Ma è proprio vero che in Italia il Fisco favorisce i ricchi?

scritto da il 16 Gennaio 2024

Uno studio recente realizzato dall’università Bicocca di Milano e dalla scuola superiore Sant’Anna di Pisa ha attirato l’attenzione della stampa italiana per via del carattere apparentemente paradossale di una delle sue conclusioni: utilizzando come misura un tax rate che include sia imposte dirette che indirette il 5% più ricco della popolazione pagherebbe in percentuale di meno rispetto al resto della popolazione.

In questo post vorrei proporre alcune considerazioni critiche sulla scelta della misura utilizzata per valutare la progressività del sistema e soprattutto evidenziare perché il messaggio che la stampa generalista estrae dalla ricerca può essere fuorviante.

Cosa dice la Ricerca

Lo studio effettua una ricostruzione della distribuzione dei redditi in Italia e stima il grado di progressività del fisco italiano in base ai percentili di reddito percepito e alla fonte principale del reddito. Con riferimento alla prima dimensione, secondo gli autori della ricerca, il sistema fiscale italiano è moderatamente progressivo per il 95% della distribuzione dei redditi e diventa regressivo per il 5% di contribuenti con redditi più elevati.

Il dato che ha catturato l’attenzione della stampa italiana riguarda l’affermazione che il 5% più ricco della distribuzione ha un tax rate del 35% rispetto al picco della distribuzione che è pari al 50%. Particolare attenzione merita la nota di commento in merito a questa apparente distorsione, in base alla quale la progressività  dell’imposta sul reddito delle persone fisiche non è sufficiente a compensare la regressività delle imposte indirette sui consumi e dei contributi previdenziali.   

Fisco e progressività, quale narrazione passa sui media

Al fine di non attribuire agli autori il clamore della narrazione, che si costruisce a partire dal loro scritto, enuncerò il messaggio che arriva al lettore comune dopo aver letto gli articoli che parlano della ricerca: Il Fisco italiano premia ingiustamente i più ricchi che pagano meno tasse degli altri.

Le miei osservazioni rispetto a questi messaggi riguardano:

– La misura utilizzata per stimare la progressività e il fatto che includa anche sia imposte indirette che indirette

– Il fatto che l’apparente paradosso della parte regressiva dopo il 95° percentile oscuri nella comunicazione che per 95 percentili la distribuzione sia moderatamente progressiva (come chiaramente è scritto nel paper)  e che esiste una parte iniziale della distribuzione che imposte non ne paga

– Esistono note motivazioni affinché le imposte dirette sul reddito siano progressive, non si capisce perché dovrebbero esserlo al punto di compensare il carattere flat delle imposte indirette e il fatto che esiste un tetto ai contributi sociali

– L’attenzione (forse politicamente orientata) nei confronti del 5% più ricco distoglie dall’analizzare la struttura fortemente distorsiva delle aliquote sui redditi medi e bassi

I consumi di Paperino e Zio Paperone

La mia obiezione alla combinazione di imposte dirette e indirette si può spiegare con un esempio. Poniamo che Paperino guadagni 40mila euro all’anno e Zio Paperone 4 milioni. Poniamo che Paperino paghi 12mila euro di imposte sul reddito e zio Paperone 1 milione e 600mila. In percentuale Paperino paga imposte pari al 30% del suo reddito e Zio Paperone pari al 40%. Questo perché le imposte sul reddito sono progressive e crescono in modo più che proporzionale.

Supponiamo che Paperino consumi il 60% del suo reddito e quindi spenda 24mila euro in beni il cui acquisto è assoggettato ad imposte indirette con un aliquota fissa del 20% per un controvalore di 4800 euro. Sommando le due voci Paperino ha un tax rate del 42%. Supponiamo che Zio Paperone, nonostante la sua proverbiale tirchieria, spenda ogni anno in consumi  400mila euro (che è il 10% del suo reddito, una percentuale che tiene conto del fatto che una persona che è 100 volte più ricca di un’altra non spende 100 volte di più in cibo, vestiti, carburante etc). Ne consegue che Zio Paperone pagherà 80mila di imposte indirette,  che sommate al milione e seicentomila dà un totale di 1.680.000 corrispondente a “tax rate” del 42% uguale a quello di Paperino.

