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Rifugiati e lavoro, integrazione significa riconoscere le competenze
Post di Simone Moriconi, Professore IÉSEG School of Management; Farah Kodeih, Professore Associato in Strategia , IÉSEG School of Management e Juan Munoz Morales, Ricercatore in Economia, IÉSEG School of Management –
Il tema dell’integrazione dei rifugiati ha acquisito importanza in Europa nell’ultimo decennio. I rifugiati sono persone che sono fuggite dal proprio Paese in cerca di protezione e sicurezza in un’altra nazione, senza possibilità di ritorno. Questi individui spesso subiscono l’esperienza traumatica di perdere tutto e di ritrovarsi in un Paese che non hanno scelto.
Anche per questo le barriere ad una piena integrazione sociale ed economica dei rifugiati sono ancora più elevate che per gli immigrati volontari.
Le recenti elezioni nazionali in Europa continuano a riflettere forti opinioni contro la migrazione in generale, e in particolare contro i rifugiati. I governi nazionali tendono ad adottare politiche molto conservatrici, spesso basate sul presupposto che l’afflusso di rifugiati rappresenti una minaccia per la società ospitante. Esempi recenti di queste misure sono i tentativi operati dai governi italiano e britannico di creare centri di accoglienza per rifugiati rispettivamente in Albania e in Ruanda per evitare contatti tra rifugiati e popolazione locale. Al di la di ogni valutazione etica, o relativa alla fattibilità concreta, appare evidente come politiche di questo tipo possano minare alle basi ogni forma di integrazione della popolazione rifugiata nel tessuto economico e sociale del paese accogliente.
L’interesse dei privati per i nuovi talenti e la disponibilità dei rifugiati
Un importante studio dell’UNHCR Francia e delle organizzazioni partner suggeriscono che strade alternative potrebbero esistere per la gestione dei rifugiati. Con riferimento al caso francese, lo studio documenta una crescente domanda di talenti per i rifugiati nel settore privato. Lo studio, che ha raccolto informazioni da un sondaggio online rivolto a 225 aziende francesi, ha rivelato una notevole disponibilità e interesse da parte di queste aziende ad assumere rifugiati. L’indagine comprende una gamma variegata di industrie, con diciassette settori rappresentati, tra cui il settore dei servizi, il commercio, la produzione e l’edilizia.
I grafici seguenti riassumono i principali risultati dell’indagine: Il 44% delle aziende intervistate offre attivamente sostegno ai rifugiati. Per quanto riguarda il 49% delle aziende che hanno risposto il contrario, come si vede ancora nel primo grafico, ciò è dovuto principalmente alla mancanza di informazioni adeguate da parte dei potenziali datori di lavoro o all’assenza di opportunità e/o partnership.
Inoltre, il 71% delle imprese dichiara che assumerebbe lavoratori rifugiati se venissero eliminate alcune barriere. Superare gli ostacoli linguistici, consentire ai rifugiati di accedere al mercato del lavoro e colmare le lacune informative con i potenziali datori di lavoro, faciliterebbe una migliore integrazione economica e sociale dei rifugiati dei rifugiati in Francia.
Ovviamente questa analisi rimane ad un livello molto descrittivo, considera un campione limitato di imprese. Riguarda la Francia, un paese che presenta un mercato del lavoro molto diverso da altri paesi Europei (e l’Italia in particolare) sia in termini di domanda che offerta di competenze. Al tempo stesso, questi dati sollevano la questione se, in un contesto di carenza di manodopera e di alcuni profili produttivi specializzati, i rifugiati non possano dare un contributo positivo al mercato del lavoro del paese di destinazione, rafforzando la diversità delle competenze produttive.
I vantaggi potenziali per l’economia ospitante
I guadagni per l’economia ospitante sono potenzialmente significativi, ma rimangono sulla carta: con riferimento al caso Italiano, uno studio recente rivela che i rifugiati hanno circa il 12% in meno di probabilità di avere un lavoro rispetto agli immigrati con caratteristiche simili, e questo divario occupazionale persiste fino a 10 anni dopo l’immigrazione.
