Kamala Harris e l’economia: quale reazione aspettarsi dai mercati?

scritto da il 23 Agosto 2024

Post di David Pascucci, market analyst di XTB

Si avvicinano le presidenziali Usa del 5 novembre ed è appena terminata la convention dei Dem, concentrati a vincere le elezioni contro il temibile Donald Trump, fino a poco tempo fa favorito nei confronti dell’ex presidente e candidato Joe Biden. La convention ha visto l’intervento di numerosi esponenti del partito e personalità legate allo stesso, da Oprah Winfrey a Bill Clinton fino a coinvolgere l’ex presidente Barack Obama che rispolvera un suo vecchio slogan riferito questa volta a Kamala Harris con uno “Yes She can”.

Una convention incentrata quindi sui meriti dell’amministrazione Biden, a tal punto che Bill Clinton ha paragonato proprio Biden a George Washington in merito al suo “abbandono del potere”, e su una campagna politica contro il partito di Donald Trump. In ogni caso, stando ai sondaggi attuali, sarà una battaglia all’ultimo voto e fino al 5 novembre ci sarà tempo per vedere un’evoluzione importante della situazione macroeconomica negli Stati Uniti.

LA PROPOSTA ECONOMICA DI KAMALA HARRIS

Per quanto riguarda l’economia e le future prospettive, la Harris ha proposto una legge sul price-gauging, ossia contro le speculazioni di prezzo sui beni di prima necessità, quindi contro le aziende che approfittano del rincaro del costo della vita per aumentare ulteriormente i prezzi. Ha inoltre proposto un inasprimento delle tasse per i ceti più abbienti e le grandi aziende alzando quindi la corporate tax dal 21% attuale ad un 28% che farebbe entrare circa 1000 miliardi di dollari nelle casse dello Stato nei prossimi 10 anni. In questo senso arrivano già i primi dissapori proprio dalla Food Industry Association che ha definito questa proposta sul price gauging come irresponsabile in quanto i margini di profitto dei retailer sono molto bassi, una media del 1,6% lo scorso anno.

kamala harris

La candidata presidenziale del partito democratico Kamala Harris, durante il discorso conclusivo a Chicago (AP Photo/J. Scott Applewhite) Associated Press / LaPresse 

ELEZIONI E MERCATI AZIONARI

Secondo le statistiche sull’andamento dei mercati azionari, le elezioni presidenziali Usa aumentano solamente la volatilità nel breve e risultano irrilevanti nel lungo periodo. A riprova di ciò abbiamo gli anni 2000, 2008 e 2020, anni di elezioni presidenziali che di fatto hanno chiuso in negativo e che hanno visto dei crolli di mercato assolutamente rilevanti in termini percentuali al punto tale che si ricordano come anni storici per i mercati. La bolla delle dotcom nel 2000, il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 (a ridosso delle elezioni), il crollo del 2020 dovuto alla pandemia, tutti eventi nettamente pi rileùvanti rispetto all’esito delle elezioni. I casi in cui l’anno delle elezioni presidenziali coincide con un anno tendenzialmente positivo, ricadono tutti all’interno della statistica madre secondo cui i mercati azionari tendono a salire nel lungo periodo. In sostanza, le elezioni rappresentano solamente un’occasione per vedere un aumento della volatilità nel breve ma non influiscono minimamente su quello che é lo scenario macroeconomico e tecnico di base. Se i mercati hanno le condizioni per scendere, scenderanno anche con il miglior esito possibile delle elezioni Usa, se ci sono le condizioni per salire, continueranno nel loro percorso di apprezzamento. 

LA SITUAZIONE MACRO ATTUALE: COME NEL 2000 E NEL 2008

L’attuale situazione macroeconomica coincide con quanto abbiamo visto nel 2000 e nel 2008, ossia tassi di interesse ai loro top, inflazione al di sopra dei target e disoccupazione sui minimi in via di risalita. In tal proposito il tasso di disoccupazione risulta la grandezza macroeconomica determinante per il prossimo futuro in quanto negli ultimi 12 mesi abbiamo assistito ad un suo rialzo dal 3,5% al 4,3% con il taglio della media storica a 18 mesi.

Questo taglio della media è stato sempre seguito da un repentino rialzo del tasso di disoccupazione nel lungo periodo e a conferma di ciò abbiamo l’indicatore di recessione Sahm Rule. Questo indicatore, sviluppato dall’economista Claudia Sahm, ha segnato di recente l’inizio della recessione in Usa avendo tagliato la soglia critica dello 0,5 (ora segna 0,53). Questo indicatore mette in relazione proprio l’andamento del tasso di disoccupazione con le storiche recessioni americane, quindi un altro tassello importante nella view macroeconomica che vede il peggioramento del mercato del lavoro e l’arrivo di una recessione. Sul mercato del lavoro assistiamo anche a continue revisioni in negativo delle buste paga del settore non-agricolo, i famosi Nonfarm Payrolls, che hanno visto ben 14 revisioni in negativo su oltre 17 data-release andando a “bruciare” oltre 600.000 posti di lavoro.

LA SCOMMESSA PER I PROSSIMI MESI

In sostanza la situazione degli Usa non è ottimale e la coincidenza di questi fattori macro con date storiche preoccupanti, non è una buona premessa per i mesi a venire. Proprio queste condizioni macro si sono verificate anche nel 2000 e nel 2008 quando i mercati azionari scesero di oltre il -70% nel primo caso e del -50% nel secondo caso. Al momento la situazione macro risulta molto delicata e ne consegue che le elezioni, al di lá del loro esito, non saranno determinanti nell’evoluzione dello scenario macro in via di compromissione per i prossimi mesi.