categoria: Distruzione creativa
Il premio aziendale non motiva le persone. Perché si usa ancora?
In questo articolo esploreremo perché il premio aziendale basato su obiettivi non è sempre efficace nel migliorare la motivazione delle persone. Questa tecnica l’ha introdotta negli anni ’50 Peter Drucker con il suo management by objectives (MBO). L’obiettivo principale era quello di aumentare la motivazione e l’impegno dei dipendenti coinvolgendoli nella definizione di obiettivi specifici, misurabili, raggiungibili, rilevanti e tempestivi (S.M.A.R.T.). Secondo questa tecnica, i dipendenti lavorano per raggiungere gli obiettivi stabiliti e il loro successo viene valutato periodicamente, con un premio in denaro proporzionale al loro raggiungimento.
Anno 1954. Nel libro “The practice of management”, Peter Drucker introduce il concetto di premio aziendale (MBO).
Premessa
Come manager, ci sono due momenti specifici durante l’anno in cui provo un forte imbarazzo con i miei colleghi: quando pianifico gli obiettivi con loro verso gennaio (bugia, di solito arrivo in primavera) e quando poi devo valutarli e riconoscerli dopo 12 mesi. Ogni volta che ne parlo con loro o con il mio manager, non riesco a evitare di fissare l’enorme elefante pachidermico che riempie la stanza. Questo elefante è così presente e ingombrante che alla fine gli ho anche dato un nome, Jimmy, e mi sono quasi affezionato. Ma è possibile che lo veda solo io? Eppure, è lì e tutti continuano a fare finta di non notarlo.
Gli obiettivi, per quanto possano essere S.M.A.R.T. e concordati con le parti interessate, semplicemente non funzionano (ovviamente per lo scopo per il quale sono stati ideati, ovvero motivare le persone). Se ne parla da molto tempo, ormai sono un concetto superato, messo in discussione da 20 anni, ma allora perché continuiamo imperterriti ad usarli? In questo articolo, spiegheremo come sono nati, a cosa servono, come vengono effettivamente utilizzati e perché, soprattutto adesso, non funzionano. Lo faremo insieme a un esperto in questi argomenti, che ho intervistato appositamente per l’occasione: Francesco Frugiuele, CEO e co-fondatore di Kopernicana. Ma prima di iniziare questo viaggio, cominciamo spiegando quel forte senso di imbarazzo che periodicamente provo almeno due volte l’anno.
Facciamo finta
Ci ho pensato. Se non fosse per il ruolo che ricopro, e se potessi essere veramente sincero (bugia, in realtà lo sono) con le persone con cui concordo e poi verifico l’MBO, per ridurre questo senso di imbarazzo, molto probabilmente proporrei di “fare finta”.
“Facciamo finta che durante l’anno dovrai affrontare veramente questi obiettivi, e non tanti altri che si aggiungeranno settimanalmente; facciamo finta che dipendano solo dal tuo operato e non dal lavoro di tanti altri colleghi e colleghe di varie strutture organizzative su cui non avrai la minima visibilità; facciamo anche finta che tu persegua questi obiettivi per avere una ricompensa e non perché, da professionista, ti piace fare bene il tuo lavoro; e infine, facciamo finta che questi obiettivi aggiungano veramente valore alla visione dell’azienda e che non siano dettati per mero scopo politico”.
L’elefante Jimmy
Ecco, concluderei, “se facessimo finta che tutte queste dinamiche siano vere, questi sarebbero i tuoi obiettivi per quest’anno e queste le percentuali associate al tuo variabile che verranno riconosciute nella busta paga di marzo dell’anno prossimo”. Ovviamente non lo dico così, perché poi tutti noterebbero Jimmy, il mio enorme elefante pachidermico, mettendolo in imbarazzo.
A parte gli scherzi, questa è ovviamente la fase più semplice, perché poi arriva inesorabilmente febbraio, quando le persone scopriranno finalmente, dai loro manager, quanto riceveranno nella busta paga del mese successivo.
