E-commerce boom: è davvero possibile la transizione green?

scritto da il 27 Giugno 2024

Post di Federico Pozzi Chiesa, Founder & CEO di Supernova Hub e Group VEO di ITLM – 

Ogni giorno viene spedita merce per un volume corrispondente a 108 Boeing 777 solo dai primi quattro operatori e-commerce cinesi (Shein, Temu, Alibaba, TikTok). In questo dato, contenuto nell’ultimo report di Casaleggio e Associati sul settore, c’è l’intera fotografia del commercio elettronico mondiale. Che è sempre più un fenomeno di massa e vede vacillare il dominio di Amazon.

L’aumento smisurato degli acquisti online e l’emersione della Cina come grande venditore (non propriamente un Paese che pone in cima all’agenda politica la sostenibilità ambientale) rendono più urgente affrontare il problema della transizione green del settore. Che purtroppo è inquinante quanto il commercio tradizionale, se si considera il life cycle assessment, il ciclo di vita del prodotto, includendo tutte le fasi precedenti all’ultimo miglio (dunque la produzione, lo stoccaggio con tutto ciò che ne consegue in termini di manutenzione del magazzino e consumo del suolo, fino alla gestione del reso e alla questione spinosa del packaging). Allora diventa necessario un impegno da parte di tutti gli stakeholder per spingere sull’acceleratore della svolta green.

E-commerce, vale 7mila miliardi e arriverà a 8mila nel 2026

Anche perché il trend di crescita è inarrestabile e da qui non si torna indietro. Secondo lo studio di Casaleggio e Associati, il mercato globale nel 2024 supererà i 6,9 mila miliardi di dollari di fatturato, per arrivare a oltre 8 mila miliardi nel 2026. Il valore delle vendite online in Europa è stato pari a 628 miliardi di euro (+10%): il valore dovrebbe superare i 700 miliardi di euro entro il 2028, con un tasso di crescita annuo (CAGR 2024-2028) pari al 7,69%. In Italia, infine, il fatturato 2023 è stimato in 80,55 miliardi di euro, con una crescita annuale del 27,14%.

I Paesi con maggiore spesa pro capite per i beni di consumo online sono Hong Kong con 3.830 dollari all’anno, seguito da USA (2.700) e UK (2.170). L’Italia si posiziona diciassettesima con 1.400 dollari, guadagnando quattro posizioni rispetto allo scorso anno. La Cina si conferma il mercato più grande al mondo, responsabile di quasi il 50% delle transazioni online, per un valore stimato a 3,5 trilioni nel 2024. Seguono gli Stati Uniti, con un valore di 727 miliardi di dollari nel 2023, e il Regno Unito, con 143,8 miliardi di euro. Le stime di crescita dal 2024 vedono protagonisti soprattutto gli Stati Uniti, l’India e il Messico, con tassi di crescita annui fino al 2028 vicini al 12%. Per la Cina è previsto un tasso di crescita invece del 9,97%, più allineato al tasso a livello globale che è stimato al 9,83%.

L’urgenza della sostenibilità

Questi numeri portano con sé un carico problematico per l’ambiente. È vero che secondo il report sull’e-commerce BtoC di Netcomm e Politecnico di Milano, l’impatto ambientale dello shopping online è inferiore fino al 75% rispetto a quello fisico. Ma si tratta di un dato parziale, che tiene conto, per lo shopping online, solo dell’ultimo miglio e di modalità effettivamente green come la consegna in punti di ritiro. Mentre per lo shopping tradizionale si considerano “i viaggi di andata e ritorno dei clienti e il mantenimento del negozio”, che pesano per il 90% dei 2,59 kg di CO2 generati per ogni pacco che si muove.

Questo dato, nel commercio online, troverebbe la sua corrispondenza nei magazzini e nella logistica correlata. Senza considerare ciò che spesso avviene sul fronte del packaging, ovvero il fenomeno dell’overpacking (vale a dire l’utilizzo di scatoloni di misura standard perciò spesso più grandi degli oggetti che devono contenere) e il fenomeno dei resi selvaggi. Insomma, che l’e-commerce sia più sostenibile è in realtà un’illusione, e c’è tanta strada da fare per renderlo effettivamente green. Ma non è una missione impossibile.

