categoria: Il denaro non dorme mai
Investire in idee rivoluzionarie, siamo pronti a rischiare capitali?
Post di Bruno De Stefano, banker e direttore dell’Expertise “Tech Startup & Innovazione” di The Smart Institute, un verticale che si occupa di studiare i fenomeni evolutivi e di digitalizzazione del mondo imprenditoriale del nostro Paese, e le ricadute che esse hanno sul tessuto economico italiano e sulle aziende, fornendo ai professionisti sia strumenti di analisi che strumenti operativi.
La storia italiana è sempre stata costellata da una miriade di inventori ed innovatori. Basti pensare a Leonardo da Vinci, a Volta, a Meucci, a Marconi, a D’Ascanio ed a Bialetti, solo per citare i più famosi nel mondo.
Cosa ha permesso alla maggior parte di questi innovatori di poter sperimentare, provare e riprovare inseguendo il loro sogno?
Investire nelle idee
Se non vi fossero stati concorsi ed esposizioni industriali, una prima legislazione sulla proprietà intellettuale e, soprattutto, degli imprenditori disposti ad investire nell’idea rivoluzionaria quanto folle di giovani inventori, non avremmo oggi il telefono, le batterie, i moderni “calcolatori”, la caffettiera, il paracadute e tanti altri oggetti che ci hanno cambiato e migliorato la vita.
I business angels del passato erano mecenati o imprenditori che scommettevano capitali familiari su una persona, su un team e la sua idea.
Pensate solo se Cristoforo Colombo non avesse trovato nei regnanti di Spagna il supporto finanziario per cercare di raggiungere le Indie in nave. Un capitale di rischio che ha reso alla Spagna migliaia di volte il suo investimento, pur non trovando le Indie.
Gli investimenti pre-seed
Comunemente si definisce con “early stage” la fase iniziale di una startup, corrispondente al pre-seed e seed. Tuttavia, la vera fase inziale è quella , in cui si finanzia solo l’idea ed il team che la vuole realizzare, ed è sì la fase più rischiosa in assoluto ma quella che genera maggior profitto in rapporto al suo investimento.
Il pre-seed è la prima fase della startup, quella di ideazione/prototipazione, ed il taglio medio è tra i 30 mila ed i 50 mila euro. Una fase embrionale in cui i finanziatori “scommettono” sull’idea che deve ancora prendere forma in un prototipo. È uno step cruciale affinché affiorino idee rivoluzionarie e si possa dare la possibilità di sperimentarle.
Investimenti in Italia e resto d’Europa
Guardando al nostro Paese, la bassa propensione al rischio, caratterizzata da una diffusa cultura dei “Bot people” della maggioranza di investitori, spiega perché la componente associata alla fase pre-seed ricopre, purtroppo, una parte solo residuale degli investimenti destinati all’early-stage. Anche se il 2023 ha segnato un significativo aumento , passando da un 16% ad un 28% dei round fatti in Italia, tuttavia, gli investimenti in valore assoluto rimangono su volumi bassi rispetto alla somma di tutti i round: solo 41M euro su un tot 1.176M euro (pre-seed, seed, A, B, C+).
Se rapportati poi al resto dell’Europa, vediamo come i numeri dell’intero ecosistema di Venture Capital in Italia siano sì in crescita ma ben lontani dall’essere quelli esprimibili dalla settima potenza industriale del mondo: Italia 1,1B; Spagna 1,7B; Francia 6,8B; Germania 6,5B; UK 15,9B.
Conclusione: investire sì, ma come
In questo momento storico l’Italia ha bisogno di più investitori che credano nelle idee dei sognatori. Ben vengano Venture Capital early stage, ma devono investire anche nella fase pre-seed e non solo nella fase successiva di validazione del modello di business e definizione del product-market fit.
Perché dunque non prevedere un credito d’imposta per il 100% degli investimenti fatti dalle aziende fino ad un massimo di 30/40mila euro annue? Ad oggi le società possono usufruire solo della deduzione al 30% per queste tipologie di investimento. Un imprenditore, invece, sarebbe invogliato dal credito d’imposta a scommettere nel suo settore d’attività sull’idea di qualche giovane.
Abbiamo necessità di non perdere neanche un’occasione di finanziare il nuovo “Colombo” alla scoperta del Metaverso.
LinkedIn: Bruno De Stefano