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Intelligenza artificiale, distinguere i proclami dalle cose concrete
Post di Massimiliano Masnada, Partner dello studio legale internazionale Hogan Lovells –
L’approvazione della bozza di Disegno di legge (Ddl) recante le disposizioni e la delega al Governo in materia di intelligenza artificiale (la “Legge IA”) è realtà da una settimana, dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri. A prima vista il Ddl è notevolmente migliorativo rispetto alla bozza, per la verità non ufficiale, circolata nelle scorse settimane, rispetto alla quale vi erano state molte (giuste) voci critiche.
In generale, le norme intervengono in cinque ambiti: la strategia nazionale, le autorità nazionali, le azioni di promozione, la tutela del diritto di autore, le sanzioni penali. Si prevede, inoltre, una delega al Governo per adeguare l’ordinamento nazionale al Regolamento UE in materie come l’alfabetizzazione dei cittadini in materia di intelligenza artificiale (sia nei percorsi scolastici che in quelli universitari) e la formazione da parte degli ordini professionali per professionisti e operatori. La delega riguarda anche il riordino in materia penale per adeguare reati e sanzioni all’uso illecito dei sistemi di intelligenza artificiale.
Intelligenza artificiale, perché il Ddl è perfettibile: l’ambito sanitario
A mio parere, al di là delle affermazioni di principio con cui non si può non essere d’accordo, continuano ad esserci alcune cose che potrebbero essere migliorate nell’ottica di uno sviluppo coerente ed efficace dell’IA in Italia.
Prendendo in esame le disposizioni di settore, ciò che mi convince di meno sono le previsioni in ambito sanitario e della ricerca scientifica. Si afferma giustamente, a mio parere, che i trattamenti di dati, anche personali, eseguiti da soggetti pubblici e privati senza scopo di lucro per la ricerca e la sperimentazione scientifica nella realizzazione di sistemi di intelligenza artificiale per finalità terapeutica e farmacologica, sono dichiarati di rilevante interesse pubblico. Ciò significa, quindi, che l’uso di dati dei pazienti per l’allenamento degli algoritmi di intelligenza artificiale nell’ambito della ricerca scientifica è esente dal consenso degli interessati.
Tuttavia, non si comprende perché questa previsione valga soltanto per i soggetti pubblici e gli enti non a scopo di lucro, lasciando scoperta una parte rilevantissima della ricerca scientifica che viene effettuata da istituti privati o anche società farmaceutiche che agiscono da sponsor rispetto a studi e ricerche che necessitano di fondi che i soggetti pubblici non sono in grado di reperire. Peraltro, sembrerebbero esclusi tutti quegli istituti e centri di ricerca privati, anche se convenzionati con le regioni e le ATS. E’ auspicabile un chiarimento in tal senso.
Il regime autorizzatorio per sperimentazione e ricerca
Inoltre, con riferimento all’uso secondario dei dati per la ricerca medica, seppur si afferma il principio che i sistemi di intelligenza artificiale contribuiscono al miglioramento del sistema sanitario e di cura delle malattie nel rispetto della trasparenza e dei diritti fondamentali, quando si parla di sperimentazione e ricerca si introduce un regime autorizzatorio rispetto all’uso secondario dei dati medici che è incoerente con il diritto comunitario e anche con la recente modifica dell’art. 110 del Codice Privacy, approvata proprio quasi contemporaneamente con la conversione in legge del DL PNRR (modifica questa, peraltro, non esente da critiche poiché troppo debole rispetto alle esigenze del settore).
Nel Ddl sull’intelligenza artificiale è infatti previsto che l’uso dei dati personali dei pazienti per i sistemi di IA, oltre all’approvazione dei comitati etici interessati, deve essere comunicato al Garante per la protezione dei dati personali e che i trattamenti possono essere iniziati decorsi trenta giorni dalla predetta comunicazione se non oggetto di blocco disposto dal Garante medesimo.
Questa previsione è palesemente contraria al GDPR e al Codice Privacy laddove è esclusa l’approvazione del Garante, anche solo sotto forma di silenzio-assenso, se il trattamento è necessario per un interesse pubblico ovvero è previsto da una legge che gli attribuisce una finalità pubblica rilevante. Inoltre, anche la citata recente riforma dell’art. 110 del Codice Privacy elimina la necessità di ricorrere a consultazione preventiva del Garante in caso di uso secondario dei dati medici per la ricerca medica, rinviando al rispetto di regole deontologiche di settore che il Garante dovrà adottare in ragione delle proprie competenze. E’ palese l’incoerenza tra le due norme approvate peraltro lo stesso giorno.
Gli investimenti in tecnologia basata sull’intelligenza artificiale
L’altra disposizione del DDL che merita attenzione è quella relativa agli investimenti per favorire lo sviluppo di tecnologia basata sull’IA. La norma appare poco di più di una affermazione di principio; si prevedono investimenti per un ammontare complessivo di 1 miliardo di euro, nei settori dell’intelligenza artificiale, della cybersicurezza e del quantum computing delle telecomunicazioni e delle tecnologie per queste abilitanti, al fine di favorire lo sviluppo, la crescita e il consolidamento delle imprese operanti in tali settori. Tali investimenti sono effettuati anche mediante l’istituzione di uno o più fondi appositamente dedicati e mediante coinvestimenti di altri fondi gestiti da CDP Venture Capital Sgr.
Chi attendeva un elenco più specifico delle misure concrete è stato deluso. Probabilmente si dovrà aspettare i decreti delegati. Anche la somma stanziata non sembra all’altezza di quello che stanno facendo gli altri Stati UE (lascerei stare USA e Cina che giocano in un altro campionato). La Francia con Macron ha annunciato investimenti per circa 7 miliardi. In Germania, la sola Microsoft ha annunciato investimenti nelle infrastrutture per il calcolo quantistico per circa 3,2 miliardi. E’ pur vero che per competere con USA e Cina, oltre che a normative comuni, serve anche un piano di investimenti da parte dell’UE.
Una via italiana all’intelligenza artificiale?
In tal senso, mi rimetto alle sagge parole di Mario Draghi che ha auspicato investimenti in tecnologia per 500 miliardi. Certo è che questa partita politica in UE appare in salita se si vuole promuovere “una via italiana” all’IA. Ma su tali ragionamenti di politica industriale, come al solito, occorrerà distinguere i proclami dalle cose concrete che riusciremo a fare.