categoria: Distruzione creativa
Chi decide il futuro? Intelligenza artificiale, parole senza intenzioni
Post di Valter Fraccaro, Presidente Fondazione SAIHUB (Siena Artificial Intelligence HUB) –
Nel guardare al più recente passato storico, quello che si avvia con il tramonto dell’Ancien Régime, un passo fondamentale è stata l’esplicitazione dei diritti della persona, quelli che hanno trovato la loro collocazione nella Dichiarazione universale dei diritti umani adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite sul finire del 1948.
Sebbene quei diritti non siano ancora garantiti ad ogni essere umano sul pianeta, e anzi vi sia un continuo lavorio sia per ridurli sia per mantenerli ed anche per conquistarli, è evidente come l’uso della parola sia stato il principale strumento della lotta che ha portato prima alla loro definizione e in seguito al loro radicamento globale come meta sociale e misura della civiltà di un Paese.
La conquista della libertà attraverso il linguaggio
Dante, straordinario precursore, pensava che Dio avesse dato all’uomo due doni che lo rendevano diverso da ogni altro essere: la potenza di libertà (cioè il poterla raggiungere) e la forma locutionis (cioè il linguaggio umano, diverso e non confondibile con quello delle altre creature). In quel disegno, il linguaggio era lo strumento per esprimere le proprie ragioni al fine di conquistare la propria libertà e quindi definitivamente realizzarsi come individuo, unico e singolare, e come comunità, nel legame solido di valori condivisi.
Intelligenza artificiale, il potere di creare e controllare il futuro
Passati otto secoli, sullo spirito dei tempi di questi ultimissimi anni aleggia l’ombra del timore che l’ Intelligenza Artificiale (AI), ora che pare aver varcato la soglia del linguaggio, possa prevalere sul suo creatore proprio usando quel mezzo per esprimere, prima o poi, le proprie ragioni e così rivendicare e magari conquistare il potere: il potere di creare, quello di modificare il creato, quello di condizionarne il comportamento e così controllare il futuro.
In realtà, l’uomo ha già raggiunto un livello di potere tale da poter condizionare come mai prima l’ambiente in cui vive: crea le città, modifica la natura, e influisce coscientemente su molti dei suoi meccanismi. Se oggi esiste ancora da qualche parte qualcosa che si può chiamare “foresta vergine”, non è perché essa sia fuori dal dominio umano, anzi essa è lì per concessione, per una esplicita scelta umana. Si può dire che non esista più la “foresta vergine” ma solo la “foresta conservata”.
Concezione di sé, significato dei numeri e intelligenza artificiale
In un presente sempre più complesso ed incerto, la nostra specie sembra temere che quel potere così vasto non sia sufficiente e sospetta che esso possa essere l’obiettivo di una nuova entità che, pur fatta di fili ed elettricità, sembra avere i mezzi per raggiungerlo. Ma il potere richiede intenzione, strumenti e volontà applicati al tramutare un’idea in realtà e l’ intelligenza artificiale non ha alcuna concezione né di sé stessa né di altro. Essa conosce delle cose del mondo quanto una calcolatrice il significato dei numeri che appaiono sul suo visore: nulla.
A questa mancanza, se ne aggiunge un’altra: la coscienza del tempo, del prima e del dopo e, soprattutto, di una fine del tempo. Se ci si pensa, ogni gesto umano, ogni volontà, proposito o scelta è motivata dal fatto che ognuno di noi percepisce con chiarezza che il suo tempo ha una fine e che dall’oggi a quel giorno è meglio passarsela bene che sopravvivere a stento tra i vincoli che ci impone ogni condizione fastidiosa, che sia un dolore, un rimpianto, una soverchieria, una mancanza di questo o di quello.
I computer non hanno desideri e scopi propri
Così come i computer non percepiscono, dunque non conoscono, né la sete né il sonno, così essi sono costituzionalmente impossibilitati ad avere desideri, temere per la loro incolumità e perciò possedere mire, voglie, mete, scopi propri.
“Se vedo una foto in cui stanno uno accanto all’altro un castoro, una motosega e un albero posso avere una fondata convinzione che solo il castoro possa essere intenzionato ad abbattere la pianta, sebbene la motosega abbia le caratteristiche materiali per farlo prima e meglio”, per parafrasare un esempio di Maurizio Ferraris.
ChatGPT, parole di parole
L’ Intelligenza Artificiale nella sua forma quale Large Language Model (LLM, quella di Chat GPT, per capirsi) sa benissimo descrivere con parole ogni parola scritta qui sopra, ma sono solo parole di parole, non la trasformazione in descrizione di una qualsiasi entità percepita come tale. Se noi diciamo “frigorifero”, possiamo spiegare cos’è affidandoci alla nostra conoscenza diretta, alla nostra “idea” di frigorifero, ma un’AI lo descriverebbe su altre basi, cioè su un calcolo probabilistico di termini descritti da vettori.
Ci siamo. “Calcolo probabilistico di termini descritti da vettori” è una espressione che, anche perché incomprensibile ai più, bene indica la straordinaria (e per molti affascinante) differenza nell’ottenere un determinato risultato (in questo caso, descrivere un oggetto) tra il modo della macchina, appunto attraverso un processo matematico, e quello umano, in cui il linguaggio è strumento di una esperienza diretta o indiretta di quella determinata cosa.
Intelligenza artificiale, uno strumento in più. Sta a noi usarla bene
Per citare l’eternamente citabile Luciano Floridi, “l’AI ha separato l’Agency, cioè la possibilità di raggiungere un risultato difficile, dall’Intelligenza Umana che fino a prima ritenevamo indispensabile per arrivarci. “AI” sta per “Agency without Intelligence”.”
Le parole e i diritti sono strettamente connesse tra loro e solo la cura che mettiamo nell’uso delle prime può portarci man mano più vicini all’ottenimento reale dei secondi, approssimando la trasformazione della libertà da potenzialità in atto. L’ Intelligenza Artificiale, che le parole le usa in maniera così differente dalla forma locutionis, è uno strumento in più e, come fu per l’alfabeto, la stampa a caratteri mobili e i media elettronici, sta solo a noi la responsabilità di usarla per realizzare sogni o vivere incubi.