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Israele, quanto può costare la guerra? Investimenti tech in bilico
Post di Emanuele Ricco, fisico e trader quantitativo –
Israele, terra contesa a metà fra l’Occidente ed il mondo arabo, possiede un’identità continuamente messa in crisi da conflitti perpetuati dalla sua nascita nel 1948 all’interno dei suoi confini. Non bisogna dimenticare, però, che il paese a maggioranza ebraica è uno dei maggiori innovatori in campo tech, con un ecosistema fatto di startup in ambito cybersecurity, intelligenza artificiale e servizi medici molto fervido, che cerca di sopravvivere alle continue crisi politiche e sociali.
Le startup tech contribuiscono al 20% del Pil di Israele
Nove milioni di abitanti e 7000 startup di cui la maggior parte in ambito tecnologico sono centrali in questa nazione tormentata, contribuendo attivamente al 20% del suo PIL. Per dare un’idea dell’importanza di Israele nel panorama tech basti pensare che 26 unicorni, ovvero startup con valutazione maggiore di 1 miliardo di dollari, sono state fondate nel paese di Tel Aviv.
Aziende multinazionali come E-Toro, servizio leader di trading online e WeWork, fornitore di spazi di coworking, hanno origini israeliane, con il 14% dell’intera popolazione occupata che lavora in ambito tecnologico ed un ecosistema secondo solo alla Silicon Valley californiana. Possiamo inoltre citare fra le eccellenze israeliane Waze, applicazione mobile di navigazione acquisita da Google nel 2013, Wix, piattaforma per creare siti rivolta a tutti e Fiverr, marketplace online fra i più diffusi al mondo per servizi di freelance.
L’Intelligenza Artificiale al cuore di Iron Dome
Il sistema difensivo israeliano Iron Dome, fondamentale nel neutralizzare attacchi missilistici dei suoi avversari è stato disegnato per intercettare potenziali razzi che possano colpire centri abitati. Costato più di 1 miliardo di dollari per lo sviluppo, finanziato anche dagli Stati Uniti, con una spesa di 50 milioni di dollari per l’utilizzo di ogni singola batteria, implementa anche soluzioni di Intelligenza Artificiale per migliorare la sua accuratezza. Si stima infatti che riesca a stoppare più del 90% dei razzi sparati contro Israele tramite un sistema a tre componenti che prima ne rileva la presenza, ne stima il livello di pericolosità e se quest’ultimo supera una certa soglia lo intercetta e lo neutralizza in aria.
Tra i riservisti di Israele tanti dipendenti di aziende tecnologiche
Il conflitto fra Israele ed Hamas ha costretto al richiamo alle armi di oltre 300 mila riservisti, fra cui il 10% di dipendenti dell’intero paese nel settore tecnologico, come riportato dalle stime di Startup Nation Central, primo connettore e facilitatore in ambito startup presente a Tel Aviv. Questa percentuale raggiunge il 30% in alcune aziende, aggravando una situazione difficile che sta causando fuga di capitale sia umano che monetario dal paese.
I timori delle multinazionali straniere, da Intel a Nvidia
L’evoluzione del sistema tech israeliano appare particolarmente incerta, soprattutto alla luce degli sviluppi che stanno avvenendo giornalmente nel conflitto, intimorendo le multinazionali straniere che hanno una solida presenza nel paese dagli anni ’70, quando Intel decise di aprire ivi una sede. Il 2023 avrebbe dovuto essere un anno di grandi investimenti per il paese mediorientale, con 25 miliardi di dollari messi sul piatto dalla multinazionale dei semiconduttori per l’apertura di un nuovo impianto produttivo a Kiryat Gat, città a 40 km dalla Striscia di Gaza dove già sono presenti 12 mila dipendenti.
A maggio 2023 Nvidia, leader nel mercato di progettazione e produzione di unità di elaborazione grafica, ha dichiarato di stare realizzando un supercomputer per lo sviluppo di Intelligenza Artificiale generativa basato su tecnologia cloud dal costo di svariate centinaia di milioni di dollari. Innovazioni come i Large Language Models sono possibili solo grazie ad enormi investimenti sia economici che di personale altamente specializzato, e vien da sé come essendo il mercato globale ristretto a pochi players, un blocco alla produzione avrebbe ripercussioni sullo sviluppo tecnologico in tutto il mondo.
Gli investitori internazionali non amano le incertezze
Il 2023 ha già registrato un calo negli investimenti in startup high-tech israeliane, che hanno raccolto finora 5 miliardi di dollari contro i 16 miliardi del 2022 ed i 26 miliardi del 2021, alimentate da settori come la cybersecurity e l’IA. Tutti questi avvenimenti rendono il futuro quanto mai incerto, legato anche alla particolare gravità di questo conflitto che sembra essere preponderante rispetto a quelli passati, visto il coinvolgimento di potenze militari come l’Iran e gli Stati Uniti.
Israele gode di grande fiducia presso gli investitori internazionali, che hanno deciso di non tralasciare la terribile situazione in fieri, aiutando la popolazione con attività di donazioni monetarie che possano aiutare nel superamento di questa tragico momento. Insight Partners, Venture Capital che gestisce 90 miliardi di dollari fra USA e Israele, ha corrisposto 1 miliardo di dollari ad un elenco di organizzazioni umanitarie nel paese mentre Jefferies Group, banca d’investimento con sede a New York, donerà 13 milioni di dollari in beneficenza per aiutare i cittadini vittime della violenza e dell’orrore della guerra.
La volontà di non abbandonare Israele
A livello geopolitico la situazione non è assolutamente rosea, ma da dichiarazioni di leader tech come il ceo di Microsoft Satya Nadella si evince la volontà comune di non abbandonare Israele, esprimendo una condanna ad ambo le parti per per avere scelto di proseguire sulla strada della guerra. Come le crisi finanziarie rendono il mercato più robusto e resistente agli shock esterni, è tuttavia difficile che il conflitto sottragga ad Israele il suo ruolo di leader nell’ambito dell’innovazione tecnologica, si spera assestandosi verso un equilibrio a lungo termine di pace e redditività.
Non è la prima volta che società di capitali e Venture Capital prendono duramente posizione contro situazioni instabili a livello geopolitico, si pensi all’omicidio di George Floyd nel 2020 o alla guerra in Ucraina. Questi grandi player muovono un gran numero di risorse sia monetarie che mediatiche per condannare la violenza, con l’augurio che la crisi sia passeggera e che Israele torni ad essere un hub di progresso anche per i prossimi anni.