Lo stanco impero americano e il potere del dollaro

scritto da il 26 Luglio 2024

Post di Thomas Avolio Deputy CEO e Principal di Redfish Listing Partners – 

Da quando Nixon ebbe l’intuizione di liberarsi lo zaino dalla zavorra per poter correre più veloce, rinunciando al gold standard – la cui funzione era quella di ancorare il dollaro all’oro, l’economia americana decollò letteralmente, consentendo di fatto alla sua banca centrale, la Federal Reserve, di comportarsi in maniera iper espansiva nei vari cicli economici, perseguendo a livello governativo al contempo forti politiche di deregolamentazione, ricetta capace di creare un fertile terreno per la crescita.

Avere una currency “pagabile a vista” significava garantirne il valore con un sottostante, basti pensare all’evoluzione delle monete, una volta coniate in metallo prezioso e dunque direttamente dotate di un valore intrinseco riconducibile alla scarsità del materiale di cui esse erano composte.

Ne consegue che – relativamente al vecchio modello gold-linked, maggiore era la quantità di moneta in circolazione, maggiore era la quantità di riserve auree necessarie a contro garantire il dollaro.  Questo paradigma tuttavia presentava diverse criticità, tra cui certamente il costo di estrazione e detenzione dell’oro, ma soprattutto l’evidenza secondo cui nel caso di una forte espansione economica, la scarsità che comunemente determina il valore di un bene, diventa al contrario un freno per la crescita.

Oro e ricchezza

La ricchezza di una nazione, il valore della sua currency, infatti, non è infatti da ricercare nella quantità di oro detenuto nei caveau, quanto più nella capacità di produrre beni e servizi ad alto valore aggiunto, nel suo livello di innovazione (anche sociale) e nelle università – culla dello sviluppo del capitale umano.

Da qui la bontà dell’intuizione americana – capace di far di necessità virtù – slegando il dollaro dall’oro e iniettando liquidità nel sistema attraverso massicci programmi di acquisto di Treasury per finanziare l’accrescimento della leva con la Fed come compratore d’ultima istanza. Pratica comune anche tra i paesi meno virtuosi, il cui epilogo è quello di generare inflazione incontrollata. Tuttavia, agli Stati Uniti questo non capitò.

dollaro

Il motivo è da ricercarsi nell’egemonia imperialista degli Stati Uniti: il dollaro è divenuto collateralizzato dal suo Esercito. Infatti, gli Stati Uniti d’America sono una superpotenza e, in quanto tali, giocano una partita geopolitica fatta di strategia e non di tattica.

In quanto superpotenza, vivono l’economia come strumento finalizzato all’esercizio dell’egemonia, non come scopo ultimo dell’esistenza, come invece accade ai paesi satelliti dell’Impero. È stato così per la Pax Romana, per l’egemonia inglese, ed è così per l’Impero Americano – che non vive di economia, ma di Gloria.

Stati Uniti nazione stanca di egemonia? 

Ma quanto è sostenibile l’esercizio di polizia del mondo per gli americani, che stanno vivendo una profonda crisi d’identità? Una nazione stanca di farsi carico dei costi della globalizzazione, in cerca di dividere l’onere con noi, che abbiamo beneficiato dell’ombrello americano per l’ultimo secolo.

Questo dipende anche dalla sostenibilità del loro debito. O meglio, dalla percezione che il mercato ha circa la sostenibilità del loro debito.

A dicembre 2023, il debito pubblico totale statunitense ammontava a 33mila miliardi di dollari, pari a circa il 129% del Pil e a circa 7 volte le entrate fiscali. In valore assoluto significa poco questo dato, ciò che importa è la solvibilità dello Stato in termini di reputation ancorché di movimento del debito sul tasso di crescita del Prodotto interno lordo. E se il primo punto riguarda il rischio di de-dollarizzazione, il secondo ne è una diretta conseguenza.

Essere una superpotenza costa moltissimo

E allora come mai il debito americano è cresciuto così tanto nell’ultimo secolo, soprattutto in rapporto al Pil? Ebbene, essere una superpotenza ha un costo, la globalizzazione ha un costo. Enorme. Ed è anti-economico per definizione.

Gli Usa non sono uno Stato tradizionale, non operano secondo le logiche che caratterizzano l’operato europeo dalla costituzione della sua Unione. Confrontarne le politiche e conti pubblici con quelli dell’EU sarebbe come – per usare una nota metafora scolastica – paragonare mele con pere.

E nonostante il debito governativo statunitense sia cresciuto vertiginosamente (sia in valore assoluto sia in rapporto al GDP) dal dopoguerra in avanti, lo è anche l’economia degli Stati Uniti – e pure con ritmi incomparabili rispetto ai tassi di crescita europei dell’ultimo ventennio: negli anni 2000 infatti, Stati Uniti ed Europa si aggiravano nell’intorno rispettivamente di 10mila e 7mila miliardi circa di Pil. Ventitré anni dopo, i numeri mostrano come il passo degli Usa sia decisamente un altro rispetto a quello europeo: 27mila miliardi di dollari contro 18mila, ovvero il 266% in più contro il 155% europeo.

L’enorme spread fra il vecchio e il nuovo continente

Questo marcato spread tra il vecchio e il nuovo continente è dovuto all’incredibile proliferare di trillion dollar company tecnologiche statunitensi rispetto al tessuto ancora molto frammentato nonché di old economy europeo. Infatti, la tanto criticata deindustrializzazione americana va necessariamente letta collocando gli Usa nel periodo storico egemone che stanno vivendo: gli imperi hanno per definizione una bilancia commerciale a saldo negativo, poiché devono essere importatori netti.

Al 2023 gli USA mostrano ancora una volta un saldo nella bilancia commerciale negativo per oltre 770 miliardi di dollari, fattore ricorrente negli anni che porta ad incrementare – assieme al costo della difesa – l’andamento apparentemente fuori controllo del loro debito.

L’aver dislocato la manifattura all’estero causando la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro ha al contempo mutato pelle al tessuto produttivo americano, rendendolo più service e added value oriented, diventando di fatto il più grande incubatore di innovazione e Platform Software al mondo – pensiamo ad Amazon, Meta, Alphabet, Nvidia, Apple e potremmo continuare a lungo.

Il potere del dollaro

E dunque, se gli Stati Uniti non hanno più un tessuto industriale capace di competere per prezzi e know-how con il resto del mondo, avendo reso di proposito la loro cintura “arrugginita” (the Rust Belt), cosa esportano oltre alla loro tecnologia – che numeri alla mano non è sufficiente a controbilanciare la spesa pubblica monstre?

La risposta è dollari. L’America esporta dollari. Commodities tradate prevalentemente in USD e F-22 Raptor fanno il resto.

Questo è ciò che rende una superpotenza tale. Infatti, la sostenibilità del debito americano non è semplicemente una questione quantitativa, ma dipende dalla credibilità del dollaro, dell’egemonia statunitense e dalla sua capacità di deterrenza.