Possiamo dire che il sistema non è progressivo perché Paperino e Zio Paperone hanno lo stesso tax rate calcolato in questo modo? Oppure costruire un indicatore che mette insieme imposte dirette e indirette può dare luogo a conclusioni fuorvianti?

Fisco e ragioni della progressività

Esiste un argomento teorico alla base della progressività delle imposte sul reddito: si ritiene che il sacrificio provato dagli individui nel rinunciare a una parte del proprio reddito sia minore al crescere del reddito. Se guadagno a malapena quanto mi serve per sopravvivere, anche rinunciare al 5% di quel che guadagno può mettermi in difficoltà e intaccare i consumi minimi necessari alla mia sussistenza. Se invece guadagno molto più di quello che mi serve, non avrò particolari problemi a rinunciare anche a porzioni più rilevanti.

Le imposte indirette non sono generalmente progressive per motivi pratici (immaginate di andare a pranzo con Jeff Bezos, di pagare ciascuno metà del conto e di richiedere al ristorante di applicare aliquote IVA diverse…) e vengono al più differenziate applicando aliquote più elevate per i consumi ritenuti meno necessari e per gravare in misura maggiore sui beni di lusso.

Fatte queste considerazioni di carattere generale, l’argomentazione che questo post vuole avanzare è che la progressività del sistema fiscale andrebbe valutata con riferimento alle imposte sul reddito e non utilizzando una metrica che includa anche le imposte indirette. Queste ultime dovrebbero essere oggetto di valutazione separata e specifica (ad esempio valutando se gravano in modo eccessivo sui beni di prima necessità o non adeguato su quelli di lusso)

Quel dettaglio sugli oneri previdenziali

Nel paper leggiamo che il tratto regressivo delle imposte è determinato dal contributo delle imposte indirette e dal fatto che gli oneri previdenziali sopra una certa soglia di reddito non si pagano e questo influenza il reddito imponibile.

Dobbiamo veramente considerare la limitazione agli oneri finanziari per i redditi più alti una distorsione, che andrebbe corretta rendendo più progressive le imposte sul reddito? Qui la teoria economica si mescola con la proposta politica ed è opportuno fare chiarezza.

Sebbene l’Italia sia un posto curioso, dove la previdenza si confonde con la fiscalità (perché il sistema previdenziale è sbilanciato e assorbe fondi dalle nuove generazioni per sussidiare le precedenti) si tratta di due ambiti differenti.

Gli oneri previdenziali non sono imposte, ma servono a finanziare la futura pensione. Il fatto che siano limitati oltre una certa soglia di reddito non è una distorsione, ma un limite logico al diritto che si può maturare rispetto ad una prestazione futura legata alla durata della vita che non possiamo prevedere con precisione.

La previdenza obbligatoria serve a indurre un risparmio forzoso nei cittadini ed è particolarmente rilevante per i redditi medi. Oltre una certa soglia il pericolo che un cittadino si trovi in condizioni di indigenza o di bisogno quando smette di lavorare si riduce drasticamente fino a scomparire. Per questo motivo ha senso che la crescita dei contributi in proporzione al reddito cessi quando quest’ultimo è molto elevato.

Se una parte del carattere regressivo registrato dalla metrica considerata dovesse essere imputabile al diverso carico di oneri previdenziali sui redditi più elevati, quella componente andrebbe scorporata dalla valutazione complessiva, perché gli oneri previdenziali non sono imposte e la loro influenza sui redditi più bassi non dovrebbe rilevare ai fini della valutazione della della progressività del sistema.