Un limite alla svolta green dell’e-commerce: il packaging

Il punto forse più dolente dell’e-commerce, quando si parla di sostenibilità, risiede in due fattori diversi: gli imballaggi e i resi.

Una ricerca di DS Smith, leader globale del packaging, rivela che ogni anno solo in Italia sono consegnati oltre 64 milioni di metri cubi di aria a causa di imballaggi eccessivamente grandi, per un volume pari a più di 25.000 piscine olimpioniche. Questo comporta: 3,9 milioni di viaggi di consegna non necessari, che rilasciano nell’atmosfera 66.087 tonnellate di CO2 ogni anno. E un costo di 31,5 milioni di euro per acquistare 150.798 tonnellate di cartone che non servono. Inoltre, sulle scatole vengono utilizzati 371,8 milioni di metri quadri di nastro adesivo, una superficie che coprirebbe più di due volte la città di Milano, oltre a 64,1 milioni di metri cubi di imballaggio secondario – in carta o in plastica – un volume in grado di riempire per circa 48 volte il Colosseo.

Rendere le scatole della misura esattamente necessaria a contenere gli oggetti trasportati consentirebbe un risparmio (economico e CO2) rilevantissimo. Ed è qualcosa a cui le aziende stanno lavorando. Ci sono macchine capaci di confezionare il packaging in maniera sartoriale intorno all’oggetto da spedire, grazie alla scansione laser item per item. In 24 ore la stampante è in grado di produrre circa 12mila scatole, nella dimensione necessaria per contenere l’oggetto da spedire, con una precisione millimetrica e con una resistenza maggiore del normale preformato – fronteggiando così l’80% delle esigenze di confezionamento e con uno scarto minimo. In questo modo è possibile ridurre la quantità di cartone utilizzato, quella di aria e di materiale anti-urto, ma anche di utilizzare i piccoli scarti di materiale come riempitivo per le spedizioni di altre linee.

Ottimizzare il carico dei TIR

Alla tematica del packaging è collegata quella del carico dei TIR: producendo imballi delle dimensioni minime necessarie si consente di ottimizzare il carico trasportato, evitando il problema ormai noto dei mezzi che lasciano i magazzini senza essere carichi al 100%. Ma esistono anche altre soluzioni per ottimizzare i carichi: sempre per Italmondo, Supernova Hub (incubatore del Gruppo ITLM) insieme all’Università DTU di Copenaghen e l’Istituto ETH di Zurigo ha avviato un progetto Truck Loading Optimization, rivolto alla creazione di un modello matematico per l’ottimizzazione dei piani di carico dei TIR. Un progetto di che è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica IFORS e che permette di efficientare le attività operative, ridurre l’impatto ambientale e anche i costi.

Questione di reputazione (le strategie di sostenibilità di Amazon & Co)

Insomma, molte imprese del settore, a partire dalle più grandi ma non solo, si stanno muovendo per rendere l’e-commerce più sostenibile. Anche perché ne va della stessa reputazione aziendale: nel 2023, rispetto al 2022 e anche al 2021, a livello globale sono aumentate le ricerche online contenenti termini come “riciclabile”, “sostenibile”, “biologico”, “ricaricabile”.

E accadrà sempre di più man mano che a consumare sarà sempre più la Gen Z: negli Usa il 40% dei consumatori sotto i 25 anni tiene in considerazione l’impatto ambientale delle proprie azioni, contro il 29% della popolazione generale. Più del 40% dei consumatori statunitensi tra i 18 e i 24 anni sarebbe disposto a pagare di più per acquistare prodotti locali, biodegradabili o realizzati con materiali eco-friendly o riciclati. E le percentuali restano superiori al 20-30% anche per la fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni.

Anche in Italia la coscienza ambientalista è simile: negli ultimi 12 mesi, un consumatore su due ha acquistato o venduto un oggetto di seconda mano online. Il 45% lo fa per cercare di ridurre i rifiuti, il 39% per estendere la vita dei prodotti (in Europa invece la ragione principale resta il risparmio economico).

