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Il divario tra Nord e Sud in Italia: perché va sempre peggio
Post di Mattia Moretta per Accademia Politica
La crisi da Covid-19, integrando lo “shock Ucraina”, ha accentuato il divario economico e sociale tra le regioni del Nord e le regioni del Sud. La pandemia ha infatti causato perdite ingenti lungo tutte le regioni dello stivale, ma nel meridione, in particolare, ha colpito più che altrove. Imprese, dipendenti, partite IVA e giovani si sono trovati davanti ad una crisi che non ha risparmiato nessuna categoria. Oggi, la ripresa è facilitata dai fondi del Recovery Fund, ma questa deve tenere conto del quadro di partenza, il quale è tutt’altro che incoraggiante.
L’economia al Sud: l’aumento della povertà
Il rapporto annuale 2021 dello Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno, fornisce informazioni rilevanti circa lo stato di salute dell’economia del Sud Italia. Questo afferma come il rimbalzo del PIL post Covid sia evidente sia al Nord che al Sud, anche se in misura differente: rispettivamente +6.8% contro +5%. Questa differenza è dovuta a due fattori: uno legato agli investimenti, e uno legato all’export. Inoltre, se da un lato la crescita delle componenti del PIL è augurabile e positiva per l’economia, è altresì vero che la crisi ha avuto un impatto crescente e incrementale sulla povertà assoluta. Su due milioni di famiglie italiane povere, circa 775mila sono al Sud; inoltre, su 5,6 milioni di individui in condizioni di povertà, 2,3 milioni sono al Sud. In più, in misura percentuale rispetto al totale della popolazione, l’incidenza dei poveri al Sud è maggiore che al Nord, e al Mezzogiorno sono anche cresciuti nell’anno della pandemia: 9,4% nel 2020, contro l’8,6% nel 2019.
Guerra in Ucraina e conseguenze a Sud
Osservando il rapporto annuale Svimez 2022, si osserva una partecipazione della Guerra in Ucraina in termini economici non indifferente. Lo shock, intervenuto in corso d’anno, avrebbe aumentato la forbice di crescita tra Nord e Sud, incrementando quindi il divario. Secondo le stime del rapporto, il PIL dovrebbe essere cresciuto nel 2022 del +2,9% nel Mezzogiorno, distanziato di oltre un punto percentuale dal Centro-Nord (+4,0%). Si sottolinea inoltre che, a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari, la porzione di famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere con forti eterogeneità territoriali: + 2,8% nel Mezzogiorno, contro lo 0,3% del Nord. Per il 2023, il quadro previsivo dello Svimez mostra una contrazione del PIL pari allo 0,4% nel Mezzogiorno, con ripresa solo nel 2024.
Il lavoro al Sud e l’emigrazione dei giovani
Sul ruolo del lavoro e delle assunzioni al Meridione si è detto molto, soprattutto quanto al ruolo dei giovani, che spesso emigrano e lasciano un vuoto produttivo incolmabile. Ma, partendo da una visione d’insieme, la situazione non cambia. Il tasso di disoccupazione al Sud è più alto che al Nord, e con la crisi il rapporto tra il numero di individui e la forza lavoro è incrementato in misura ingente, soprattutto per via della crescita del primo valore. Nel 2020, il tasso di disoccupazione al Nord era del 5,8%; al Sud, era del 15,9%, circa 2,7 volte tanto.
Incide nel report anche una componente di genere, legata all’occupazione femminile. Il tasso di occupazione delle donne laureate, nel Mezzogiorno, è del 44%, contro il 70% al Nord. Non solo: persino nell’occupazione della Pubblica amministrazione, il Sud soffre. Tra il 2010 e il 2019, infatti, è crollata l’occupazione negli enti pubblici, soprattutto al Meridione – 27% in meno al Sud, contro il 18,6% in meno al Nord. Anche le retribuzioni fanno fatica a crescere, e se non crescono le retribuzioni, non crescono nemmeno i consumi. Svimez sottolinea come la debolezza dei consumi degli individui sia causata da una dinamica salariale piatta (circa il 15% dei dipendenti al Sud è sottopagato, contro l’8,4% del Centro-Nord), oltre che da un tasso di disoccupazione alto e in crescita rispetto al periodo pre-Covid.
