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Istruzione, non c’è solo il caro affitti. Ecco gli altri mali della scuola italiana
Post di Alessandro Caggia per Accademia Politica –
Sebbene l’opinione comune riconosca una posizione di centralità al sistema educativo, è ben noto, nei fatti, che il nostro apparato governativo non rivolga ad esso le dovute accortezze: è necessario quindi ravvisare quanto il valore dello stesso, e la gravità della situazione corrente, che non si esaurisce certamente con il caro-affitti, siano spesso in larga parte sottovalutate. Sovente le ragioni della bassa politica, affamata di consenso e bramosa di perpetuarsi, hanno portato la classe dirigente a depennare dai propri taccuini la questione del sistema scolastico, relegando così ad una condizione di opaca arretratezza il Paese.
Istruzione, meritocrazia e pari opportunità
Il valore sociale, politico ed economico dell’Istituzione scolastica è vitale. Tale Istituzione, al fine di realizzare a pieno il suo mandato, ed esaltare del tutto il valore di chi ne viene formato, necessita di essere intrinsecamente meritocratica. Il concetto di meritocrazia non può coesistere con realtà incapaci di offrire pari opportunità. Dunque, se la capacità di garantire pari opportunità è condizione necessaria al fine di realizzare l’Istituzione scolastica, l’assenza della stessa ne lede fortemente le potenzialità.
Rendimento scolastico ed origini familiari
È in primo luogo sorprendente riscontrare quanto, nei fatti, l’appartenenza a date fasce di reddito sia strettamente correlata al rendimento scolastico. Inoltre, l’appartenenza etnica, che si lega alle fasce di reddito, è chiaramente un fattore estremamente significativo di discriminazione. Chiaramente tale dinamica si riflette in una ridotta mobilità sociale e dunque in più scarse possibilità occupazionali.
Istruzione e discriminazioni regionali
Non è certo controverso affermare che strutture scolastiche adeguate, ben rifornite e ben gestite sono essenziali al fine di esaltare l’apprendimento. Ad esempio, si stima che la carenza di materiali scolastici, la scarsità di attrezzature di laboratorio e di materiale di libreria comportino rispettivamente risultati del 10.5%, 16.7% e del 15.1% più bassi nei test PISA. Il nostro Paese si qualifica ad essere, sfortunatamente, un eccellente laboratorio dove testare in vitro quanto gravi carenze strutturali, mancati finanziamenti ed una pessima gestione dei fondi offerti possano, per mezzo di una ridotta qualità dell’istruzione offerta, compromettere la formazione sul piano individuale di intere generazioni, e la crescita nell’aggregato di vaste regioni.
Una Nazione, due scuole
In breve, stando ai dati offerti dal rapporto Svimez 2022: il sud, già fortemente caratterizzato da decenni da significative carenze strutturali, ha visto negli ultimi 10 anni un crollo del 30% degli investimenti nel settore. Ad oggi, nelle scuole primarie, il 79% dei bambini non ha servizio mensa ed il 66% frequenta una scuola non dotata di una palestra.
A conseguenza di ciò, un bambino del Meridione frequenta la scuola primaria per una media annua di 200 ore in meno rispetto ad un coetaneo del nord. Il tasso di abbandono scolastico risulta dunque ben più elevato: 21,1% in Sicilia, 17,6% in Puglia, e 16,4% in Campania, contro una media nazionale già non eccelsa (12,7%), seconda solo a Romania e Spagna. Nascere al Sud significa, di fatto, perdere un anno di scuola. La performance scolastica è chiaramente impattata.
Le conseguenze economico-sociali delle differenze d’ istruzione
Ci si propone dunque di analizzare quanto grandi siano i costi individuali di una scarsa formazione, per derivare così, nell’aggregato, l’entità delle perdite a livello statale. Sotto il profilo individuale è chiaro che il conseguimento di una laurea comporti un maggiore tasso di produttività, salari più elevati, un tasso di occupazione più alto e tassi di incarcerazione molto più bassi.
Effetti su disoccupazione, tasso di incarcerazione e salute
Anche per ciò che concerne la sfera sanitaria le differenze sono marcate: spesso per causa di una mancata prevenzione le persone con basso titolo di studio sono più esposte allo sviluppo di patologie letali (+35% per gli uomini, +24% per le donne) che, se trattate per tempo, non solo avrebbero ridotto i costi sostenuti dal sistema sanitario nazionale, ma anche, cosa più importante, ne avrebbero salvato la vita.
In conclusione, seppure sia complesso calcolare nell’aggregato quanto più oneroso sia per uno Stato provvedere al supporto di chi è stato sfavorito dal sistema scolastico, un interessante studio svolto nello Stato del Connecticut stima che la spesa a supporto di chi non ha ottenuto un diploma sia il 400% rispetto alla spesa mediamente sostenuta per cittadino. Lo stesso studio stima anche che una riduzione del 50% del tasso di abbandono scolastico e dell’assenteismo cronico comporti una riduzione del 16% della disoccupazione giovanile e del 27% nel tasso di incarcerazione.
Potenziale inespresso, l’Italia arranca nelle classifiche
Lo Stato perde due volte: da un lato è costretto a sostenere maggiori spese di welfare, dall’altro non realizza il ritorno potenziale sul capitale investito. Stando ai dati offerti da Bridgewater, questi due fattori fanno sì che la spesa pubblica in istruzione, negli USA, abbia un ritorno annualizzato sul lungo periodo sul capitale investito per studente di circa il 10-15%. Si pensi al dato sui giovani con un titolo di studio di livello terziario, che trova l’Italia penultima in Europa, preceduta dall’Ungheria e seguita dalla Romania, o al dato sui NEET, che vede l’Italia ultima in Europa dietro la Romania e la Bulgaria e si consideri quanto grandi siano le potenzialità inespresse del Paese. Si noti inoltre quanto gli elevati tassi di abbandono scolastico che caratterizzano il nostro Paese rappresentino una più che significativa perdita per le casse dello Stato.
L’aumento della spesa in welfare frutto dei mancati investimenti in istruzione
Lo Stato, la cui assenza ha comportato il dipanarsi di tali dinamiche, orfano del prezioso contributo che tali persone avrebbero potuto offrirgli, è dunque oggi costretto, per evitare il propagarsi endemico di povertà, criminalità e rabbia sociale, a spendere ingenti quantità di denaro in onerose misure di welfare. Pur ritenendo tali misure giuste e necessarie, il cuore di questo articolo è riscontrare quanto ridotta avrebbe potuto essere la spesa nelle stesse e quanto grande avrebbe potuto essere il ritorno sul capitale contribuito qualora si fosse investito per tempo in queste persone dando loro gli strumenti necessari per realizzarsi professionalmente.
Un fallimento collettivo
Offrire, a posteriori, un irrisorio contentino per vivere non è un modo per mostrare il proprio credo progressista-democratico. Intervenire a monte è ben più accorto, e meno dispendioso, che offrire palliativi a valle. La mancata attuazione di politiche volte al garantire pari opportunità dimostra una serissima carenza strutturale di un sistema che professa nella propria evocativa carta costituzionale ideali che di fatto non riesce, né si impegna, a realizzare. La presente condizione italiana, caratterizzata da significative disuguaglianze e scarsi risultati, rappresenta, prima di ogni altra cosa, un fallimento collettivo.