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Influencer marketing: valore aggiunto o specchietto per le allodole?
Post di Maria Vittoria Faravelli, HR Learning Operation, EMEA, presso Amazon e corsista EMBA Ticinensis –
«Ostento ergo sum» sembra essere il sillogismo 2.0 a cui gli influencer si affidano sui loro canali social, un nuovo principio a cui ispirarsi quotidianamente per non cadere mai nel dimenticatoio, con buona pace del “vecchio” Cartesio.
L’ostentazione di bellezza e benessere è, per l’influencer medio, la formula alchemica da rispettare per fidelizzare gli accoliti, spettatori incantati di vite – solo apparentemente – perfette.
Influencer marketing, che cos’è
Un tempo esisteva il passaparola, come suggeriva il claim di un noto detersivo: il word of mouth costituiva una fitta rete di consigli personali, avvertimenti spassionati, che i consumatori si scambiavano tra loro sulla base dell’esperienza diretta nei confronti di un prodotto o di un servizio. Era un sistema di comunicazione che influenzava i consumi ma si dipanava su un piano puramente orizzontale, e nessuno degli attori che promuovevano o sconsigliavano un prodotto traeva profitto dall’espressione delle sue libere opinioni, svincolate da interessi economici o dalla fama personale.
Oggi, con l’avvento dei social media, le antiche dinamiche del passaparola tra consumatori si sono fatte in disparte lasciando sempre più spazio ad un sistema di suggerimenti marcatamente verticalizzato, in cui all’apice della piramide si trova l’influencer, colui che dispensa i consigli, e alla base i consumatori. Benché, in virtù del tentativo di creare un legame che appaia quanto più possibile sincero con i propri followers, gli influencer cerchino di assimilare i loro consigli al vecchio passaparola (alla stregua di amici fidati), questo processo non ha nulla a che vedere con il word of mouth perché è unidirezionale, perché una delle parti coinvolte (l’influencer) monetizza le dritte dispensate – fattore che ne inficia irrimediabilmente l’autenticità – e perché esiste una gerarchia in cui il pubblico si trova a ricoprire un ruolo puramente passivo.
Influencer marketing, come ha cambiato la strategia delle aziende
Le aziende, sulla scia di questo fenomeno nascente, hanno cavalcato l’onda ridefinendo totalmente il modo in cui possono influenzare e coinvolgere il mercato di riferimento, al punto che i piani di influencer marketing hanno assunto una rilevanza strategica per m olti web marketer.
Basti pensare che, basandosi sui dati del Report 2021 Brand & Marketer di ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing), che ha coinvolto 485 professionisti*:
– il 53,9% degli intervistati ha attivato progetti con creator e influencer nei 12 mesi precedenti;
– il 67,5% si dichiara da soddisfatto o ampiamente soddisfatto dei risultati ottenuti.
Gianluca Antonelli, CEO e fondatore di Innova, in un’intervista rilasciata a Repubblica nel 2022, sottolinea che la relazione fra aziende e gli influencer (e, di riflesso, con i followers degli stessi) segue una tendenza costantemente crescente di anno in anno e che si sta imponendo sempre più come modalità di comunicazione di cui le aziende non possono privarsi*
L’obiettivo, per le aziende, è sempre lo stesso: promuovere conversazioni di rilievo, consolidare la reputazione del brand e influenzare il comportamento e le scelte degli utenti.*
Best practice per un piano di influencer marketing vincente
È essenziale, innanzitutto, definire quali sono gli obiettivi di comunicazione che si intende raggiungere e quali sono gli influencer che meglio possono rispondere a simili esigenze: non tutti gli influencer hanno un seguito, una presenza digitale, una stile contenutistico che si adatta a tutti gli scopi, che si tratti di promuovere un nuovo prodotto creando buzz e coinvolgendo early adopters, o di promuovere un evento per incrementare l’afflusso del pubblico.
Inoltre, non sempre gli influencer più efficaci sono quelli che operano in contesti affini al mercato e all’ambito merceologico di interesse: le aziende possono trovare influencer anche al di fuori dei canali tradizionali dove è già collocato – si presume – un numero consistente di utenti che può cercare informazioni e aggiornamenti sul brand; è molto più efficace puntare ad avere una visione trasversale in grado di intercettare audience ugualmente ricettive ma che seguono influencer lontani dall’ambito merceologico e dal mercato nel quale si opera.