Sì, perché tutta questa finzione poi si scontrerà con la concreta aspettativa di ricevere soldi, per poter fare il viaggio programmato da tempo o semplicemente per avere un po’ più di respiro sul proprio conto corrente, dopo tanti mesi in cui sono stati decurtati dalla rata del mutuo della propria casa. Potrò essere fortunato (o magari sono anche bravo), ma ho sempre avuto il privilegio di lavorare con colleghi molto bravi, professionali e competenti. Nonostante ciò, spesso e volentieri non raggiungono gli obiettivi assegnati.
È necessario un reality check
Ovviamente, non è per loro colpa diretta, ma per tutte le ragioni elencate in precedenza. Ecco che allora la finzione continua e si conclude con il fisiologico lieto fine: le descrizioni degli obiettivi vengono interpretate, allungate, commentate ed estese al fine di riconoscere il variabile promesso. E Jimmy, in silenzio, continua a fissarmi.
Credo che sia opportuno fare un reality check con quello che succede davvero, rispetto ai processi pensati dal reparto risorse umane. Essere consapevoli di ciò che accade in un’organizzazione e cercare di migliorarla, senza fare finta, guardando negli occhi Jimmy, fa parte del mio mindset, anche se spesso e volentieri comporta un costo elevato da dover pagare sull’altare del conformismo e del “si è sempre fatto così”.
Migliorare le organizzazioni adattandole alle esigenze di chi ci lavora, e non il contrario, è una vera e propria rivoluzione culturale. È come riconoscere che è la terra a girare attorno al sole, e non il contrario. Ecco perché l’azienda co-fondata da Francesco Frugiuele, che ora intervisterò per approfondire questa tematica, si chiama Kopernicana.
Il premio aziendale è stato innovativo
FF: L’MBO nasce dal pensiero di Peter Drucker, descritto nel suo famoso libro “The Practice of Management”, pubblicato nel 1954. All’epoca era considerato un testo disruptive, poiché spostava l’attenzione dalla misurazione degli output, tipica della catena di montaggio, alla misurazione degli outcome, ovvero la misurazione del valore diretto che possiamo realizzare per l’azienda. Tuttavia, è importante notare che questo concetto è stato considerato disruptive nel 1954, ovvero circa 70 anni fa. Le pratiche socialmente accettabili di quel periodo potrebbero non essere considerate ammissibili oggi. Basti pensare alla discriminazione razziale e di genere, solo per citarne alcune.
Anno 1952. Se tuo marito scoprisse che non stai cercando il miglior caffè…
Sì, ma cosa è cambiato? Perché ora questo sistema non è più valido?
FF. Nel periodo in cui è stato pubblicato “The Practice of Management”, il mondo stava attraversando un passaggio di mentalità dall’era industriale, in cui il lavoro per la maggior parte delle persone era praticamente una forma di schiavitù, all’era dell’economia della conoscenza. Tuttavia, è importante notare che eravamo ancora all’inizio dell’economia della conoscenza. Ora, decine di generazioni più tardi, il concetto di management by objectives (MBO) è stato messo in discussione da altri paradigmi moderni come gli OKR (objectives and key results). Quando gli è stato fatto notare che il premio aziendale era ormai superato, Peter Drucker, il suo fautore, ha risposto che l’ MBO era stato pensato proprio per misurare le performance delle persone, ma non nell’era della conoscenza. In quest’era, infatti, è praticamente impossibile misurare le performance delle persone in modo preciso. Vuoi un esempio?
Prova a dare un obiettivo al tuo CEO senza vergognartene
FF. Prova a immaginare di essere il direttore HR di una grande azienda. Quali obiettivi scriveresti per il tuo amministratore delegato per misurarne le performance, senza doverti vergognare o rischiare il licenziamento? Probabilmente non gli scriveresti di superare una certa certificazione o di consegnare in tempo un determinato risultato, come avviene attualmente con gli altri dipendenti. Gli unici obiettivi che ti sentiresti di potergli assegnare sarebbero quelli legati al risultato dell’azienda. Questo perché, nell’era della conoscenza, le performance sono sempre di un team e mai individuali.