Sostenibilità: le strategie dei big

L’interesse dei consumatori per la sostenibilità si traduce nell’attuazione di strategie aziendali mirate da parte dei grandi player. A partire da Amazon che ha avviato “The Climate Pledge“, progetto il cui obiettivo è raggiungere emissioni zero entro il 2040 grazie a veicoli elettrici e all’utilizzo di energia rinnovabile. Zalando ha lanciato invece “do.MORE”, per ridurre le emissioni tramite l’utilizzo di energie green. Ebay ha in essere un programma per la vendita di prodotti tecnologici ricondizionati con lo scopo di promuovere l’economia circolare. Zara ha introdotto la possibilità di rivendere prodotti usati (nel Regno Unito e in Francia, e a breve anche in Spagna e Germania). Anche Decathlon dispone nei punti vendita di una sezione con prodotti usati ma ancora in buone condizioni.

Resi selvaggi e come evitarli

Il proliferare dell’e-commerce ha fatto esplodere anche il fenomeno del reso selvaggio. È in particolare la moda il settore dove la restituzione degli articoli è diventata un problema di sostenibilità sia ambientale che economica. Perché i consumatori hanno imparato ad acquistare diverse taglie dello stesso capo, per esempio, per provare quella che dona di più, generalmente stimolati da politiche di reso gratuito. Il valore mondiale dei resi è stimato a più di 550 miliardi di dollari, di cui il 23% (126 miliardi di dollari) imputabili al mercato europeo. Il tasso dei resi del commercio online è del 30% contro circa il 9% dei negozi brick and mortar. In media i tassi di reso del fashion globale si attestano attorno a un 45%, ma in Italia la stima è più bassa (circa un 20% di resi sul totale degli acquisti).

Il costo economico del singolo reso oscilla tra gli 8 e i 12 euro, mentre il costo in termini di emissioni è stimato a 2,78 kg di CO2 per reso. Il grandissimo problema ambientale dei resi è la loro distruzione: una pratica che per i brand è più conveniente che tenerli per mesi o anni in deposito o farsi carico della riconsegna al produttore. Un report della European Environment Agency stima che nell’Unione europea circa un terzo (22-43%) di tutti i capi di abbigliamento acquistati in rete e restituiti finisca al macero.

Scende in campo l’intelligenza artificiale (AI)

Il problema è fin troppo evidente per ignorarlo. E così nell’ultimo anno i maggiori negozi online hanno ipotizzato delle strategie: addebitare i costi di restituzione (lo hanno fatto per esempio sia Zara che H&M anche in Italia), o utilizzare la tecnologia, in particolare l’AI, per ridurre le richieste di reso. H&M per esempio sta utilizzando l’AI per affinare le raccomandazioni di prodotto e rendere meno visibili determinati articoli a clienti che avrebbero maggiori probabilità di effettuare il reso.

Zalando ha già implementato un sistema di suggerimento taglie. Giglio.com, con strumenti simili di size prediction, ha dichiarato un tasso di reso molto inferiore alla media (12%). Con un’ottica ancora diversa ha cercato di contenere l’impatto dei resi anche l’e-commerce francese Veepee. Il programma si chiama “Re-turn” e consente al cliente di portare un reso in un punto di ritiro dove il prodotto viene immediatamente rimesso in vendita a prezzo scontato, e se rivenduto in tempi brevi viene direttamente rispedito senza nemmeno passare dai magazzini dell’azienda. Dal 2020 In questo modo la società ha già rivenduto più di 700mila resi.

Insomma, per fare dell’e-commerce un settore realmente sostenibile, è necessario l’impegno di tutti gli operatori del mercato. Ed è un impegno che fa bene al mondo, senza dubbio, ma che ritorna anche sul bilancio, creando la solidità dei veri campioni di domani delle vendite online.

 

Supernova Hub

Supernova Hub è l’incubatore di ITLM, il Gruppo guidato da Federico Pozzi Chiesa che controlla Italmondo SpA, da 70 anni tra i leader del settore dei servizi logistici italiani ed internazionali. Nato nel 2015 ha investito circa 20 milioni di euro in start up e scale up tra cui Sendabox, Termo e Opyn e 10 milioni del progetto di ristrutturazione del coworking.