Gender e skill gap: perché il divario va colmato

scritto da il 31 Luglio 2024

Post di Paolo Degl’Innocenti, Presidente di Kyndryl Italia – 

Per quanto paradossale, il nostro Paese sembra non essere in grado di sanare il problema del disallineamento tra la dinamica del mercato digitale, in crescita secondo gli ultimi dati Anitec-Assinform, e lo stato delle competenze digitali che, al contrario, denuncia la persistenza di un divario significativo con i nostri partner europei.

Per rendersene conto è sufficiente uno sguardo ai principali indicatori internazionali, a cominciare dal DESI, il Digital Economy and Society Index. Nel confronto 2024 tra Italia e media UE, la disparità si fa sentire specie nella dimensione ‘capitale umano’. Qui la voce “ICT graduates” per noi vale un terzo, con la componente femminile ferma allo 0,30%. Va meglio il confronto complessivo sugli “ICT specialists” ma tenendo a mente che da noi le donne si fermano sotto la soglia del 16%.

La carenza di competenze digitali rappresenta un vero e proprio ostacolo allo sviluppo e a questo problema, lo sappiamo, non sono estranee le disuguaglianze di genere che caratterizzano il nostro mondo del lavoro.

Proprio qui, secondo il Gender Equality Index 2023 – l’indice di parità di genere espresso a livello di Unione Europea – l’Italia presenta ancora ampi spazi di miglioramento: dal 2010 siamo costantemente al di sotto della media continentale. In particolare, ci posizioniamo ventisettesimi – buoni ultimi, quindi – nel sottodominio della partecipazione e, addirittura, continuiamo a peggiorare in quello della segregazione e della qualità del lavoro. In altri termini, la nostra è una progressione più lenta e questo resta elemento di forte penalizzazione rispetto agli altri partner.

Il quadro, peraltro, fa il paio con una realtà poco edificante: una donna su cinque, tra i 18 e i 49 anni, lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio, come rilevato da un recente rapporto dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche.

Questo insieme di elementi testimonia la persistenza di un problema strutturale di inclusione e accesso delle donne al mercato del lavoro e ai suoi ruoli chiave, con un impatto che investe anche la trasformazione digitale del Paese.

“L’elefante nella stanza”: il mismatch tra domanda e offerta

La cartina al tornasole della carenza di competenze ICT è offerta dalla mancata corrispondenza tra esigenze delle aziende e capacità di soddisfacimento da parte del sistema formativo.

La cronica difficoltà nel reperire talenti qualificati rende complicato per molte aziende stare al passo con i rapidi cambiamenti tecnologici e normativi. Il settore ICT evolve rapidamente, richiedendo specializzazioni e competenze di base in tecnologie trasformative e in ambiti oggi a forte sviluppo come la cybersecurity, il cloud e l’intelligenza artificiale, sostenuti da trend di portata globale. Il suo ruolo, non dimentichiamolo, è quello di abilitatore dell’innovazione da cui dipendono la capacità competitiva dell’intero tessuto economico e la crescita del Paese.

Secondo l’Osservatorio sulle Competenze Digitali 2023, realizzato da AICA, Anitec-Assinform e Assintel, in collaborazione con Talents Venture – dati riportati dalla testata Innovation Post – nel 2022 il mercato del lavoro italiano scontava un buco di 175mila specialisti, con una gara a contendersi le risorse che vede tutt’ora contrapposte le grandi aziende e la miriade di imprese, soprattutto micro, del variegato settore IT.

Vero è che da tempo gli atenei hanno incrementato il numero di corsi ICT ma va tenuto conto che ciò equivale pur sempre a meno del 10% dell’intera offerta formativa. Di qui il numero di laureati in ambito tecnologico che ogni anno si affacciano al mondo del lavoro: circa novemila. Un dato certamente esiguo al quale si associa l’elemento della predominanza maschile.

Incoraggiante, per contro, l’indicatore di fonte Eurostat secondo cui, proprio l’Italia, sta registrando un significativo aumento di laureate nell’area STEM. Siamo al 39% rispetto al totale dei corsi di studio, percentuale tra le più alte d’Europa.

gender

C’è l’impegno delle imprese

È chiaro che una risposta a tutto ciò non potrà prescindere da una logica di crescente cooperazione tra politiche pubbliche e investimenti privati, coniugando impegno e risorse. Il Paese ha certamente bisogno di un nuovo contratto sociale capace di tenere insieme imprese, scuola, associazioni di categoria e istituzioni, rafforzando l’ecosistema pubblico-privati per ‘fare squadra’. Di più e meglio.

Nel frattempo, il superamento del divario che impatta sulle competenze e sulle differenze di genere resta al centro delle strategie e dei programmi di intervento di un numero crescente di imprese, impegnate a coltivare capitale umano di valore e a essere identificate quali “datori di lavoro preferiti”. La competizione per attrarre talenti, cui abbiamo fatto cenno prima, è senza sosta.

Da un lato ci si adopera quindi per offrire alle proprie risorse, senza soluzione di continuità, ‘training on the job’ per lo sviluppo di soft e hard skill così come processi di upskilling e reskilling, considerando che i tempi di dimezzamento medio delle competenze si sta assottigliando sempre di più.

Dall’altro, figlia di un indiscutibile cambiamento culturale, risulta sempre più comune e trasversale l’implementazione di politiche di inclusione attiva, capaci di promuovere la diversità di genere, al pari di altre, e di creare un ambiente di lavoro che alimenta senso di appartenenza e motivazione.

La trasformazione digitale ha bisogno delle donne

Programmi di mentorship, networking e formazione mirata per l’abilitazione professionale giocano qui un ruolo chiave come catalizzatori di consenso, stimolatori di impegno e produttività.

L’obiettivo comune è quello di sostenere il più possibile la partecipazione femminile al mondo del lavoro, aiutando le donne a esprimere tutto il potenziale di cui sono portatrici e di cui la trasformazione digitale ha un forte bisogno.

Non perseguirlo con determinazione, giorno dopo giorno, ci farebbe commettere un grave errore che il Paese non può davvero permettersi.