Non è possibile misurare le performance di una singola persona in un mondo complesso e interconnesso come il nostro. Pertanto, potrebbe avere senso utilizzare l’MBO, ma solo per misurare le performance di un intero team o di più team, poiché tutto è interdipendente. Ricordiamolo: nell’era dell’economia della conoscenza, la performance di una persona non può essere misurata in modo preciso, poiché dipende da un sistema complesso. È proprio qui, nella differenza tra complesso e complicato, che si annida la questione dell’efficacia del premio aziendale.
L’MBO cerca di rappresentare un sistema complesso con un meccanismo complicato
FF. Un sistema complicato è articolato, ma comunque prevedibile. Ad esempio, un motore è complicato perché è composto da molti componenti che funzionano insieme, ma le leggi che governano il suo funzionamento sono conosciute e prevedibili. Con un sistema complicato, puoi usare il principio di sovrapposizione degli effetti, secondo il quale ogni effetto dipende linearmente da più cause indipendenti e risulta come somma degli effetti prodotti da ciascuna causa. Al contrario, un sistema complesso è imprevedibile e il suo sviluppo può prendere strade diverse in base a eventi anche minimi. Ecco perché l’MBO non funziona: cerca di risolvere con un meccanismo complicato, un sistema complesso. È quindi importante capire qual è il vero scopo del premio aziendale per un’azienda.
L’MBO è in realtà un ribaltamento del rischio finanziario mascherato come sistema di sviluppo
FF. L’azienda trattiene parte della retribuzione variabile dei propri dipendenti e la riconosce solo se vengono raggiunti determinati obiettivi. Tutti gli MBO hanno clausole di salvaguardia che permettono all’azienda di non riconoscere la parte variabile in caso di mancato raggiungimento di indicatori come l’EBITDA o il fatturato. In pratica, l’azienda trattiene per sé un tesoretto e lo consegna solo in parte o in toto a seconda dei risultati finanziari. Ma in realtà, la questione più importante da considerare è un’altra ed è molto semplice.
L’MBO genera motivazione?
FF. Se non si riconosce l’MBO a fine anno, si genera sicuramente demotivazione. Non ricevere il variabile associato al premio aziendale viene percepito come un’ingiustizia e riduce l’attaccamento verso l’azienda. Ma non è vero il contrario: anche se vengono assegnati e poi riconosciuti, non viene generata alcuna vera motivazione. Ovviamente non mi riferisco a chi ha una percentuale molto alta del proprio variabile, come ad esempio i commerciali, perché in questo caso il discorso cambia. Mi riferisco invece a chi, di solito, ha un variabile che raramente supera il 15% del proprio stipendio.
Questo è controintuitivo. Perché un premio non dovrebbe spingere a fare le cose meglio?
FF. Per diverse ragioni. La prima riguarda il ciclo annuale dell’MBO, ovvero l’anno che passa da quando gli obiettivi vengono stabiliti a quando vengono valutati. L’MBO viene spesso dimenticato dalle persone che dovrebbero perseguirlo. Ciò può accadere perché le persone sono impegnate nel loro quotidiano e hanno difficoltà a ricordare gli obiettivi assegnati ad inizio anno. Inoltre, quando si ricordano, le persone si attivano solo con il minimo sforzo necessario per ottenere il variabile associato al premio aziendale. Una soluzione a questo problema potrebbe essere quella di discutere gli obiettivi settimanalmente, in modo che diventino più rilevanti per chi deve perseguirli, indipendentemente dal valore del variabile associato. Ma in questo caso é la pratica, non i soldi, che trasforma gli obiettivi in rilevanti.
Ma quindi se fosse trimestrale il premio in soldi farebbe la differenza?
FF. Oltre al problema del “ciclo annuale”, la seconda ragione è nella natura della motivazione. Nei primi anni 2000, Daniel Pink pubblica un libro intitolato “Drive” che ci spiega, tramite tantissimi esperimenti scientifici di psicologia sociale, cosa realmente genera motivazione nelle persone. Secondo Pink, ci sono tre tipi di motivazione: la motivazione puramente materiale, quella legata al riconoscimento sociale e quella intrinseca. L’MBO si basa principalmente sulla prima e sulla seconda tipologia, ovvero sulla politica del bastone e della carota. Tuttavia, è la terza tipologia di motivazione, ovvero il gusto di costruire qualcosa per il semplice piacere di farlo, che fa veramente la differenza. È questo, piuttosto che il “fare soldi”, che motiva gli imprenditori, soprattutto all’inizio del loro percorso.
