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Risultato e fiducia, nuova frontiera del Codice dei contratti pubblici
Post di Giuseppe Fabrizio Maiellaro[1] –
I nuovi principi nel quadro generale del Codice dei contratti
Tra i punti cardine e cardinali della riforma legislativa introdotta dal Codice dei contratti pubblici del 2023 (D.Lgs. n. 36/2023), vi sono senza dubbio le previsioni del I Titolo della I Parte (artt. 1 – 12), che contengono i principi generali sanciti per orientarne e conformarne le previsioni e la loro corretta interpretazione e applicazione.
Questa parte delle nuove regole assume una rilevanza speciale e manifesta; e ciò non soltanto per la sua collocazione sistematica, ma anche perché, rispetto alla disciplina varata nel 2016 (cfr. il D.Lgs. n. 50/2016), i principi odierni si caratterizzano per una particolare valenza orientativa e operativa di cui i precedenti erano sprovvisti.
Nel D.Lgs. n. 50/2016, infatti, i principi fondamentali erano collocati in una unica norma (art. 30) e ricalcavano quelli canonici del diritto amministrativo e comunitario – economicità, efficacia, tempestività e correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità – come valori di riferimento da rispettare nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti pubblici.
I principi sanciti dal Codice dei contratti del 2023, invece, occupano oggi una parte primaria e significativa del corpo normativo, costituita da ben 12 norme, e, pur confermando e incamerando quei fondamenti “storici”, acquisiscono una funzione più pregnante e incisiva, ponendosi espressamente come chiave di lettura e interpretazione della legge, criteri di orientamento dell’azione amministrativa, parametri di condotta dei funzionari, metro di valutazione della correttezza e legittimità dei procedimenti e delle decisioni.
In alcuni casi, essi esprimono il diritto vivente degli appalti pubblici, facendo propri anche taluni specifici principi e criteri elaborati dalla giurisprudenza degli ultimi anni (comunitaria, costituzionale, amministrativa), e forniscono indicazioni operative che riguardano valori e aspetti rilevanti dei processi di acquisto (tutela dei lavoratori, servizi sociali di interesse generale, autonomia e gestione del contratto, etc.).
Tra questi principi, i primi tre sono espressamente qualificati dall’art. 4 del Codice dei contratti come criteri guida per l’interpretazione e l’applicazione degli altri principi e delle norme del Codice stesso: il principio di risultato (art. 1), quello della fiducia (art. 2) e quello dell’accesso al mercato (art. 3).
Questa innovativa codificazione dei principi mira a conciliare due esigenze fondamentali per l’attuazione effettiva della riforma del settore: riconoscere alla P.A. una quota sufficiente di autonomia e discrezionalità, che possa valersi di norme chiare, salde e flessibili per una efficace gestione del caso concreto, e al contempo evitare un uso distorto di tali principi e precetti, dotandoli di adeguata forza e concretezza, nel rispetto dei valori fondanti della normativa e del principio di buon andamento e imparzialità della P.A. sancito dall’art. 97 della Costituzione.
Va detto da subito che, tra tutti i principi affermati dal Codice dei contratti attuale, due di essi meritano una particolare attenzione, in ragione della funzione prioritaria e della carica innovativa che esprimono: i principi del risultato e della fiducia già richiamati.
Infatti, già solo la collocazione e la forza direttrice assegnate a questi due principi, così nuovi e dirompenti rispetto al quadro canonico dei principi di diritto ammnistrativo, offrono plastica evidenza degli obiettivi della riforma in esame e dell’indirizzo da essa impresso alle regole del settore.
Il principio del risultato e il principio della fiducia
Il primo principio da considerare è quello sancito dall’art. 1 del Codice dei contratti, ovverosia il principio del risultato.
Come detto, per la prima volta, in un corpus normativo di diritto amministrativo si attribuisce priorità strategica all’obiettivo concreto dell’azione della P.A., alla soddisfazione effettiva dell’interesse pubblico cui essa tende: il risultato, per l’appunto.