Cosa determina questo gap? Oltre ai traumi profondi derivante dall’esperienza migratoria forzata, i rifugiati si trovano di solito ad affrontare la sfida di evidenziare efficacemente le proprie competenze, qualifiche ed esperienze, quando cercano lavoro nel paese di destinazione. Questo ostacolo limita inevitabilmente il loro accesso ad opportunità lavorative desiderate, e commisurate alle loro competenze ed esperienze maturate.
Il futuro dell’integrazione: riconoscimento e potenziamento delle competenze
Come affrontare la sfida dell’integrazione economica dei rifugiati nel mercato del lavoro? Esempi concreti nel contesto Europeo propongono due approcci complementari. Il primo approccio prevede il potenziamento delle competenze linguistiche abbinato a una formazione professionale o a un’istruzione supplementare. Studi economici recenti (per esempio sulla Danimarca) hanno dimostrato l’importanza della formazione linguistica per migliorare le prospettive sul mercato del lavoro dei rifugiati, semplificando l’accesso all’istruzione e alla formazione e, di conseguenza, favorendo la trasferibilità delle loro competenze e l’accesso a lavori di qualità superiore.
Concretamente, in Francia la Delegazione interministeriale per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati (DIAIR) fornisce dettagli completi sull’accesso dei rifugiati e degli altri migranti all’istruzione linguistica e alla formazione professionale. Di recente sono emersi diversi programmi nelle istituzioni scolastiche che offrono ai rifugiati l’opportunità di approfondire la propria istruzione e di aumentare la propria occupabilità.
Il secondo approccio consiste nell’aiutare i rifugiati a mettere in luce le loro competenze e abilità esistenti. Il passaporto europeo delle qualifiche per i rifugiati, lanciato nel 2018, è uno di questi tentativi che offre ai rifugiati un modo per segnalare le proprie credenziali ai potenziali datori di lavoro. Sebbene il documento non serva come riconoscimento formale, contribuisce a delineare il percorso formativo del richiedente, le esperienze professionali precedenti e le competenze linguistiche sulla base delle informazioni disponibili.
I limiti del passaporto europeo delle qualifiche
Un chiaro limite all’efficacia di un passaporto comune europeo è rappresentato dalla diversità dei sistemi di istruzione e qualificazione tra i Paesi membri. Uno strumento teso a favorire il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze dei rifugiati al livello dei singoli paesi Europei richiede metodi di valutazione delle competenze più mirati e ambiziosi.
Tali metodi garantirebbero l’allineamento tra le competenze e le qualifiche dei rifugiati, i requisiti specifici del Paese ospitante e le esigenze delle aziende, favorendo così un processo di matching più efficace. La Francia sta muovendo alcuni passi importanti, anche grazie ad un impegno diretto dello Stato. In Italia l’intervento dello Stato su un argomento che appare politicamente divisivo è ancora limitato, e le iniziative più rilevanti sono spesso intraprese a livello non governativo.
Valutazione e riconoscimento delle competenze dei rifugiati: quali vantaggi
Il tema appare invece estremamente importante. Una valutazione e un riconoscimento efficienti delle competenze dei rifugiati possono produrre numerosi vantaggi. Per i rifugiati, significa evitare la svalutazione delle loro competenze e consente una rapida integrazione nel mercato del lavoro desiderato senza la necessità di ulteriori studi. Le aziende possono trarre vantaggio dall’accesso alle qualifiche di cui hanno bisogno in modo più efficiente e dall’ottenimento di informazioni più affidabili.
Inoltre, sfruttare il potenziale inutilizzato della forza lavoro dei rifugiati può contribuire ad alleviare la carenza di manodopera in vari settori. Da un punto di vista sociale ed economico, facilitare un rapido accesso all’occupazione non solo può alleggerire il peso sui sistemi di welfare pubblico, ma anche favorire la coesione sociale. Questo, a sua volta, contribuirebbe a rimodellare la narrativa e le percezioni negative che i nativi hanno comunemente dei rifugiati.