Dunque il Fisco italiano è progressivo oppure no?

Nel paper ampiamente ripreso dalla stampa italiana si legge che fino al 95° percentile il sistema italiano è moderatamente progressivo. Oltre questa soglia la metrica utilizzata, che include le imposte indirette, produce l’apparente paradosso di un tratto regressivo. Aggiungendo a queste considerazioni, il fatto che esiste una parte della distribuzione, al di sotto del 25° percentile non paga imposte, si può dire che la narrazione di un sistema “dove i più ricchi pagano meno tasse” che si è diffusa sulla stampa appare quantomeno fuorviante.

Quale può essere allora una rappresentazione più corretta?

– che il sistema italiano è sicuramente progressivo con riferimento alle imposte sul reddito (come è ragionevole che sia) e che la progressività diminuisce lungo la distribuzione dei redditi

– che l’assoggettamento di alcune tipologie di redditi a tassazione separata ha l’effetto di rendere meno incisiva la progressività e che i redditi più elevati traggono vantaggi maggiori da questo correttivo (come è logico che sia, dal momento che la progressività aveva la funzione di “penalizzare” i redditi più alti)

Fisco

(natali_mis – stock.adobe.com)

– che il paradosso dell’apparente tratto regressivo che tanto ha attirato l’attenzione dei media dipende dalla metrica utilizzata (e dal fatto che il reddito disponibile sopra una certa dimensione sia influenzato anche da un carico minore di contributi previdenziali) – per dirla in parole povere i più ricchi non pagano meno tasse sui consumi perché il sistema li favorisce, ma perché oltre una certa dimensione i consumi non crescono più in modo proporzionale al reddito

– che non esistono (e non sono presenti nel paper) argomenti che giustificano la necessità che la progressività sia accentuata al punto di compensare l’apparente distorsione legata al carattere flat delle imposte indirette – quest’ultima è una preferenza di carattere politico

Conclusioni e spunti di policy

Questo breve post non intendeva difendere il pessimo sistema fiscale italiano, ma solo muovere una osservazione al messaggio che la stampa generalista ha tratto dalla ricerca pubblicata di recente. In particolare, il focus dedicato all’apparente paradosso del sistema che diventa regressivo per i più ricchi, non tiene conto del fatto che la tassazione separata di alcune tipologie di redditi assolve anche alla funzione di alleviare la pressione sui redditi medi e bassi. Per quanto si tratti di un approccio oltremodo criticabile, che prova ad arginare delle distorsioni, introducendo distorsioni aggiuntive (e forse peggiori) si tratta di un elemento che andrebbe attentamente valutato nell’equilibrio generale.

Misure come la cedolare secca sugli affitti a canone concordato, difficilmente possono essere lette come favori ai più ricchi (che gli immobili li gestiscono mediante società di scopo), ma servono a limitare ad evitare che i cittadini con reddito medio si astengano dal locare immobili perché non conveniente o siano tentati di affittarli in modo irregolare. Parimenti l’aliquota agevolata sui titoli di stato, che pure costituisce un deprecabile fattore di “concorrenza sleale” sul mercato dei capitali, non favorisce solo i ricchi, ma chiunque possa permettersi di acquistare un taglio minimo di debito pubblico pari a 1.000 euro.

Argomenti come la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi e la progressività del sistema fiscale catturano spesso l’attenzione dei media e dei politici per motivi abbastanza ovvi: denunciare ingiustizie attira lettori e promettere maggiore equità piace agli elettori (a prescindere dal fatto che le denunce siano fondate e le promesse realizzabili o sostenibili).

In quest’ottica, è particolarmente rilevante distinguere gli argomenti di carattere economico (per esempio una tassazione eccessiva scoraggia l’attività economica) da quelli di carattere politico (per esempio, spostare la tassazione da alcuni soggetti ad altri è ritenuto desiderabile).

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