L’indicazione del legislatore è qui molto diretta ed efficace nella sua impronta riformatrice, sin dall’incipit del testo normativo dei primi due commi. In buona sostanza, con l’affermazione del principio del risultato il Codice vigente approccia alla materia in senso pragmatico e attribuisce un significativo primato a questo obiettivo, rispetto al quale i valori storici della legalità, della trasparenza e della concorrenza restano sì fondamentali e rilevanti, ma divengono ora anche “funzionali”, perché sono il mezzo tramite cui ottenere la stipula di un buon contratto, utile e produttivo, e una esecuzione tempestiva ed efficace dello stesso.
L’obiettivo dell’azione amministrativa, in quest’ottica, non può essere quindi solo la gara in sé, ma è l’affidamento e l’esecuzione di un contratto che assicuri prestazioni e risultati utili, oltre che tempestivi e corretti.
A onor del vero, il risultato, quale realizzazione degli obiettivi cui è preposta una azione pubblica (la costruzione di una strada, lo svolgimento di un servizio di manutenzione, la fornitura di prodotti, etc.), è sempre stato considerato un approdo del citato principio di buon andamento e imparzialità dell’art. 97 della Costituzione, e perciò dei principi di diritto amministrativo a ciò correlati (trasparenza, concorrenza, economicità, efficienza, efficacia, etc.). Ma è indubbio che, nella prassi, molte volte si è accordata una marcata preferenza a questioni di sola legittimità e conformità – quando non di eccessiva cautela – nell’interpretazione e attuazione della discrezionalità amministrativa, rinunciando a una condotta ugualmente legittima e conforme, ma più orientata all’ottenimento concreto del risultato – si pensi al blocco di molte procedure aggiudicate dovuto alla sola pendenza di un contenzioso, anche in assenza di misure di sospensione disposte dal giudice.
Non a caso, la Corte Costituzionale ha sottolineato al riguardo che la concorrenza non è un fine, ma uno strumento, che può essere “sacrificato” se ci sono interessi superiori da realizzare (cfr. sentenza n. 131/2020).
In questi termini, il Codice dei contratti impone quindi un salto di qualità davvero importante e innovativo, nella “canonizzazione” e nella portata sostanziale di questo principio, chiarendo ai commi 3 e 4 dell’art. 1 che l’obiettivo del risultato non deve orientare soltanto l’interpretazione della norma da applicare, ma anche le iniziative assunte dai funzionari della P.A.; ed è anche – e soprattutto – attraverso questa lente che, secondo questa norma, verranno osservate e valutate, in concreto, eventuali responsabilità e premialità da attribuire al personale che ha operato nelle commesse pubbliche.
Come per il primo, altresì il secondo principio affermato dal Codice, il principio della fiducia (art. 2), si distingue per la consistenza particolarmente nuova e incisiva dei suoi contenuti e, prima ancora, della sua stessa finalità.
Infatti, anche in questo caso il cambio di passo che caratterizza la riforma è di assoluto momento ed è molto chiaro, sin dalla lettera della norma, quando stabilisce che “L’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici” (comma 1) e “Il principio della fiducia favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato” (comma 2).
Va detto, peraltro, che il legislatore odierno è ben consapevole di dover affrontare e superare un problema atavico che affligge l’operato della P.A. e dei suoi funzionari, e che ostacola l’attuazione in concreto dell’approccio e degli importanti obiettivi di risultato e semplificazione qui illustrati: la c.d. “paura della firma”, espressione tipica di quella che viene chiamata in gergo “burocrazia difensiva”.
Non a caso, di recente, la Corte Costituzionale ha ricordato che questi fenomeni costituiscono fonte di inefficienza e di immobilismo e sono quindi un ostacolo al rilancio economico, che invece richiede, oggi più che mai, una amministrazione dinamica, efficiente e attenta agli obiettivi di risultato (v. sentenza n. 8/2022).
Vengono così approntate alcune misure specifiche per rendere tangibile e produttiva questa fiducia da riconoscere agli operatori tutti, il cui contributo di diligenza e iniziativa resta essenziale per la buona riuscita di procedure e contratti, e deve perciò essere concretamente supportato da una rete di protezione, che possa liberarne e valorizzarne iniziative e discrezionalità, quando ammesse o richieste per legge.
