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Così il business del benessere cresce grazie alle aziende (e ai benefit)
Post di Matteo Musa, CEO e Co-Founder di Fitprime* –
Una filosofia di vita da cui è nata un’industria miliardaria, che però è sempre più competitiva e difficile. Parliamo del wellbeing, che ha fatto capolino sostituendosi al “mero” fitness (salute complessiva versus solo forma fisica) a partire dagli anni ’80 e che si è veramente imposto da una decina di anni nel panorama internazionale per esplodere nel post Covid anche in Italia.
Secondo i dati Istat a fine 2020 le persone che nel nostro Paese praticano sport in modo continuativo nel proprio tempo libero hanno raggiunto il massimo storico, con una quota sulla popolazione del 27,1%, ovvero +8% rispetto al 2001 e +0,5% rispetto al 2019. L’Eurobarometro della Commissione Europea indica inoltre che nel 2022 la sedentarietà in Italia si è ridotta di quasi il 10% rispetto all’ultima rilevazione del 2017, un trend più marcato a confronto con la media europea (-2,2%).
In questo nuovo paradigma il benessere della persona è al centro. Ed è un obiettivo che si costruisce praticando sport mentre si cura la salute mentale e si seguono un’alimentazione e uno stile di vita corretti. Mens sana in corpore sano, dicevano i latini – e in fondo è un po’ un ritorno alle origini.
Come cresce il business del benessere
Un trend sociologico che ha dato vita a un business miliardario, ma ancora agli albori. L’Osservatorio di Ambrosetti The European House ne dà una misura in un report dal titolo “Valore Sport”. I dati sono relativi al 2019, quando la filiera italiana dello sport raggiungeva un valore aggiunto di 24,5 miliardi di euro, pesando per l’1,37% del PIL nazionale. Con un tasso medio annuo di crescita composto del +2,1% nel periodo 2012-2019, il comparto si era dimostrato più dinamico della crescita media del PIL nazionale (+0,5%). Il risultato è che la filiera sportiva contribuisce al PIL del Paese in modo più significativo rispetto ad altre importanti filiere nazionali, spesso più celebrate e valorizzate: ad esempio, il suo valore aggiunto supera del +9% quello dell’automotive, del +61% la filiera del tessile e abbigliamento e di 2,4 volte l’industria farmaceutica.
L’effetto dei lockdown e la ripresa
Certo il settore è stato pesantemente penalizzato dai lockdown imposti dai governi per affrontare la pandemia, ma come evidenzia l’edizione 2022 dello European Health & Fitness Market Report (EHFMR), nella maggioranza dei paesi europei con la definitiva riapertura e il progressivo allentamento delle restrizioni e delle misure di sicurezza il mercato si è ripreso e ha tutte le carte in regola per tornare a crescere come prima del 2020.
Palestre, centri estetici, professionisti della nutrizione, mental coach, personal trainer, psicoterapeutici: il fatturato di questi operatori è dentro ai numeri sopra citati. Operatori che cercano di conquistarsi fette di mercato in un contesto sempre più affollato e competitivo. Secondo un altro report di Deloitte “The corporate Wellness Industry” si calcola infatti che il numero di centri per il wellness sia aumentato del 17% portandosi a 210mila realtà in tutto il mondo. Alla crescita indicata si associa però una maggiore concorrenza: i centri per il wellness si trovano ad affrontare sfide continue per aumentare il numero di iscritti e incrementare la quota di mercato. Quindi, cosa fare per ampliare il bacino di clienti? Dati e ricerche spiegano che attingere dal mondo del corporate sia una strada molto interessante da percorrere.
Benessere, perché guardare alle corporate?
Esiste certamente una ricca opportunità all’interno del welfare aziendale, poiché le aziende investono sempre più in programmi di benessere per attrarre e trattenere i dipendenti. Sta di conseguenza aumentando anche la ricerca di partner stabili e affidabili che possano aiutarle a rendere questi investimenti efficaci ed efficienti – e in particolare ad offrire dei pacchetti che vadano oltre al solo fitness per rispondere all’esigenza sempre più chiara dei dipendenti di occuparsi del proprio wellbeing a 360 gradi.
Tutto questo porta chiaramente a trasformare il welfare aziendale in un’opportunità per gli operatori dell’Health & Fitness. Potenziare la relazione tra corporate e aziende dell’H&F porta vantaggi a tutte le parti che la compongono: dalle aziende che ottengono programmi di welfare e wellbeing appetibili, ai centri benessere che beneficiano di traffico incrementale e maggiori entrate, alle persone che possono godere di programmi evoluti e personalizzati per il proprio empowerment individuale e la propria salute.
Secondo un ampio sondaggio della stessa Deloitte, per il 56% delle aziende dell’H&F il welfare rappresenta una grande opportunità e per il 36% è un driver di crescita per il fatturato. In che misura? Fino al 5% in tre anni per il 19% dei manager interrogati, tra il 6 e il 10% per il 22%, tra l’11% e il 25% pe il 17%, tra il 26 e il 50% per un ulteriore 22% e addirittura oltre il 50% per l’11% dei rispondenti.
