categoria: Sistema solare
Cambiamento climatico, costi enormi entro il 2030. Ecco i nodi
Post di Elise Beaufils, Deputy Head of Sustainability Research di Lombard Odier IM –
Mentre il mondo affronta la sempre più impellente sfida della crisi climatica e con il 2023 che potrebbe passare alla storia come l’anno più caldo mai registrato, la COP28 potrebbe essere più importante che mai. Il report Global Stocktake delle Nazioni Unite, pubblicato pochi mesi fa e che esamina ai progressi compiuti nel raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, è al tempo stesso allarmante e inconfondibile: le politiche e gli impegni presi attualmente dai governi rendono più elevata la possibilità che l’aumento delle temperature globale si attesti a circa 2,6°C rispetto ai livelli preindustriali.
Le azioni intraprese dai vari paesi per ridurre le emissioni devo essere audaci, come prefissato dall’IPCC, un taglio delle emissioni del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035, rispetto ai livelli del 2019. La lista di opportunità per limitare l’aumento delle temperature entro gli 1,5°C, obiettivo fissato dall’Accordo di Parigi, si sta quindi riducendo rapidamente. Tuttavia, riteniamo che la transizione nel settore privato si stia svolgendo a una velocità e su una scala più rapida rispetto allo sviluppo delle politiche. Nonostante le politiche continuino ad essere cruciali, sono solo una parte di tutti gli sforzi necessari e prevediamo che un nuovo sistema economico emergerà e supererà il precedente.
Mitigazione del cambiamento climatico, il ruolo della natura è sottovalutato
È chiaro che la natura deve svolgere un ruolo centrale nel mitigare gli effetti del cambiamento climatico: le soluzioni basate sulla natura hanno il potenziale per contribuire ad oltre un terzo della riduzione di emissioni da realizzare necessariamente entro il 2023 per far sì che l’aumento delle temperature resti al di sotto dei 2°C. Tuttavia, attualmente, meno del 2% dei finanziamenti per l’adattamento al cambiamento climatico è destinato a queste soluzioni. La nostra ricerca dimostra che la natura è probabilmente uno dei beni più sottovalutati della nostra economia.
Investire nella natura è indubbiamente complesso, ma crediamo che questa nuova asset class diventerà rapidamente mainstream e che l’interesse degli investitori crescerà. In particolare, riteniamo che sia possibile impiegare il capitale su scala nelle filiere delle materie prime alimentari, come caffè e cacao, al fine di trasformarle utilizzando pratiche di agricoltura rigenerativa. Prevediamo che la domanda da parte delle aziende di materie prime rigenerative (prodotte in armonia con la natura, ma alimentate dalla natura) e di catene di valore resilienti determinerà una forte rivalutazione nei prossimi decenni.
Un tema chiave: la trasformazione dei sistemi alimentari
La resilienza alimentare e, più in generale, la trasformazione dei sistemi alimentari è un tema chiave che ci aspettiamo venga discusso alla COP28 e che dovrebbe portare a una maggiore inclusione di obiettivi specifici relativi alla natura nei contributi determinati a livello nazionale (nationally determined contributions – NDC) dei vari Paesi. Questa inclusione avrà risonanza nel settore privato, dove molti framework per la definizione degli obiettivi di decarbonizzazione consentono ora di contabilizzare le emissioni negative all’interno della catena del valore (carbon removal), ma non permettono la compensazione del carbonio. L’approvvigionamento di materie prime associate a emissioni negative consentirà quindi a queste aziende di raggiungere i loro obiettivi climatici, rendendo al contempo più resilienti le loro catene di fornitura.
La natura non è l’unica priorità della COP28. La nostra attenzione sarà rivolta anche alla transizione energetica e al finanziamento della transizione e degli sforzi di adattamento al cambiamento climatico.
L’accelerazione della transizione energetica sarà probabilmente incentrata su tre aree chiave: ridurre le emissioni di combustibili fossili, triplicare la capacità energetica rinnovabile a livello mondiale e collaborare a livello internazionale per lo sviluppo dell’idrogeno verde.
Decarbonizzazione delle compagnie petrolifere: un’arma a doppio taglio
Secondo le stime AIE, le attività del settore Oil&Gas (Scope 1 e 2) rappresentano circa il 15% delle emissioni totali legate all’energia a livello mondiale, pari a 5,1 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra, mentre l’uso di petrolio e gas, noto anche come emissioni Scope 3 del settore, rappresenta il 40% delle emissioni legate all’energia. Definire un obiettivo di decarbonizzazione per le società del settore Oil&Gas a livello globale sarebbe quindi un grandissimo successo per la COP28, ma la portata e il livello delle ambizioni sono ancora oggetto di discussione (e polemiche).
Ignorare le emissioni Scope 3 significherebbe eludere la maggior parte dei contributi del petrolio e del gas alla crisi climatica, ma è anche opportuno non dimenticare gli Scope 1 e 2. L’obiettivo previsto dovrebbe riguardare le emissioni di metano, un potente gas a effetto serra emesso dalle infrastrutture del settore Oil&Gas, nonché l’inquinamento causato dai business delle compagnie petrolifere e del gas. L’obiettivo potrebbe essere quello di dimezzare le emissioni Scope 1 e 2 del settore, aggiungendo anche il target di portare le emissioni di metano vicino alla soglia zero entro il 2030.
Per dimezzare queste emissioni a livello globale entro il 2030 sarebbero necessari investimenti iniziali pari a 600 miliardi di dollari, solo una frazione dei ricavi straordinari accumulati dall’industria petrolifera nel 2022, tra l’impennata dei prezzi dell’energia e una crisi energetica globale.
Per un’economia più circolare: 5.200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030
Presteremo inoltre particolare attenzione alle attività del Fondo Loss and Damage, che mira a fornire assistenza finanziaria ai Paesi più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico. Dato il contributo sproporzionato dei Paesi del G20 alle emissioni globali di gas serra, il fondo mira a porre rimedio alle ingiustizie subite dai Paesi in via di sviluppo, che spesso sono i più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico nonostante contribuiscano in misura ridotta alle emissioni.
Riunendo player del settore pubblico e privato e stimolando discussioni importanti, la COP rimane una parte cruciale dell’agenda climatica. Dopo essersi inizialmente concentrata sulle emissioni di gas serra, la sua portata è cresciuta costantemente, riflettendo le interconnessioni tra clima, biodiversità, adattamento ed equità della transizione ambientale. Queste discussioni sono fondamentali per mobilitare capitali pubblici e privati, che devono raggiungere i 5.200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 per rendere la nostra economia più circolare, snella, inclusiva e pulita.