Ecco allora le previsioni dei commi 3 e 4 dell’art. 2 del Codice, le quali chiariscono che nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, i funzionari possono incorrere nella responsabilità amministrativa per colpa grave solo per “(…) la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto”, mentre “Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti” (comma 3).
La stessa norma aggiunge inoltre, a tale scopo, che “Per promuovere la fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale, nonché per riqualificare le stazioni appaltanti e per rafforzare e dare valore alle capacità professionali dei dipendenti, compresi i piani di formazione di cui all’articolo 15, comma 7” (art. 2, comma 4).
In questa nuova cornice di principi e valori di legge, vengono dunque ribaltati e superati i presupposti di sfiducia, in primis verso le imprese, che hanno storicamente caratterizzato tutta la normazione precedente di settore e la condotta stessa dei funzionari pubblici (si pensi alla legge quadro sui lavori pubblici del 1994, la c.d. “legge Merloni”, nata in un contesto politico, sociale ed economico fortemente condizionato dalle infiltrazioni e dalle stragi mafiose, nonché dalla stagione di “Tangentopoli”).
Il fine manifesto è quello di mutare decisamente l’approccio culturale e amministrativo alle commesse pubbliche, inaugurando una nuova stagione di apertura, confronto e collaborazione virtuosa con il mercato – sempre nel rispetto dei canoni di legalità, trasparenza e concorrenza – e favorendo l’acquisizione delle migliori offerte, risorse e sinergie messe a disposizione dagli operatori economici.
Tanto chiarito, vale ancora sottolineare che le ricadute applicative e pratiche di questi principi sono tutt’altro che astratte, come dimostrano alcuni interventi del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e della giurisprudenza, già all’indomani della efficacia delle norme del nuovo Codice dei contratti, che ne hanno valorizzato la portata in concreto come criteri operativi e parametri di valutazione delle iniziative e delle scelte dei funzionari pubblici, nell’esercizio della discrezionalità amministrativa assegnatagli dalle norme, nonché come presidio effettivo per la qualificazione degli operatori economici e l’eventuale tutela e risarcibilità delle posizioni e degli interessi che fanno capo agli stessi.
Gli altri principi sanciti dal Codice dei contratti del 2023, tra conferme e qualche ulteriore novità
Gli ulteriori principi sanciti oggi dal Codice, agli articoli da 3 a 12, recano criteri e precetti generali di carattere composito: in alcuni casi essi risultano di nuovo conio, in altri rappresentano una conferma o una esplicazione ed evoluzione di principi e prescrizioni già esistenti.
L’art. 3 stabilisce il principio dell’accesso al mercato (e della concorrenza) e, in tal senso, costituisce da decenni un caposaldo delle regole in esame, di matrice eurounitaria, che presidia l’imparzialità, la non discriminazione, la pubblicità, la trasparenza e la proporzionalità delle scelte e delle azioni delle stazioni appaltanti, nel rispetto della concorrenza e dell’apertura al mercato. In proposito, la novità è costituita, come detto, dalla rilevanza funzionale (v. art. 1) e dalla valenza prioritaria (v. art. 4) attribuite ora a tale principio, assunto a parametro di riferimento per l’interpretazione e applicazione degli altri principi e delle norme del Codice dei contratti.
L’art. 5 sancisce i principi di buona fede e di tutela dell’affidamento, quali regole di condotta nella contrattazione tra amministrazione e privati, e costituisce una novità in termini di affermazione espressa di tali principi nel contesto normativo qui in rilievo.
Difatti, nel recepire le indicazioni rese dalla giurisprudenza al riguardo, viene oggi introdotta nel Codice una norma specifica per rimarcare l’obbligo di reciproca correttezza e buona fede che governa l’interazione tra le parti nelle procedure (in stretta connessione con il citato principio di fiducia), con valenza precontrattuale, richiamando l’affidamento riposto nell’esercizio legittimo dell’azione amministrativa e nella diligenza professionale richiesta nel caso concreto.