Al Sud allarma il dato sui NEET
Infine, è meritevole di approfondimento la componente giovanile del mercato del lavoro. Con particolare riferimento ai giovani NEET, il dato al Sud è allarmante. Questo indicatore raffigura i ragazzi under 29 che non studiano, non lavorano e non si formano. Nel 2020, i giovani NEET nel mezzogiorno corrispondevano al 36% di tutti i giovani del Sud. In altre parole, più di un giovane su 3 al Sud non studia, non si forma e non lavora.
Cosa è stato fatto per il Sud
Un primo intervento in favore del Sud Italia è stato portato avanti all’inizio del Novecento: una riforma dell’imposta fondiaria che avrebbe dovuto agevolare la realizzazione delle opere pubbliche nelle regioni più povere, stimolando l’industrializzazione in Basilicata e in Calabria. Tuttavia, le agevolazioni di cui il Mezzogiorno ha beneficiato sono risultate scarse e poco efficaci: agli ambiziosi progetti previsti non corrisposero eguali realizzazioni. La ragione sta nel fatto che la manovra è stata proposta all’interno di un contesto in cui la Politica non ancora riponeva le dovute attenzioni alla Questione meridionale. In aggiunta, prendendo la strada dell’espansionismo militare con il conflitto mondiale, il Sud ne ha risentito ulteriormente, perché il finanziamento delle commesse all’industria militare – ovviamente concentrata al Nord – avveniva tramite le tasse di tutti i cittadini italiani: in sintesi, un ulteriore trasferimento di ricchezza dall’Italia meridionale a quella settentrionale.
Il fallimento delle politiche nei decenni
Un secondo tentativo corrisponde all’istituzione, dopo la Seconda guerra mondiale, della Cassa per il Mezzogiorno. La volontà era di affiancare all’intervento ordinario dello Stato un intervento straordinario, creando un ente dotato di una forte autonomia decisionale e progettuale. Negli anni del suo operato – 40 anni fino al 1982 – la Cassa ha reso possibili la progettazione e il finanziamento di grandi infrastrutture. Tuttavia, la condizione meridionale non migliorò particolarmente: secondo Daniele e Malanima (2011), fatto 100 il PIL pro capite del Nord, quello del Sud passò solo da 53 a 60 con la presenza della Cassa. Diversi autori hanno riportato come la Cassa, in realtà, sia negli anni diventata uno strumento di erogazione di sussidi utili per istituire rapporti clientelari e affaristici tra la classe politica e i cittadini stessi.
Gestione inefficace e inefficiente
Dal 1992, poi, altri strumenti sono stati posti in essere: tra questi, i contratti d’area – con lo scopo di favorire la nascita di nuove attività in zone colpite da crisi occupazionale – e i patti territoriali – attraverso cui, tramite investimenti privati, le amministrazioni pubbliche si impegnavano a migliorare infrastrutture e servizi nel Paese. Queste iniziative, però, non hanno dato i risultati attesi, anzi: negli anni 90’, il PIL pro capite del Sud è calato, riprendendo lo studio sopra citato, dal 60 al 56% di quello settentrionale. Dati, questi, a cui ha inevitabilmente contribuito anche la responsabilità politica della classe dirigente dell’epoca, attraverso una gestione inefficace e inefficiente delle risorse stanziate.
La missione del PNRR
La più grande sfida del Programma nazionale di ripresa e resilienza sarà quella di assorbire, programmare e implementare le risorse a disposizione. Un compito arduo, soprattutto considerando che gli enti meridionali dovranno gestire circa 20,5 miliardi di euro, di cui la metà nel biennio 2024/2025. Tale missione richiede un enorme efficientamento della macchina amministrativa, con un impiego notevole di risorse umane e finanziarie, tanto nel pubblico quanto nel privato. Grazie anche ai contributi e al ruolo degli strumenti di cui sopra, il quadro di riferimento iniziale deve prendere una rotta differente, volta a rilanciare un territorio, quello del Mezzogiorno, che negli anni ha subito un crescente divario dalle regioni del Nord.
Se è vero che il Sud è ricco di risorse, sia come capitale che come lavoro, è altresì vero che ad oggi, come affermava Goethe, il Nord ha “un grosso magnete che irresistibilmente attrae indietro”. Mai come oggi, le regioni del Sud hanno la possibilità di ripartire, e di dare slancio all’economia delle imprese e del settore pubblico nel Meridione, per ridurre un divario, quello con il Nord, che da anni caratterizza anche le classi sociali di riferimento.