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AI Act approvato, ora la sfida vera. Con due problemi da risolvere
Post di Massimiliano Masnada, Partner dello studio legale Hogan Lovells –
L’approvazione definitiva dell’AI Act è un risultato straordinario ma adesso inizia una nuova sfida che riguarda quelli che il nuovo regolamento definisce i “modelli di fondazione”, particolarmente importanti nell’ambito dell’AI generativa. Un modello di fondazione è un sistema di AI cui possono ricorrere altri sviluppatori per elaborare nuovi sistemi di AI che utilizzano tale modello “software di base” per il proprio sistema di AI.
Possiamo immaginare questi modelli di fondazione come grandi libri contenenti conoscenze che gli altri sistemi di AI possono utilizzare per svolgere compiti intelligenti come capire il linguaggio, riconoscere immagini o prendere decisioni, senza dover essere istruiti da zero. I modelli di fondazione sono fondamentali per lo sviluppo dell’AI perché rappresentano una base di conoscenza condivisa che può essere utilizzata da programmatori dotati di meno risorse, che non hanno gli strumenti per sviluppare internamente un modello così approfondito.
AI Act è realtà, ora due problemi da risolvere
La creazione dei modelli di fondazione determina due problemi principali che, a mio avviso, dovranno essere subito affrontati: il primo, riguarda il cosiddetto training degli algoritmi, ossia la qualità e quantità dei dati che servono affinché un algoritmo di base sia sufficientemente adeguato, soprattutto sotto il profilo dei bias e dei risultati prodotti in termini generativi; il secondo, riguarda gli investimenti e la possibilità di imprese, anche piccole a livello di start up di sviluppare modelli che siano utili e affidabili.
Con riferimento al primo problema, occorre un coordinamento, auspicabilmente a livello europeo, tra le autorità regolatorie per tracciare linee guida che non privino gli algoritmi di AI della possibilità di accedere a quella qualità e quantità di dati sufficiente ad evitare risultati parziali, inaffidabili, quant’anche distorsivi e discriminatori. Con riferimento alla seconda questione, vedo la necessità di una politica industriale che favorisca gli investimenti sia a livello di grandi imprese che di PMI e di start up.
Per addestrare gli algoritmi di AI servono infatti investimenti significativi in virtù, da un lato, della necessità di effettuare l’addestramento su enormi quantità di dati (ad oggi, le dimensioni di dati necessarie sono tali da aver spinto gli sviluppatori dei modelli di fondazione a ricorrere all’intero web, che è raccolto tramite attività di web scraping) e, dall’altro, della straordinaria potenza di calcolo necessaria ad elaborare un così ampio volume di dati.
Il ruolo del Governo
Per sviluppare l’IA bisogna avere fondamentalmente due cose: tecnologia adeguata e talenti. I talenti sicuramente non mancano in Italia. Per quanto riguarda la tecnologia, si consideri che una società, pubblica o privata, che voglia sviluppare software di base nell’AI ha bisogno di importanti risorse computazionali iniziali per comprare questo tempo di calcolo. Ad esempio, il Governo potrebbe aiutare le startup che vogliono sviluppare software specializzati per le nostre industrie creando un computing cluster che tutti possono utilizzare.
Le startup potrebbero sfruttare il fatto che in Italia c’è uno dei supercomputer per il calcolo computazionale, il computer Leonardo di Bologna, acquistando in modo agevolato tempo di calcolo sul supercomputer e ripagando solo in parte l’investimento. Sono solo alcune idee che da più parti sono circolate, ma il dibattito si è appena aperto. E ora, con l’approvazione definitiva dell’AI Act, sarà ancora più importante accelerare i tempi. Il futuro è ora.