categoria: Vicolo corto
Aria inquinata e salute, chiedere i danni in Europa non è (ancora) concesso
Post di Lorenzo Tropea. Neolaureato in Politiche Pubbliche e Co-fondatore del blog Pillole di Politica –
“I valori limite per la qualità dell’aria previsti dalle direttive 80/779/CEE, 85/203/CEE, 96/62/CE, 1999/30/CE e 2008/50/CE non sono preordinati a conferire diritti individuali ai singoli, ne attribuiscono loro un diritto al risarcimento nei confronti di uno Stato membro per i danni causati in seguito alla violazione del diritto dell’Unione”. Questa è la conclusione della Corte di giustizia europea in merito alla sentenza Ministre de la Transition écologique y Premier ministre.
Causa da 21 milioni per i danni alla salute dall’aria inquinata
La vicenda vede coinvolto un cittadino francese residente nell’agglomerato di Parigi, il quale ha richiesto allo Stato francese un risarcimento pari a 21 milioni di euro per via dei danni arrecati alla sua salute derivanti dal mancato rispetto dei valori limite sulle sostanze inquinanti nell’aria.
Inoltre, attraverso la sentenza del 28 aprile 2022 Commissione c. Francia (Valeurs-limites – PM10), la Corte ha riconosciuto la violazione da parte dello Stato francese, ai sensi dell’art. 23, par. 1, comma 2, della direttiva n. 50/2008 il valore limite di PM10 (materiale particolato), nonché dell’allegato XV della stessa direttiva, in quanto non ha implementato le misure necessarie atte a circoscrivere in un periodo breve il superamento di detto limite. Ad aggravare la posizione dello Stato francese, il Consiglio di Stato ha accertato il superamento dei valori soglia riguardanti il biossido di azoto per la città di Parigi fino al 2020, mentre, con riferimento alle PM10, è stato accertato il persistente superamento del valore negli anni 2018 e 2019.
La questione del nesso causale diretto e la responsabilità degli Stati
La Corte ha esaminato i presupposti per l’esperibilità dell’azione risarcitoria la cui responsabilità degli Stati membri non dipende automaticamente dall’illegittimità del loro operato, ma bensì dalla sussistenza delle seguenti condizioni: che la norma giuridica dell’Unione violata sia preordinata a conferire ai singoli dei diritti; che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata; che sia presente un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito dai soggetti.
Nonostante siano notevoli le difficoltà nel dimostrare tale nesso eziologico (circa la terza condizione) per via della crescente diffusione dei fattori di rischio e dalle diverse malattie che possono derivarne, la ricerca scientifica, anch’essa in continua evoluzione, riporta un numero sempre più elevato di prove sull’impatto negativo dell’inquinamento ambientale sulla salute umana.
Corte di Giustizia e salute, i timori di aprire un varco troppo ampio
Le interpretazioni riportate nella sentenza dalla Corte sembravano inizalmente esprimersi a favore del ricorrente. Tuttavia, le conclusioni, forse per il timore di aprire un varco troppo ampio per gli eventuali ricorsi futuri, non sembrano essere molto coerenti.
Secondo la Corte, gli obblighi previsti dalla direttiva 50/2008, pur perseguendo un obiettivo generale di protezione della salute umana e dell’ambiente, non prevedono l’implicito conferimento di diritti ai singoli la cui violazione possa fare automaticamente scaturire la responsabilità di uno Stato membro per i danni a loro causati.
Tale interpretazione ha come conseguenza la mancata sussistenza della prima condizione, lasciando come margine d’azione al ricorrente la sola possibilità di poter agire dinanzi ai giudici competenti per richiedere l’adozione delle misure previste dalla direttiva, attraverso la messa in atto un piano d’azione, nel caso di superamento dei valori limite stabiliti.
Sì alla procedura d’infrazione, no ai diritti individuali
L’impostazione seguita dalla Corte tende a collocarsi in una posizione intermedia, secondo cui la tutela dell’ambiente venga assicurata attraverso il sistema della c.d. “procedura di infrazione” (ne sono esempio le numerose sentenze con cui la Commissione ha proceduto nel far rilevare dalla Corte la persistente violazione da parte degli Stati membri delle direttive sopra citate) senza tuttavia prevedere il riconoscimento di un diritto volto a riconoscere la responsabilità degli Stati membri nel risarcire i danni provocati ai singoli dalla loro violazione.
La sentenza Ministre de la Transition ècologique rappresenta un’ulteriore occasione persa nel riconoscere il diritto dei singoli all’aria pulita, che si riflette nella più ampia sfera del diritto di godere di un ambiente salubre, la cui protezione sarebbe assimilata a quella dei diritti fondamentali e inviolabili dell’uomo.
Giustizia climatica e salute, forse non è stata detta l’ultima parola
In definitiva, occorre abbandonare ogni speranza di una giustizia climatica europea? non necessariamente. Nonostante siano emersi alcuni ostacoli che limitano l’accesso alla giustizia climatica dinanzi la Corte, probabilmente siamo ancora in attesa dell’ultima parola sul tema. È probabile che la Corte di giustizia abbia solo rimandato una decisione che richiederà, presto o tardi, l’assunzione di una posizione netta da parte dei giudici europei.