categoria: Tasche vostre
Tra conflitti di interessi e costi, quali consulenti finanziari scegliere?
Post di Costantino Forgione, consulente finanziario aofs* –
Nelle ultime settimane il sistema bancario ha inviato ai propri clienti il rendiconto annuale “Costi ed Oneri” previsto dalla normativa Mifid 2, in cui vengono comunicati ai risparmiatori i costi sostenuti sugli strumenti di investimento che gli sono stati venduti.
Quello dei costi elevati, insieme al conflitto di interessi tipico dei promotori, è il principale strumento di marketing utilizzato dai consulenti finanziari autonomi (o indipendenti) per cercare di convincere i risparmiatori a lasciare il proprio consulente bancario per passare alla consulenza indipendente. Per i consulenti autonomi il recente rilascio del rendiconto sui costi è stato quindi una buona occasione per tornare sull’argomento.
Le diverse figure di consulenti
Su Econopoly abbiamo già parlato delle varie figure di consulenti finanziari presenti in Italia: in sintesi rammentiamo che oltre ai consulenti finanziari bancari, gli ex promotori oggi ridenominati “consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede” (Cfaofs), dal dicembre 2018 è stata introdotta in Italia la nuova figura di consulente finanziario autonomo (CFA) che, per legge, non può lavorare per nessuna istituzione bancaria né può percepire commissioni dai prodotti che consiglia: l’unica forma di remunerazione che può ricevere per la sua attività è una parcella esplicita pagata direttamente dal cliente. A loro volta i CFA possono lavorare da soli o all’interno di una SCF, Società di Consulenza Finanziaria, che è anch’essa totalmente indipendente da banche e simili e, per svolgere la propria attività, può avvalersi della collaborazione di soli consulenti autonomi.
Conflitti di interessi
Con queste nuove figure professionali si è voluto garantire al risparmiatore che le raccomandazioni di investimento che riceve siano effettivamente formulate nel suo interesse e non in quello del promotore, che potrebbe consigliare – come in effetti accade – alcuni strumenti piuttosto che altri perché su quei prodotti percepisce maggiori commissioni: si è voluto così eliminare il conflitto di interesse tipico dei promotori, che sono agenti di commercio la cui consulenza è propedeutica alla vendita di prodotti gravati da commissioni che retribuiscono lui e la banca per cui lavora. Dato che le commissioni addebitate nel prodotto di investimento raccomandato dal promotore costituiscono in parte il suo guadagno, è evidente che questi possa avere interesse a vendere i prodotti più costosi, con un evidente conflitto di interessi tra cliente e consulente. I consulenti autonomi sono invece esenti da questo conflitto.
I consulenti finanziari autonomi spingono molto la loro comunicazione sul tema del conflitto di interessi e degli elevati costi dei prodotti venduti in banca, tuttavia anche la loro figura non è totalmente esente da potenziali criticità di cui si parla poco e di cui il risparmiatore dovrebbe essere consapevole.
Il successo dell’iniziativa
Al lancio dell’albo ci si aspettava che il numero di consulenti finanziari autonomi sarebbe aumentato rapidamente sulla scia dell’entusiasmo dei risparmiatori per questa nuova figura, finalmente scollegata dal sistema finanziario e dal suo ineliminabile conflitto di interessi.
Le cose sembrano essere andate diversamente, con un totale di iscritti all’albo CFA che dopo 6 anni non ha ancora raggiunto le 700 unità, contro circa 52.000 consulenti iscritti all’albo Cfaofs, di cui circa 30.000 attivi (cioè con mandato di una banca/rete). Questo è sicuramente dovuto alla relativa novità di questa figura, ma anche al fatto che molti risparmiatori italiani, purtroppo, non sono disposti a pagare** una parcella per i servizi di consulenza finanziaria che ricevono (vedi pagina 112 del rapporto Consob) e preferiscono continuare ad investire in banca dove si illudono di “non pagare nulla” finendo invece per pagare molto più di quanto dovrebbero, per investire in strumenti inefficienti che gli fanno perdere soldi (i fondi comuni di cui abbiamo già parlato su Econopoly, polizze, GPF e così via).
