano dati non incoraggianti sull’occupazione giovanile. La disoccupazione giovanile si attesta infatti ancora intorno al 21% (20,8% per essere precisi), confermando i dati Eurostat che parlano di tasso di occupazione di neodiplomati/laureati al 67% contro l’83,5% della media europea.
Poi, la grande parte dell’incremento degli occupati è ascrivibile all’aumento dei lavoratori autonomi (75mila unità sul mese precedente, 249mila su base annua), mentre il numero dei lavoratori dipendenti su base mensile decresce (-12mila a tempo indeterminato; -6mila a tempo determinato), in parte anche effetto della nuova legislazione fiscale (discutibile, in termini di violazione del principio di “equità orizzontale”, ovvero che a parità di reddito si dovrebbe avere il medesimo carico tributario) che, come effetto collaterale, tende a favorire lo switch da dipendente a (pseudo) indipendente.
Due temi non secondari: l’occupazione giovanile e la qualità dell’impiego
Va altresì detto che il trend di miglioramento dei dati occupazionali è presente fin dal 2021 (da quella data al 2024 si sono registrati, stando ai dati OCSE, circa 1,5milioni di unità occupate in più, in termini di total employment permanent workers) e che permane strutturalmente una debolezza comparata sul mercato del lavoro, se è vero che Eurostat parla di tasso di occupazione medio eurozona al 74% (contro il nostro 67% circa).
Pur in un trend comunque migliorativo, restano aperti, dunque, i temi dell’occupazione giovanile e della qualità dell’impiego, in termini di salario, stabilità e, non meno importante, sicurezza del lavoro, oltre che della (possibile?) riduzione degli inattivi. Il trend demografico in atto e la questione strutturale del nostro sistema pensionistico necessitano di risposte (anche) in questo senso.
I prestiti alle imprese? In calo
Invero, dal lato delle imprese, lo scenario continua ad essere caratterizzato da luci ed ombre. Basti pensare ai dati strutturali emergenti dall’analisi dei rapporti bancari: 44miliardi di credit crunch su base annua (si è passati da +4,5% circa di prestiti registrati a metà 2022 ad un -4% a metà 2024), 34miliardi di non performance exposure (tra cui 13miliardi circa di sofferenze e 19miliardi circa di inadempienze probabili), con un incremento delle liquidazioni giudiziali (così si chiamano ora i “vecchi” fallimenti) pari al 12,6% nel primo trimestre 2024.
A cui si deve, per onestà intellettuale, aggiungere che il PIL 2024 probabilmente si attesterà attorno allo 0,9/1,0% (contro l’1,2% indicato della NADEF) e che, tra rinnovi di precedenti agevolazioni fiscali sul lavoro (15/16miliardi) e obblighi derivanti dal nuovo patto di stabilità europeo (altri 10/12miliardi, se non qualcosa in più), la nuova Legge di Bilancio parte già con il freno a mano tirato.
Uno scenario non semplice, in vista della nuova Legge di Bilancio, che meriterebbe approfondimenti e dibattiti pubblici ben maggiori di quelli fin qui visti e che potrebbe comportare scelte economiche (sia dal lato delle aziende che del Legislatore) anche drastiche.
Debito pubblico e spending review (chi è costei?)
Si parla molto – senza però poi far nulla o quasi – di debito pubblico (sta raggiungendo i 3mila miliardi; per la precisione 2.949, a giugno) e di costo degli interessi (oltre i 90 miliardi quest’anno), meno invece della (potenziale) crescita economica da (provare a) rilanciare (ben oltre gli “zerovirgola”) che li renderebbero più agevolmente sostenibili. E meno ancora di una (necessaria) seria spending review (in termini di sprechi e di allocazione delle risorse in progetti mirati a maggior ritorno, più che di tagli lineari col righello) e di una riflessione equilibrata su imposte (che restano elevate e distorsive; la riforma fiscale di fatto è un pannicello caldo) ed evasione (patologica, diffusa e purtroppo, fors’anche, culturale).
Legge di Bilancio cartina di tornasole del futuro prossimo
È per questo che il documento di programmazione economica da inviare in Europa a metà settembre e la prossima Legge di Bilancio dovrebbero essere le cartine di tornasole su cui costruire il nostro prossimo futuro e non, come invece temo, la prosecuzione di “politiche-tampone” basate su un’errata percezione dei numeri reali. Indugiare, su (impropri) entusiasmi per (indiretti) miglioramenti, non è certo cosa buona e giusta.