Drive di Daniel Pink. Pagg 240, Anno 2022, pubblicato da Ayros in collaborazione con Kopernicana
Come con i bambini
FF. Gli MBO, a causa del loro ciclo annuale, non sono in grado di generare motivazione a lungo termine. Inoltre, come dimostrato da diversi studi di psicologia sociale, la motivazione intrinseca è quella che funziona veramente, non quella legata a premi o riconoscimenti esterni. Un premio aziendale del 20%, per quanto allettante, non può cambiare il modo in cui le persone lavorano. Un manager di buona fede concorderà che una persona che si sviluppa solo se ha obiettivi prestabiliti non è desiderabile in un’azienda. In un’organizzazione sana, lo sviluppo deve essere il risultato di un’iniziativa individuale sostenuta dall’organizzazione stessa. Se l’organizzazione deve ricorrere a premi e minacce per motivare i dipendenti, significa che c’è qualcosa che impedisce loro di svilupparsi naturalmente.
I nostri sistemi, ereditati dall’era industriale, impediscono alle persone di seguire le loro esigenze, passioni e desideri. È la stessa cosa che accade con i bambini: difficilmente la promessa di un premio li convince a fare (bene) il compito assegnatogli. Ma per alimentare la motivazione intrinseca, visto che è l’unica che funziona, è necessario seguire un percorso in cui le persone siano veramente al centro dell’organizzazione.
Non solo MBO
L’intervista con Francesco Frugiuele di Kopernicana sugli MBO si conclude qui. Ho terminato la piacevole conversazione con la consapevolezza che il modello attuale di organizzazione del lavoro non funziona adeguatamente. Gli MBO sono solo uno dei tanti sintomi di un problema più ampio e radicato. Le aziende devono imparare a trattare i propri collaboratori come adulti, ascoltando i loro bisogni e adattando la propria organizzazione di conseguenza, invece di premiare o punire. Non a caso, questa è la mission aziendale di Kopernicana, la società di Frugiuele: supportare le aziende nell’affrontare il cambiamento mettendo le persone al centro dell’organizzazione. Tutto questo ci porta ad un’altra importante deduzione.
Il 94% dei problemi
Ci preoccupiamo troppo di misurare le performance e la produttività delle persone, quando in realtà, come ci ricorda l’ingegnere, statistico e consulente manageriale Edwards Deming, nel suo libro “Out of the Crisis”, il 94% dei problemi è legato alle organizzazioni e non alle persone. Da questa prospettiva, se le persone non sono produttive, molto probabilmente dipende dal sistema, non da loro. Bisogna ripartire dai bisogni delle persone, senza imporre loro modelli controproducenti come il bastone e la carota.
Edwards Deming (1900 – 1993)
Stipendi alti, non bonus basati sul merito
L’ex CEO e co-fondatore di Netflix, Reed Hastings, ha una visione chiara riguardo all’inutilità dei premi di produzione. Come egli stesso afferma nel suo libro “L’unica regola è che non ci sono regole”:
Trovate un esperto di marketing di straordinario talento e volete scegliere un metodo di retribuzione che possa motivarlo a lavorare sodo, fare del proprio meglio e rimanere nell’azienda per anni. State valutando due opzioni:
1. Versargli uno stipendio annuo di 250.000 dollari.
2. Versargli uno stipendio di 200.000 dollari più un bonus del 25 per cento basato sui risultati che ottiene.
Se siete come molti manager scegliereste l’opzione 2.