Costi ed inefficienze dei prodotti di risparmio gestito venduti in banca sono argomenti che ho illustrato su Investire senza trappole.
Le varie professionalità dei consulenti finanziari autonomi
L’albo dei consulenti autonomi è stato creato pochi anni fa e, se si escludono alcune figure senior che avevano già iniziato questa professione ben prima della creazione dell’albo sfruttando il regime transitorio allora previsto, molti CFA sono giovani che hanno studiato quanto basta per superare l’esame da consulente ed hanno iniziato la professione da poco tempo.
Si tratta di ragazzi che spesso non hanno nessuna esperienza in materia e che non vengono assolutamente formati da un singolo esame di ammissione all’Albo che per l’80% circa verte su nozioni di diritto, non su finanza e mercati. Ovviamente questo vale anche per i giovani che vengono reclutati da banche e simili, ma mentre i giovani che vengono inseriti in una banca/rete o in una SCF possono contare sull’affiancamento di una figura più senior che li formi adeguatamente nel tempo, questo non può avvenire per quei neo CFA che decidono di lavorare in modo totalmente autonomo, fuori da una SCF (sono circa la metà dei 682 consulenti finanziari autonomi attualmente iscritti all’albo).
Altre persone più avanti con gli anni hanno esperienze pregresse completamente diverse e cercano di reinventarsi come consulenti finanziari: leggendo i loro profili LinkedIn troverete consulenti indipendenti che fino a poco tempo prima si occupavano di tutt’altro. Nessuna obiezione ovviamente, la professione è aperta a chiunque superi l’esame, ma la loro professionalità non è sempre necessariamente eccelsa ed il risparmiatore dovrebbe sempre controllare le credenziali professionali di chi gli si propone, Cfaofs o CFA che sia.
La realtà del doppio lavoro
Sorvolando sul fatto che, come in tutti gli ambienti, anche tra i CFA così come tra i Cfaofs si possono comunque trovare persone poco scrupolose, alcuni consulenti autonomi fanno in realtà un doppio lavoro, un normale lavoro a tempo pieno a cui aggiungono anche una seconda attività di consulenza finanziaria più o meno occasionale per arrotondare lo stipendio.
La dedizione alla professione (e al cliente) in questo caso può venire a mancare, creando un potenziale pregiudizio al cliente che non viene seguito bene come potrebbe accadere se l’attività di consulenza fosse un vero lavoro full time. È un potenziale conflitto di interessi diverso da quello dei promotori, ma comunque talvolta presente: è una situazione fortunatamente non frequente, ma anche in questo caso un controllo su LinkedIn è fondamentale.
Monitoraggio e controllo
Tutti i Cfaofs sono vigilati, oltre che dall’OCF – Organismo di vigilanza sui consulenti finanziari, anche dalla banca/rete per la quale lavorano che, generalmente, ha molto a cuore la propria immagine e vigila sugli eventuali comportamenti scorretti dei propri promotori per evitare danni reputazionali; lo stesso avviene per i consulenti finanziari autonomi inquadrati all’interno di una SCF. Questo garantisce un doppio controllo che sui CFA che lavorano da soli non può essere effettuato.
In questo senso, per i risparmiatori può essere di conforto sapere che il proprio consulente lavora all’interno di una realtà (banca, rete o SCF) che può essere di riferimento qualora ci fossero problemi, il che forse spiega la riluttanza di alcuni risparmiatori ad affidarsi a singoli consulenti totalmente scollegati da qualsiasi altra realtà.
E i costi?
I CFA generalmente sono meno costosi dei Cfaofs, e questo è il “selling point” principale dei consulenti autonomi quando parlano dei costi spropositati dei prodotti di risparmio gestito venduti dalle banche, ma la differenza non è sempre così rimarchevole: generalmente la parcella di un CFA è attorno all’1% annuo del patrimonio sotto consulenza, a cui si aggiunge l’IVA che porta il costo all’1,22%. A questo si aggiungono i costi degli ETF utilizzati, che oscillano tra lo 0,05% e lo 0,5% per un costo medio di portafoglio attorno allo 0,10-0,20% annuo.