Profilare i consumatori ma anche gli influencer
Del resto, anche i consumatori seguono una logica multicanale per ricercare un brand, ed è opportuno che ogni canale sia presidiato da un influencer o che lo stesso influencer operi parallelamente su più canali con la stessa autorevolezza ed efficacia
Per raggiungere un pubblico al contempo ampio e mirato, sarebbe importante ottenere una profilazione esaustiva dei possibili consumatori che includa dati socio-demografici, riferimenti agli interessi e ovviamente una mappa completa della loro presenza sui social e sul web. Una volta definita quest’ultima, è opportuno valutare il tipo di relazione e interazione che si è costituito con l’influencer.
Per quanto concerne la profilazione degli influencer, invece, benché esistano molteplici strumenti adatti al raggiungimento dell’obiettivo, la regola delle quattro R rimane la via più performante.
La regola delle quattro R
Reach:
corrisponde al numero di fan o di follower a cui un influencer si rivolge attraverso i social; generalmente, anche i più quotati influencer hanno una reach inferiore ai media tradizionali ma sono in grado di offrire maggiori opportunità in termini di Roi (return on investment, ndr), proprio perché sono connessi ad un’audience altamente ricettiva. Tuttavia, selezionare un influencer solo in base a questo parametro può essere limitante, perché un’ampia audience può includere anche utenti che non sono interessati al brand o che non presentano le feature socio-demografiche che ci interessano.
Relevance:
risponde a un chiaro bisogno di focalizzazione della comunicazione in base all’effettiva rilevanza che un brand detiene rispetto a una certa audience e, al tempo stesso, alla rilevanza stessa dell’ influencer rispetto alla propria audience.
La relevance è essenziale per attrarre persone che appartengono al pubblico target: l’influencer, infatti, a seconda dei casi, deve vantare caratteristiche simili al brand che rappresenta, risultare attraente agli occhi del target di consumatori, e condividere contenuti rilevanti per il settore d’interesse.
Resonance:
può sembrare banale, ma non c’è risonanza senza rilevanza. Per risonanza si intende la capacità di evocare sentimenti, emozioni o valori che siano condivisi tanto dall’ influencer quanto dalla sua base di seguaci. Un influencer rilevante è colui che riesce a ottenere una certa risonanza – condivisione di valori, entusiasmo, coinvolgimento – presso la propria audience, al punto da guidarne il comportamento (sia esso la sottoscrizione di un abbonamento, la prova di un nuovo prodotto, l’acquisto di un certo servizio, etc.)*.*
Relationship:
ogni brand deve considerare il tipo di relazione che intende instaurare con i propri influencer, sia essa una mera relazione basata sull’affinità o su un più strutturato rapporto one-to-one. È importante che tra il brand e l’influencer si stabilisca una sorta di patto o accordo, che definisca chiaramente obiettivi e finalità della relazione.
Influencer onnipotenti, followers insicuri
Il mondo degli influencer sta indubbiamente diventando sempre più popolare e importante sui social media. Gli influencer sono persone che hanno un seguito di migliaia o addirittura milioni di persone e pubblicano contenuti per promuovere prodotti o servizi.
Tuttavia, questo fenomeno non è sempre positivo in quanto molti seguaci possono sentirsi inadeguati rispetto ai modelli di vita apparentemente perfetti degli influencer: molte persone comuni confrontano la loro vita con quella dei loro beniamini social, e questo può instillare in loro un senso di inferiorità.
Questa sensazione di inadeguatezza può avere effetti negativi sulla salute mentale e sull’autostima delle persone anche a causa del fatto che molti influencer pubblicano solo i momenti migliori della loro quotidianità e tendono a creare un’immagine falsa e irrealistica della vita che conducono.
Per evitare di rimanere invischiati in questo turbinio di spiacevoli sensazioni, è importante ricordare che la vita degli influencer sui social media non rappresenta la realtà e che spesso viene manipolata per creare un’immagine positiva. Inoltre, è importante concentrarsi sulle proprie realizzazioni e sulla propria felicità, anziché confrontarsi con gli altri.
Se gli utenti preferiscono le raccomandazioni di altri user
A livello aziendale, l’ufficio marketing deve basare la propria strategia su due dogmi fondamentali: autenticità e trasparenza, sia nel rapporto tra brand e creator che nella relazione con gli utenti.