Perché mettere tutto quel denaro nello stipendio quando potreste usarlo per fornire al neoassunto un incentivo a lavorare meglio? […] Se crei un notevole valore per l’azienda ottieni il tuo bonus, se invece non raggiungi gli obiettivi non vieni pagato. Cosa potrebbe esserci di più logico? I bonus legati alla performance sono utilizzati quasi universalmente negli Stati Uniti e spesso altrove. Ma Netflix non li utilizza.
[…] Imparai che l’intero sistema si basa sulla premessa che tu sia in grado di predire il futuro in maniera affidabile e di fissare in qualsiasi momento un obiettivo che continuerà ad essere importante più avanti. Ma a Netflix, dove dobbiamo sapere modificare rapidamente la direzione in risposta a cambiamenti rapidi, l’ultima cosa che vogliamo è che i nostri dipendenti siano ricompensati in dicembre per aver raggiunto un obiettivo fissato il gennaio precedente.
[…] Inoltre, non sono d’accordo con l’idea che se sventolate dei contanti davanti ai vostri dipendenti altamente performanti loro si impegnino di più. Le persone altamente performanti desiderano avere successo per loro natura e convoglieranno tutte le risorse su quello scopo, che abbiano un bonus sventolato davanti al naso o meno.
[…] all’innovazione giovano gli stipendi alti, non i bonus basati sul merito.
C’è un disallineamento tra ciò che la scienza sa e ciò che le aziende fanno
Se non volete credere a me, a Francesco Frugiuele di Kopernicana, a Reed Hastings di Netflix, e a tante altre aziende che hanno già abbandonato il concetto di premio aziendale, vi consiglio di guardare questo interessante TED Talk in cui il già citato, Daniel Pink, ci spiega in modo divertente ed efficace come le aziende non siano allineate con ciò che la scienza (della motivazione) ci insegna.
(potete attivare i sottotitoli in italiano)
Spoiler: lo fa partendo dal famoso “problema della candela”, che per essere risolto necessità di creatività, ovvero di superare quella che si chiama “fissità funzionale”, stando alle stesse parole del creatore del problema, lo psicologo Karl Duncker. Questo problema è stato poi usato dal professore di psicologia Sam Glucksberg, per dimostrare (l’inesistente) potere degli incentivi, quando si tratta di risolvere problemi che richiedono un minimo di creatività.
Conclusioni
L’MBO, ovvero il bonus o premio aziendale basato sul merito, non motiva le persone a fare bene o meglio il proprio lavoro. Come ha affermato Reed Hastings, assegnare obiettivi a scadenza annuale non è utile, poiché in un mercato in rapido cambiamento è necessario saper modificare rapidamente la propria direzione. Come ci ha spiegato Frugiuele, nell’era della conoscenza, dove tutto è complesso e interconnesso, non è possibile misurare (e quindi premiare) le performance individuali, ma al massimo quelle di un intero team.
Tuttavia, questo non è sempre vero, ma solo in alcuni casi, come lavori ripetitivi che non richiedono pensiero e creatività. In questi casi, il premio basato sul merito può funzionare. In tutti gli altri casi, ciò che genera motivazione non è il denaro, ma qualcosa di molto più complesso. Come evidenziato da Daniel Pink, gli scienziati che studiano la motivazione hanno dimostrato che per motivare le persone serve un approccio diverso, basato sulla motivazione interna, sul desiderio di fare cose perché hanno un senso, perché ci piacciono, perché sono interessanti, perché fanno parte di qualcosa di importante.
Ora lo vedete anche voi, il mio amico Jimmy?
Addendum del 5/2/2023
Questo articolo, pubblicato pochi giorni fa, ha già attirato molto interesse e un acceso dibattito in rete, in particolare su Linkedin. La capacità di generare più domande che risposte è un segno che l’articolo ha fatto il suo sporco lavoro. Tuttavia, ci tengo a chiarire un equivoco: togliere eventuali premi legati alla produzione non significa affatto proporre una retribuzione più bassa. Anzi, come suggerisce il fondatore di Netflix, che ho volutamente riportato, gli stipendi devono essere alti e basati sul mercato. In altre parole, il mio consiglio personale per le aziende che decidessero di abbandonare gli MBO sarebbe quello di destinare il denaro del variabile a una retribuzione fissa più alta.