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Trasformazione digitale, quanto è serio il ritardo dell’azienda Italia?
Post di Lapo Chirici, founder di Krein, startup MarTech che supporta le imprese del B2B –
Nel panorama italiano, la trasformazione digitale si sta svolgendo a due velocità. Alcune aziende all’avanguardia abbracciano con determinazione l’innovazione digitale, mentre altre faticano a tenere il passo. Questa dicotomia emerge in tutta la sua rilevanza alla luce dei dati di una recente indagine condotta in collaborazione tra una rinomata società di consulenza strategica, Hpe, e Intel. Su un campione di 400 aziende, solo un quarto afferma di aver ottenuto un effettivo vantaggio competitivo dall’adozione delle tecnologie digitali.
Manca una strategia su raccolta e analisi dei dati
Nonostante il valore attuale della cosiddetta “data economy” in Italia sia impressionante – stimato a 46,9 miliardi di euro – la realtà è che il nostro Paese si trova al terzo posto in Europa in questo settore. Un dato che, a prima vista, potrebbe sembrare positivo, ma che nasconde una verità meno rosea: il nostro tasso di crescita è notevolmente più lento rispetto alla media europea.
Le sfide principali affrontate da molte microimprese e Pmi riguardano spesso la mancanza di una strategia ben definita per la raccolta, trasformazione e analisi dei dati, come la carenza di figure cross-domain specializzate nel coniugare un lettura delle KPIs specifiche di Business Unit con una visione di lungo termine che generi valore.
Il digitale e la distanza tra grandi aziende e pmi
Ciò che emerge in modo ancor più evidente è la disparità tra grandi aziende e start-up o Pmi, soprattutto quelle con meno di 50 dipendenti. Mentre le medie e grandi organizzazioni dimostrano di avere, in circa il 60% dei casi, processi guidati dall’analisi, è il settore manifatturiero a rappresentare uno dei punti critici. Questo comparto coinvolge il 36,7% delle aziende nell’indagine e cruciale non è tanto la presenza delle tecnologie abilitanti, quanto la necessità di competenze ibride, tali da fungere da raccordo tra i vari “silos” organizzativi. Queste competenze possono spaziare dall’ambito del Production Management, fino a Tecnologia, Marketing, Finanza, Design. Ognuna vista sempre in ottica human-centric.
In questo contesto, la trasformazione verso un approccio value-driven rappresenta una tappa essenziale per l’Italia. Pmi e start-up, in particolare, dovrebbero riconoscere tra l’altro che l’impegno verso l’etica e la sostenibilità non è solo un imperativo morale, ma anche un’opportunità di crescita straordinaria. Dati autorevoli, come una ricerca condotta da Harvard Business Review, confermano che le aziende che abbracciano la sostenibilità vedono un incremento dei margini di profitto del 15%, indicando un impatto finanziario positivo evidente.
Obiettivi di sviluppo sostenibile e resilienza
Inoltre, studi recenti, come quelli pubblicati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), sottolineano che l’integrazione di obiettivi di sviluppo sostenibile nei modelli di business rende le aziende più resilienti e pronte ad affrontare le sfide future. Un esempio significativo è l’aumento della capacità di adattamento delle imprese durante le crisi economiche e ambientali.
Ultimo non per importanza, la traction sempre crescente dei fondi con orientamento etico. Forbes indica che i fondi etici e sostenibili hanno registrato rendimenti superiori al 20% rispetto ai fondi tradizionali nel corso degli ultimi cinque anni. In sintesi, la sostenibilità e l’etica non sono solo un’opportunità di crescita culturale per le aziende, ma – anche e soprattutto – un impegno di responsabilità per una società migliore.
(Fonti: Harvard Business Review, Organizzazione delle Nazioni Unite, Forbes)