Una tendenza che andrà a favorire la crescita di micro e nano influencer e di user generated content, figure e format che garantiscono una maggiore spontaneità e naturalezza nella comunicazione di brand e prodotti.
Sono infatti gli utenti stessi che oggi preferiscono le raccomandazioni di altri user rispetto alle comunicazioni diretta dei marchi o di grandi ambassador. Inoltre, sia influencer che consumatori saranno più attenti all’approccio dei brand in termini di responsabilità ambientale e sociale: ricevere il prodotto non è più al centro delle aspettative degli influencer, vogliono collaborare con brand che condividono i loro stessi valori.
L’emersione di strategie più concrete e dirette agli utenti
«Sempre più aziende abbracciano le strategie di micro e nano influencing perché offrono un messaggio più concreto e diretto all’utente. La forza è proprio nel legame tra utente e influencer: un rapporto paritario che rende il messaggio veicolato, simile ad un consiglio di un amico» commenta Andrea Scotti, Country Manager di Skeepers Italia. «Sfruttare la possibilità di avere come ambassador del proprio brand la fascia dei micro e nano influencer è dunque un’opportunità da non perdere, perché al contrario di macro e VIP, il loro stile di vita è molto più simile a quello di una persona “comune”», conclude Sabrina Agasucci, Account Executive per Skeepers.
Influencer marketing, i rischi per l’imprenditore
Un imprenditore dovrebbe comprendere fin da subito che l’associazione del proprio prodotto all’immagine di un influencer è un processo spesso irreversibile, che implica l’assorbimento da parte del prodotto stesso – agli occhi del pubblico – delle caratteristiche, dello stile di vita e dei valori dell’ influencer che lo rappresenta. Si intesse così un legame inestricabile tra il proprio bene di consumo (o servizio) e l’influencer incaricato di pubblicizzarlo. In un’ottica aziendale, quindi, l’imprenditore che volesse sperimentare l’influencer marketing dovrebbe prestare estrema attenzione alla scelta del personaggio che diventerà emblema del proprio marchio, valutandone l’immagine complessiva, le abitudini, la credibilità, le critiche mosse dal suo pubblico nei riguardi della sua attività sui social, e considerando quali altri prodotti commerciali e valori veicola sul suo canale.
Effetti negativi dell’ influencer marketing
In sintesi l’influencer marketing può avere effetti negativi sui consumatori e sulla società in generale. Ecco alcuni dei principali problemi:
– False rappresentazioni: gli influencer spesso presentano prodotti e servizi in modo falso o fuorviante per guadagnare denaro.
– Devalorizzazione del contenuto: l’influencer marketing può rendere il contenuto meno autentico e meno credibile.
– Impatto sulla salute mentale: la pressione di dover apparire perfetti sui social media può avere un impatto negativo sulla salute mentale degli influencer e dei loro seguaci.
– Promozione di stili di vita luxury oriented: gli influencer spesso promuovono stili di vita costosi e irrealistici che possono creare insoddisfazione e stress per i loro seguaci.
– Sfiducia nelle marche: l’uso eccessivo di influencer può portare a una sfiducia da parte del pubblico nei confronti delle marche che li utilizzano.
Un’inversione di tendenza?
Così come nelle migliori fiabe gli incantesimi prima o poi svaniscono, allo stesso modo i followers – o buona parte di essi – sembrano divenire ultimamente sempre più consapevoli della machiavellica architettura che regge la popolarità dei loro beniamini.
Una promessa di spontaneità spesso forzata ed artefatta, quella rivolta ai follower dagli influencer, un disperato tentativo di far passare per amicizia virtuale un rapporto che di fatto è meramente commerciale e teso a promuovere il consumo.
Una nuova consapevolezza, quella dei followers-consumatori, che sta affiorando implacabilmente su Twitter, con cinguettii sempre più spietati e intransigenti, o su Facebook, grazie alla nascita di gruppi e pagine che lottano contro un sistema che inizia a mostrare tutte le sue intrinseche debolezze.
Come se i followers, coloro che finora hanno seguito passivamente le vicende delle star dei social, si stessero rendendo conto che il potere, fin dal principio, era nelle loro mani e, precisamente,in quel campo inviolabile della loro mente in cui germoglia lo spirito critico.
Come se i followers stessero diventando, di fatto, i nuovi influencer.