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Quando il caporalato strizza l’occhio alla moda. Quali soluzioni?
Post di Rita Santaniello, avvocato co-responsabile del dipartimento di diritto del lavoro e della practice di sostenibilità dello studio Rödl & Partner –
Duemilaseicento euro è il prezzo del cartellino di una borsa in vendita in boutique che, però, veniva prodotta da un opificio cinese a un costo di 53 euro, ma soprattutto, come reso noto dai Carabinieri “che la lavorazione avveniva in condizione di sfruttamento, in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico“.
Questi sono i dettagli che hanno portato il tribunale di Milano a disporre della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria di Manufactures Dior srl, società produttrice di borse e pelletteria di alta moda, che ha come socio unico Christian Dior Italia srl, in un’inchiesta, appunto, sullo sfruttamento nel mondo del lavoro. Un’indagine, tra l’altro, che arriva a soli pochi mesi di distanza da quelle che hanno fatto emergere metodi di produzione simili anche per Alviero Martini e Armani, e che fanno sentire l’esigenza di mettere in atto direttive atte a prevenire, mitigare o ridurre al minimo gli impatti sui diritti umani e sull’ambiente.
Caporalato vs. sostenibilità, aspettando la nuova direttiva Ue
Infatti, in attesa della travagliata Corporate Sustainability Due Diligence Directive UE (CSDDD o Supply Chain Act), le grandi imprese sono chiamate ad agire subito per integrare la sostenibilità nei loro processi. Quello che serve è una vera e propria presa di coscienza e assunzione di responsabilità per il rispetto dell’ambiente e delle persone. In particolare, nei casi di cronaca recente, è emerso un carente sistema di gestione e controllo della filiera, demandata alla semplice sottoscrizione di codici etici e ad audit poco efficaci, spesso meramente formali.
La Direttiva, approvata prima dal Parlamento e poi dal Consiglio UE il 24 maggio 2024, verrà applicata in modo graduale a partire dal 2027 e, a pieno regime, dal 2029, si applicherà alle società con più di 1.000 dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato.
Risk management, che cosa devono fare le aziende
Anche se al momento la CSDDD non è ancora applicabile e anche se in futuro si applicherà solo alle imprese più grandi, sin da subito le imprese devono attrezzarsi per integrare un effettivo ed efficace sistema di risk management esteso alla filiera, provvedere a un monitoraggio concreto dei propri fornitori e accompagnarli con il proprio supporto e sostegno (in termini economici e di know-how) lungo un percorso di transizione verso un modello di business più sostenibile che parte proprio dal presidio della compliance.