Il totale di questi costi può quindi arrivare all’1,4% circa (a cui si aggiungono gli eventuali ulteriori costi della banca con cui bisogna effettuare le operazioni), che non è molto più basso di quello di un buon Cfaofs: sebbene mi capiti spesso di vedere portafogli in strumenti di risparmio gestito con costi annui scandalosamente elevati (dovrebbe essere imposto un limite di legge, come per l’usura), un buon portafoglio costruito da un Cfaofs scrupoloso di solito non supera costi dell’1,6-1,8%, leggermente superiori a quelli che si pagano rivolgendosi ad un CFA, ma con una innegabile maggiore semplicità di fruizione del servizio (vedi prossimo paragrafo).
Per il risparmiatore è quindi fondamentale controllare il proprio rapporto costi e oneri per vedere quanto sta effettivamente pagando per il servizio che riceve.
Resta comunque l’enorme problema della grave inefficienza dei prodotti di risparmio gestito consigliati dai promotori “a commissione” che, anche quando avessero costi in linea con quelli di un CFA, fanno comunque perdere soldi: anche di questo parlo su “Investire senza trappole“, spiegando come evitare il problema.
Complicazioni (e ulteriori costi)
Non avendo alcun legame con le istituzioni finanziarie, un CFA può solo indicare al proprio cliente le operazioni di investimento e disinvestimento da effettuare poi con la propria banca/broker, obbligando il cliente ad avere due rapporti, quello con il consulente per la consulenza e quello con la banca per fare le operazioni. La banca può poi addebitare ulteriori costi di esecuzione delle operazioni, che si aggiungono ai costi della parcella + IVA del CFA e a quelli degli ETF. È inoltre una procedura più complicata di quella ottenibile con un Cfaofs che, lavorando in banca, può lui stesso predisporre tutte le operazioni da effettuare e da sottoporre al cliente, senza doverlo indirizzare altrove.
Una terza, possibile via
Entrambe le figure di promotore e consulente autonomo non sono quindi esenti da potenziali criticità, per un motivo o per l’altro. Non sembrano esserci vincitori assoluti.
Per i risparmiatori esiste una terza possibilità, quella di appoggiarsi ad un Cfaofs che eroghi consulenza a parcella su base indipendente: sono quei consulenti che, pur non potendo definirsi indipendenti, perché non lo sono, hanno scelto di lavorare dall’interno di una istituzione finanziaria erogando solo consulenza a parcella, utilizzando esclusivamente ETF ed altri strumenti di risparmio amministrato privi di potenziali commissioni.
Oltre ad offrire un servizio più semplice, questa modalità consente di evitare l’IVA sulla parcella e, spesso, i costi aggiuntivi di esecuzione delle operazioni, contribuendo all’offerta di un servizio di qualità privo delle inefficienze del risparmio gestito e con un pricing competitivo. Per il risparmiatore che optasse per questa scelta è tuttavia fondamentale controllare che il Cfaofs a parcella selezionato poi si comporti effettivamente come tale, proponendo esclusivamente strumenti di risparmio amministrato su cui è impossibile percepire commissioni.
L’orientamento delle banche
Diverse banche e reti si stanno ormai orientando su questa modalità di erogazione del servizio di consulenza finanziaria, un po’ per l’indubbia qualità e la conseguente maggior richiesta da parte di alcuni clienti, un po’ perché anche i regolatori europei stanno spingendo in questa direzione e nessuna banca vuole rischiare di trovarsi spiazzata da un eventuale, improvvisa modifica della normativa che distruggerebbe l’attuale business model.
La sfida lanciata alle banche dalla consulenza finanziaria autonoma si sta quindi, lentamente, trasformando in una sfida che alcune istituzioni bancarie stanno rilanciando ai consulenti autonomi giocando sul loro stesso terreno, offrendo vantaggi di cui i CFA non possono disporre.
Sarà interessante vedere come si svilupperanno nel tempo le diverse figure professionali coinvolte.
Se vuoi parlarne mi trovi su LinkedIn
*Le opinioni riportate sono personali e non riflettono quelle di eventuali parti correlate.
**Il 57% dei risparmiatori non vuole pagare la consulenza finanziaria che riceve – Fonte Consob, 2022