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L’autarchia linguistica e l’attrattività degli investimenti esteri
Post di Fernando Napolitano, Ceo di Newest, piattaforma innovativa per migliorare la comprensione e le azioni commerciali tra UE e USA –
Il Made in Italy è considerato uno dei brand più forti del mondo e questo dovrebbe significare che la vocazione manifatturiera italiana sia talmente apprezzata da essere riconosciuta come un asset primario non solo nel nostro Paese ma anche dagli investitori stranieri. Sebbene l’Italia sia molto apprezzata (cibo, moda, arredamento, macchine sportive e turismo), non viene percepita come Paese in cui investire. Nel 2021 dei US$ 6.000 miliardi investiti dagli USA all’estero, l’Italia ne ha attratti solo 21, l’Olanda 885, l’Irlanda 555, la Germania 170, la Francia 106 e la Svezia 56. Molto pochi rispetto anche ai nostri vicini europei, che catalizzano somme doppie e triple ogni anno.
Come è possibile? È un problema di percezione, che è di fondamentale importanza per un Paese votato all’export come il nostro. La percezione deriva dalla sommatoria di diverse variabili, tra le quali modo di vivere, storia, radici culturali e poi cucina, moda, paesaggi e beni architettonici. E anche politica, naturalmente.
Le classifiche non sempre dicono tutto (a prima vista)
Nell’ultimo Best Countries Report 2022 redatto da US News, BAV Group e dalla Wharton School of the University of Pennsylvania, l’Italia risulta al quattordicesimo posto su 85 nazioni investigate e questo potrebbe sembrare un ottimo risultato di cui essere orgogliosi. Ma se andiamo a vedere più nel dettaglio, scopriamo che l’Italia scivola ben oltre la metà della classifica quando si parla di temi cruciali per lo sviluppo e la capacità di attrarre investimenti, come per esempio l’accesso al credito, la formazione della forza lavoro, lo sviluppo delle infrastrutture e la chiarezza degli aspetti normativi.
Che cosa scoraggia maggiormente gli investimenti
In sostanza, l’Italia viene vista come un luogo dove cultura e buon vivere sono garantiti, ma che presenta importanti lacune sul fronte della burocrazia, del sistema fiscale, della corruzione, del mercato del lavoro e dell’innovazione. L’instabilità politica e una crescita economica inferiore alla media europea, insieme a disoccupazione e calo demografico, inoltre, per i partner esteri sono fonti di preoccupazione e scoraggiano gli investimenti. Questo nonostante l’Italia sia attualmente l’ottava economia mondiale in termini di PIL nominale e sia il secondo Paese UE nel settore agricolo e nel settore manifatturiero.
Italia, un’immagine relegata a pochi settori
D’altra parte, il racconto dell’Italia all’estero non ha mai rappresentato una priorità per nessun governo, tanto che sono spesso state le singole aziende a prendere l’iniziativa. Ma se da un lato i grandi brand italiani continuano a crescere e sono riconosciuti come garanzia di qualità e stile, dall’altro continua a trattarsi di un gruppo ristretto di imprese, caratterizzate da una forte spinta all’innovazione e all’internazionalizzazione, che non rappresenta la fitta rete di PMI che compone il nostro tessuto imprenditoriale. In questo modo l’immagine dell’Italia resta relegata a pochi settori come moda, lusso, design e food ma risulta molto più debole, per esempio, del Brand Francia o del Brand Germania quando si parla di opportunità di business e di investimento di capitali.
Scarsa capacità di comunicare in inglese
Per dirla in altri termini, l’immagine del nostro Paese all’estero è debole, connotata dall’idea di una persistente difficoltà nello sviluppare business a causa dell’eccessiva burocrazia e delle carenze del sistema giudiziario, della gestione farraginosa della cosa pubblica e della scarsa capacità di comunicazione in inglese di privati e imprese. In effetti, l’Italia comunica tradizionalmente molto poco in inglese e quando lo fa appare fortemente autoreferenziale.
La buona cucina non basta ad attrarre investimenti sugli asset stategici
Il racconto è delegato ai media stranieri che ovviamente filtrano le informazioni con i propri occhi e interessi. L’immagine che ne emerge è quella di una realtà eterogenea e complessa, dove a pochi contesti avanzati tecnologicamente se ne affiancano molti arretrati dal punto di vista digitale e manageriale. L’Italia resta uno dei paesi più visitati al mondo e la sua cucina continua a essere apprezzata e stimata da tutti, ma questo non è sufficiente ad attrarre investitori sullo sviluppo dei veri asset strategici dell’economia del Paese. La maggior parte dei brand, inoltre, si riferisce ad aziende dal fatturato modesto e che faticano a competere sul mercato globale, anche perché non possono contare su una brand image nazionale solida e riconosciuta.
Condizione numero uno per gli investimenti dall’estero: la stabilità politica
L’auspicio è che questo governo tragga profitto dalle esperienze dei precedenti e avvii azioni strutturali che tutti, specie gli investitori internazionali, aspettano da tempo. Queste riforme riguardano in primis la stabilità politica. È noto a chiunque operi in ambito internazionale che a ogni tornata elettorale, gli stakeholder stranieri alzano il sopracciglio accogliendo con mal celato sarcasmo le dichiarazioni di durata quinquennale di ciascun esecutivo. D’altro canto in 75 anni di Repubblica abbiamo avuto 68 governi, dei quali il più longevo è stato il Berlusconi II che è durato 1412 giorni.
PNRR, occorre una seria strategia di posizionamento
Se facciamo un confronto con altri paesi, scopriamo che Joe Biden è il 46° Presidente degli Stati Uniti da George Washington, Emmanuel Macron il 10° Presidente dal 1949, Olaf Scholz è il 9° cancelliere tedesco. Questi numeri pesano sull’immagine dell’Italia in termini di attrazione di investimenti e credibilità del sistema politico. Non per altro, ma perché dura poco. Anche in ottica di valorizzazione delle opportunità del PNRR, l’invito è a prendere consapevolezza di questa dinamica di lunga data per capire come migliorare l’immagine del nostro paese all’estero, attraverso analisi finanziarie e di marketing che siano in grado di porre i presupposti per una seria strategia di posizionamento che comporti un impatto economico concreto.