L’art. 6, in linea con l’indirizzo della Corte Costituzionale (sentenza n. 131/2020), riporta i principi di solidarietà e sussidiarietà orizzontale che concernono i rapporti con gli enti del Terzo settore e lo svolgimento dei servizi sociali di interesse generale erogati dagli enti medesimi, sulla base di modelli di amministrazione condivisa (alternativi a quelli concorrenziali) adottati per finalità sociali.
L’art 7 afferma il principio di auto-organizzazione amministrativa, rivisitando – in una direzione maggiormente comunitaria – i criteri guida della scelta della P.A. circa i modelli di acquisizione di lavori, beni e servizi, alla luce della giurisprudenza degli ultimi anni. In sostanza, con un approccio innovativo, il Codice affida oggi alle amministrazioni la scelta del metodo di acquisto: autoproduzione (c.d. “in house providing”), esternalizzazione (scelta del fornitore dal mercato) o cooperazione tra amministrazioni (c.d. “Partenariato Pubblico Pubblico”), fermi il vincolo di una motivazione specifica nel caso di ricorso al modello in house e l’assenza di una logica di scambio nel caso del ricorso alla cooperazione tra soggetti pubblici.
L’art. 8 sancisce poi il principio di autonomia contrattuale, formalizzando le indicazioni della giurisprudenza circa la capacità giuridica dei soggetti pubblici, che possono concludere contratti anche di diritto privato e possono ricevere donazioni e prestazioni di interesse pubblico, senza obbligo di gara, fermo il generale divieto di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito.
L’art. 9 afferma il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale, riformando l’approccio del legislatore alla modifica dei contratti pubblici stipulati in un’ottica “manutentiva” e maggiormente tesa al risultato. In questa nuova prospettiva, infatti, la modifica di un contratto pubblico, in presenza di circostanze straordinarie e imprevedibili, al di fuori del normale rischio assunto con il contratto, implica un diritto dell’operatore economico a veder ristabilito l’equilibrio del rapporto contrattuale e, in tal modo, agevola la realizzazione dell’obiettivo di interesse pubblico (l’opera, il servizio, la fornitura). La norma, attingendo alle pertinenti radici normative di carattere civilistico, chiarisce tra l’altro i confini della eventuale modifica – la rinegoziazione deve limitarsi a ripristinare l’equilibrio e non deve alterare la sostanza del contratto – e ricorda che le norme su revisione prezzi e varianti sono attuazione del principio di conservazione in argomento.
L’art. 10 del Codice conferma un valore fondamentale, preposto da tempo alla tutela della concorrenza e dell’apertura al mercato che devono caratterizzare la contrattazione pubblica: il principio di tassatività delle cause di esclusione. Questo principio, come noto, vieta l’introduzione di motivi di estromissione degli operatori economici dalle procedure di affidamento, se diversi da quelli tassativamente previsti dalla legge, stabilendo la nullità di eventuali clausole di esclusione poste in violazione del divieto.
Un altro valore pregnante espresso diffusamente dal Codice con diverse norme, quello della tutela dei lavoratori, risulta affidato al principio di applicazione dei CCNL, come sancito dall’art. 11. Questo principio in realtà si risolve in una serie di prescrizioni, già presenti nelle precedenti normative, che nella sostanza impongono l’osservanza dei contratti collettivi di riferimento nella contrattazione pubblica e dispongono una serie di misure di tutela, verifica e intervento sostituivo a presidio degli obblighi di legge per il trattamento retributivo e contributivo dei lavoratori.
Da ultimo, l’art. 12 – rubricato “rinvio esterno” – esprime una indicazione generale sulla disciplina normativa da applicare in assenza di specifiche previsioni del Codice: per quel che concerne la fase delle procedure di affidamento trattasi della legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo, mentre per la fase di stipula ed esecuzione del contratto viene in rilievo il codice civile.
[1] Consulente esperto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e professore a contratto di Sicurezza del territorio presso l’Università degli studi Link di Roma.