categoria: Vendere e comprare
Quale zucchero fa più male alle persone e al pianeta?
Post di Alessandro Franceschini, Presidente di Altromercato –
Delle 172 milioni di tonnellate di zucchero prodotte ogni anno nel mondo, l’80% proviene dalla canna da zucchero, mentre quello di barbabietola rappresenta il restante 20%: l’Europa ne è il maggior produttore mondiale e solo l’Italia ne produce circa 250mila tonnellate, pari al 15% del fabbisogno nazionale. Questo significa che l’85% di tutto lo zucchero che consumiamo è di importazione.
I consumatori attenti alla sostenibilità hanno così due possibilità: scegliere un prodotto derivante dal mercato interno nazionale o europeo, che in termini di sostenibilità sociale si muove anche piuttosto bene, se si pensa che l’80% del personale del settore ha un contratto a tempo indeterminato e che la componente femminile nei ruoli manageriali raggiunge il 50%, o dirigersi verso una filiera di importazione auspicabilmente equosolidale. In questo secondo caso la garanzia dell’equosolidale è data dalla trasparenza: il consumatore deve poter vivere il prodotto senza limitarsi a sceglierlo, si devono fornire gli strumenti per comprendere che cosa rappresenti un singolo granello di zucchero per comunità intere, per famiglie e lavoratori che hanno dovuto lottare per ottenere un’equa retribuzione.
Dopo i produttori di zucchero sono pagati una miseria
In certi Paesi da cui si importa questo ex prodotto coloniale, infatti, le condizioni sono tuttora drammatiche per i produttori, che subiscono vere e proprie condizioni di sfruttamento: il prezzo dello zucchero, infatti, segue i movimenti della borsa e li riversa per la maggior parte sui produttori, che arrivano a essere pagati una miseria per orari di lavoro che eccedono ampiamente i limiti di legge. Le alternative comunque ci sono, basta saper intercettare la portata rivoluzionaria di certe storie che si nascondono dietro ad alcuni prodotti per diventare consum-attivisti, per imparare a scegliere mediante senso critico ciò che acquistiamo.
Una storia esemplare: Manduvirà
Consideriamo per esempio la storia che ha portato alla nascita di Manduvirà in Paraguay: negli anni Settanta le popolazioni indigene furono schiacciate dal regime di Alfredo Stroessner, con sequestri di terre e varie forme di schiavismo. Un gruppo di agricoltori ebbe il coraggio di lottare per la propria indipendenza e dette vita a una cooperativa di risparmio e credito: Manduvirà. Con il ritorno della democrazia trent’anni fa essa diventò una cooperativa agro-industriale per la produzione dello zucchero di canna e ancora oggi opera nel settore, garantendo anche il minimo impatto ambientale: per esempio crea energia pulita utilizzando i resti della spremitura delle canne come combustibile. Come si possono ignorare queste storie così drammaticamente attuali? Come si può essere consumatori senza conoscere il sacrificio che ha portato un cucchiaino di zucchero alla nostra tazza?
Il mercato equo e solidale garantisce che queste storie non siano ignorate, perché supporta e incentiva le azioni di emancipazione da parte dei produttori. Per esempio quando il prezzo di un prodotto si alza per via dell’innalzamento dei costi di trasporto, dovuti a crisi globali come la guerra o la pandemia, il mercato ordinario sacrifica il compenso ai produttori: il mercato equo e solidale mette invece questi ultimi al primo posto, permettendo che il loro lavoro resti tale e non divenga sfruttamento, lasciando i loro compensi inalterati a costo di aumentare il prezzo finale dei prodotti.
Non è un caso, dunque, che una volta comprese le dinamiche umane attorno ai prodotti, che non dovrebbero lasciare dubbi su ciò che sia bene acquistare, molto spesso subentri il tema del costo. Fa comunque ben sperare che il 60% dei consumatori sarebbe disposto a pagare di più per uno zucchero equo e solidale che dia delle garanzie rispetto alla tutela dei diritti e dell’ambiente lungo la catena commerciale, anche considerando che basterebbe una miglior pianificazione di ciò che mangiamo, con conseguente riduzione degli sprechi, a far risparmiare il necessario per acquistare senza sforzo prodotti equi e solidali: secondo l’Istat nel 1972 le famiglie italiane spendevano il 38% in alimenti, oggi il 19%: questo significa che i prezzi sono in generale diminuiti.
Zucchero equo e scelte dei consumatori
Finché si continuerà a cercare il risparmio e continueremo a comprare prodotti che costano pochissimo, si alimenterà un’economia che genera povertà. Tanti consumatori lo stanno iniziando a recepire. Serve però che i consumatori siano formati, arrivino a comprendere che per fare la loro parte nel processo di transizione del commercio verso la sostenibilità non sono necessari sforzi immani, basta farsi carico delle scelte che riguardano la propria quotidianità, prendere atto che non tutti i prodotti sono uguali e che la differenza tra questi non risiede soltanto nel prezzo e nella qualità, ma anche nella qualità della storia che li ha portati allo scaffale da cui li scegliamo. Troppo zucchero fa male, ma consumare lo zucchero sbagliato fa ancora più male.