categoria: Vicolo corto
Lavoro agile, full-remote, presenza: la flessibilità ha bisogno di ascolto
Post di Mario Alessandra, Fondatore e Amministratore Delegato di Mindwork, società che si occupa di benessere psicologico per le aziende –
Le modalità di lavoro stanno evolvendo sotto i nostri occhi. A tre anni dalla pandemia, se si dovesse fare un bilancio, probabilmente questo cambiamento risulterebbe quello più trasversale, diffuso e permanente. Non si torna indietro. Il modello novecentesco “ufficio 9-18” si è rotto.
Tuttavia, un punto d’arrivo fermo non è stabilito La trasformazione sta ancora avvenendo. E proprio per questo ci sono cose che ignoriamo. Non sappiamo ad esempio come lavoreremo effettivamente nel prossimo futuro. Se la settimana corta si imporrà, che equilibrio si troverà rispetto alla gestione di spazio e tempo. Le sperimentazioni sono in corso.
Come sta andando in Italia
Ci sono però aspetti che conosciamo. Tra questi, le evidenze di Randstad Workmonitor 2023, che ci dicono che per il 96% delle persone in Italia, il fattore più importante nel lavoro è l’equilibrio con la propria vita privata. Sappiamo anche che il 33% ha lasciato un lavoro perché non si adattava a questo bilanciamento. E, ancora, che il 58% non ne accetterebbe uno che potrebbe impattare negativamente da questo punto di vista.
Tutti dati che confermano la ricerca di un equilibrio diverso dal passato, che ancora fatica a trovare tuttavia la sua formulazione. Non a caso, le organizzazioni stanno procedendo per tentativi. Ci sono realtà che regolamentano il numero di giornate da trascorrere in ufficio, altre che prediligono il full-remote e altre ancora che hanno abolito totalmente qualsiasi forma di lavoro agile. Accanto a queste, quelle che utilizzano percentuali di tempo da passare in sede applicabili a tutto l’anno o quelle che delegano ai singoli team l’organizzazione del proprio lavoro.
Tutti tentativi validi, dal momento che ogni azienda è diversa dalle altre. È infatti sensato che in un momento di evoluzione e trasformazione come quello che stiamo vivendo, ogni realtà si adatti alle sue esigenze. Qualsiasi sperimentazione deve tener conto dei tempi e degli spazi a disposizione, nonché di una cultura organizzativa che influenza inevitabilmente le decisioni a monte. Tutti elementi che, per definizione, variano al variare del settore di appartenenza, della grandezza dell’impresa, della sua storia e di molti altri fattori.
Il fattore comune dovrebbe essere l’ascolto
Ciò che dovrebbe però accomunare ogni sperimentazione, dovrebbe essere l’ascolto. Se infatti una formula perfetta, universalmente applicabile, non esiste, diventa necessario ascoltare chi lavora, per trovare insieme la modalità più efficace e sana in un determinato contesto. Quello che è chiaro oggi, infatti, è che non sia più possibile affidarsi a soluzioni date da altri e preconfezionate.
Ogni azienda ha la necessità di guardarsi al suo interno, ascoltare le sue persone, mettere a fuoco i propri obiettivi e trovare le proprie modalità. Perché no, anche modificandole nel tempo. Coerentemente con un contesto in continuo mutamento. Se c’è qualcosa che va lasciato insieme agli schemi novecenteschi di spazio e tempo, è anche il fatto che le modalità di lavoro, una volta concordate, debbano essere immutabili.
Tra le aziende che stanno facendo dell’ascolto la chiave per definire modalità di lavoro coerenti e funzionali al proprio contesto c’è Lundbeck Italia. Azienda farmaceutica che ha da poco attivato una nuova politica definita internamente come “flexible working”.
La storia di Lundbeck Italia
Racconta Tiziana Mele, amministratrice delegata di Lundbeck Italia: “Sebbene lo smart working fosse una realtà che esisteva in Lundbeck già dal 2017, l’arrivo del Covid-19 ha avuto un impatto anche su come le persone hanno implementato e inteso questa modalità di lavoro. Da qui, la nostra volontà di trasformarlo in flexible working”.
“In Lundbeck – continua Mele – il nostro principale modo di lavorare è face-to-face: modalità che consente al team di crescere grazie alle contaminazioni e di collaborare in modo efficace. Avendo però a cuore il benessere delle nostre persone, siamo felici di concedere flessibilità lavorativa in base alle loro necessità. Laddove lo smart working prevedeva 1-2 giorni di lavoro in remoto per settimana, la flessibilità non pone limiti, ma si basa sui bisogni delle nostre persone.”
La scelta di Lundbeck Italia pone dunque l’accento proprio sull’ascolto delle esigenze delle proprie persone e sulla volontà di accogliere i bisogni di vita che via via possono presentarsi. Una sperimentazione che vuol riscoprire il valore della presenza e che evidenzia l’esigenza di molte aziende in questo momento storico: quella di riportare le persone in ufficio.
La presenza non è più l’unica possibilità
Una necessità dettata da anni di smart working interpretati – anche per necessità contingenti dati dalle misure di contenimento della pandemia – come lavoro da remoto. Eppure, come racconta Chiara Bisconti, consulente per il lavoro agile, già HR di aziende multinazionali e autrice di “Smart Agili Felici”: “Lavorare 100% in remoto non è lavoro agile. La presenza è parte fondamentale del lavoro agile. La differenza con il passato è che la presenza non è più l’unica possibilità, perché ora possiamo scegliere.
Possiamo decidere di andare in ufficio quando ricerchiamo interazione, scambio di pensiero; quando abbiamo voglia di socializzare; oppure perché vogliamo fare un colloquio guardando la persona negli occhi.
Oggi siamo chiamati a ragionare sul valore della presenza; per poi scegliere di organizzare il nostro tempo tra ufficio e altri luoghi, con consapevolezza. Ecco, questo è lavoro agile”.
Alla luce delle sue parole è dunque evidente dove si giocherà la partita nel prossimo futuro. Il successo sarà di quelle aziende che saranno in grado di ascoltare i bisogni delle proprie persone e così ingaggiarle. Realtà che sapranno interpretare modalità di lavoro flessibili e mutevoli, libere dalle convinzioni del passato.