Il gap tra domanda e offerta: uno spazio da colmare
Tuttavia esiste un gap nell’incontro tra la domanda delle aziende che avviano programmi di wellness e l’offerta di imprese del mondo H&F. Lato corporate le difficoltà sono diverse. Per esempio, le multinazionali che hanno costruito centri benessere nel proprio headquarter non sono poi in grado di fornire simili offerte per i dipendenti di tutte le altre sedi aziendali. E se si decidesse, per esempio, di sopperire a questa discrepanza rivolgendosi ad operatori esterni si creerebbe un problema di gestione: infatti gestire i rapporti con numerosi centri wellness esterni richiede un grande impegno di risorse aziendali. Dall’individuazione e negoziazione con ogni centro benessere, all’amministrazione dei contratti one-to-one, alla necessità di attuare una strategia di comunicazione multicanale per catturare l’attenzione dei dipendenti, fino alla misurazione del ritorno sull’investimento: il lavoro da fare per gestire i piani benessere è davvero molto.
Operatori del benessere, il panorama delle Partite Iva e delle ditte individuali
D’altro lato i centri sportivi e in generale tutti gli operatori del wellness – che in Italia sono per lo più Partite Iva o ditte individuali, al più piccole imprese – non sono strutturati per poter attuare strategie commerciali efficaci sul segmento business. Cercare di sensibilizzare un’azienda e spingerla a investire su qualcosa il cui valore non è immediatamente percettibile e per cui dovranno investire risorse in comunicazione ai dipendenti richiede un approccio consulenziale di cui le piccole realtà tipicamente non dispongono. In aggiunta a ciò, bisogna considerare che il segmento del B2B è inaccessibile se non si è in grado di fornire offerte comprensive di polizza assicurativa, che siano compliant alla normativa Gdpr, e che rispettino standard qualitativi uniformi (se l’interlocutore è una grande azienda con sedi su tutto il territorio nazionale, bisogna poter garantire lo stesso standard di offerta per tutte le sedi e per tutti i dipendenti).
E ancora, i professionisti con partita Iva (dal nutrizionista allo psicologo) difficilmente potrebbero partecipare a bandi di gara – per i quali è necessario presentare una Durc regolare e avere una struttura con un certo grado di complessità.
Una soluzione? Le piattaforme che intermediano domanda e offerta di wellness
La nuova tendenza è provare a colmare questo gap con una proposta volta a far incrociare domanda e offerta, accorciando la filiera.
I centri che si avvalgono delle piattaforme di intermediazione vedono aumentare il fatturato anche a doppia cifra. Inoltre, il fatto di aver reso la palestra accessibile, con un servizio semplice, veloce e privo di frizioni, a un target di persone che diversamente ne sarebbero rimaste fuori ha portato un ampio pubblico in più a indossare tuta e scarpette. Un esempio: il 76% degli utenti che arrivano al centro sportivo attraverso Fitprime non avevano un abbonamento da almeno 3 anni. Simili trend sono riscontrabili relativamente ai piani nutrizionali e ai percorsi di supporto psicologico.
Questa strada è stata già intrapresa da grandi aziende come Unicredit, Eni, Luxottica, Accenture. Quelle più piccole hanno invece investito in modo timido perché ad oggi non c’è ancora vera consapevolezza dell’importanza del wellbeing e sono ancora pochi gli operatori specializzati nell’incontro domanda-offerta. Il Covid ha agito sul primo fattore cambiando la scala delle priorità: le aziende oggi devono badare al benessere delle risorse, che lo cercano non più solo sotto forma di retribuzione ma anche e soprattutto in termini di salute.
Operatori che riducono questo gap costituiscono l’ultimo tassello, il ponte che consente alle due parti della relazione di trovarsi. Con un beneficio a tendere anche per la Sanità pubblica, perché persone più attente al proprio benessere restano più a lungo in salute.
* Che cos’è Fitprime
Fitprime è una piattaforma di servizi di welfare aziendale rivolti al benessere della persona. Offre programmi tailor made per le aziende grazie a 3 servizi principali: Fitprime Places, il servizio che permette di allenarsi in più di 3000 centri sportivi partner in tutta Italia, Fitprime Smart, un portale interamente dedicato all’home-workout, con migliaia di lezioni on demand e live, e Fitprime Nutrition, un servizio che offre anamnesi e piani alimentari personalizzati. 30 tecnici, tra trainer, psicologi e nutrizionisti, si occupano ogni giorno di erogare attività, masterclass, webinar, programmi nutrizionali e molto altro. Maggiori informazioni sul sito fitprime.com, sui canali social Linkedin e Instagram o direttamente a info@fitprime.com