categoria: Vicolo corto
Smart working e cultura aziendale: quale sarà il futuro del lavoro?
Post di Maria Vittoria Faravelli, HR Learning Operation, EMEA, presso Amazon e corsista EMBA Ticinensis –
Qual è la migliore sistemazione sul posto di lavoro: di persona, remota o ibrida? Non esiste una risposta giusta. Si tratta di equilibrio.
Durante l’emergenza Covid-19 lo Smart Working forzato che milioni di lavoratori hanno fatto ha preservato la nostra salute, ha aiutato a garantire la continuità di business, ci ha insegnato il valore del lavoro per obiettivi e l’importanza del digitale.
Nel 2019 lo Smart Working riguardava circa 570.000 lavoratori, il 20% in più rispetto all’anno precedente. Erano soprattutto le grandi imprese ad avere iniziative strutturate (58%), mentre restava bassa la percentuale di adozione nelle PMI (12%) e nelle PA (16%). Il lavoro da remoto per gli smart worker era svolto, in media, un giorno alla settimana ed era prevalentemente riservato ad attività di lavoro individuale.
Durante la fase più acuta dell’emergenza lo Smart Working ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle pubbliche amministrazioni italiane e il 58% delle PMI, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570mila censiti nel 2019.[1]
L’organizzazione tradizionale del lavoro e l’epoca in cui viviamo
Un’esperienza che ha messo drammaticamente in luce come l’organizzazione tradizionale del lavoro sia basata su assunti superati e inadeguati a interpretare l’epoca in cui viviamo. Per questo l’esperienza che imprese e lavoratori hanno fatto, e ancor di più faranno durante i prossimi mesi di gestione post emergenza sanitaria, risulterà preziosa per progettare e sperimentare nuovi modi di lavorare e collaborare.
Il maggior numero di smart worker lavora nelle grandi imprese, 2,11 milioni, 1,13 milioni nelle PMI, 1,5 milioni nelle microimprese sotto i dieci addetti e infine 1,85 milioni di lavoratori agili nelle PA. L’applicazione dello Smart Working durante la pandemia, seppur forzata e emergenziale, ha dimostrato come un modo diverso di lavorare sia possibile anche per figure professionali prima ritenute incompatibili; ma ha anche messo a nudo l’impreparazione tecnologica di molte organizzazioni.
Lavorare da remoto comporta la necessità di trovare degli equilibri, di costruire nuove competenze, di definire una nuova modalità di organizzazione del lavoro. Questa sarà la sfida dei prossimi mesi
Le aziende e il cambiamento imposto dallo Smart Working
Più di due grandi imprese su tre hanno dovuto aumentare la dotazione di pc portatili e altri strumenti hardware (69%) e di strumenti per poter accedere da remoto agli applicativi aziendali (65%); tre PA su quattro hanno incoraggiato i dipendenti a usare i dispositivi personali; il 50% delle PMI non ha potuto operare da remoto. A livello organizzativo, invece, è stato difficile mantenere un equilibrio fra lavoro e vita privata per il 58% delle grandi aziende e il 28% dei lavoratori, e per il 33% delle organizzazioni i manager non erano preparati a gestire il lavoro da remoto.
Quest’ultima percentuale evidenzia la necessità di porre l’accento sulla trasformazione digitale dei processi che comporta cambiamenti sostanziali nel modo di lavorare. l’organizzazione deve sapersi reinventare, trasformando radicalmente tutti i suoi modelli, processi e relazioni. L’organizzazione tutta deve diventare “smart”.
Nonostante le difficoltà, questo Smart Working atipico ha contribuito a migliorare le competenze digitali dei dipendenti (per il 71% delle grandi imprese e il 53% delle PA), a ripensare i processi aziendali (59% e 42%) e ad abbattere barriere e pregiudizi sul lavoro agile (65% delle grandi imprese), segnando una svolta irreversibile nell’organizzazione del lavoro[2].
E adesso? Il 71% dei lavoratori vuole voltare pagina!
Sette lavoratori su dieci (71%) hanno contemplato un importante cambiamento nel mondo del lavoro nell’ultimo anno e si sta chiedendo che cosa voglia dire sicurezza sul lavoro dopo il Covid. La pandemia ha messo il benessere personale e la vita al di fuori del lavoro in una prospettiva più chiara che mai prima, e intensificato il desiderio di condizioni di lavoro più favorevoli, inclusa una maggiore flessibilità, opzioni di lavoro da remoto. I lavoratori sono sempre di più interessati all’etica aziendale e ai valori.
Tre su quattro (76%) prenderebbero in considerazione di cercare un nuovo lavoro se scoprissero che la loro azienda applica un divario retributivo di genere ingiusto o non ha politica di diversità e inclusione. Il 25% ha pensato di cambiare settore o di richiedere un anno sabbatico. Un altro 20% ha affermato che potrebbe avviare un’attività in proprio, passare a un lavoro part-time o andare in pensione anticipatamente.
Qual è la soluzione? Chi cerca lavoro chiede flessibilità
Il metodo di lavoro ibrido è senza dubbio quello preferito dalla maggior parte dei lavoratori.
È fondamentale che le aziende siano pronte ad accogliere queste esigenze da parte dei dipendenti evitando di forzare il rientro in ufficio full time o al contrario il lavoro totalmente remoto. Si nota che sempre più candidati chiedono, in fase di selezione, se l’azienda consente flessibilità nell’organizzare sia l’orario di lavoro sia il luogo di lavoro (remoto/ufficio).
Quando si instaura un buon livello di fiducia con i dipendenti, consentendo loro di organizzarsi in base al proprio lavoro, le aziende ottengono un livello di soddisfazione personale e professionale maggiore e di conseguenza hanno la possibilità concreta di ridurre il turnover.
Questo aspetto del mondo professionale è stato quello su cui la pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto più significativo.
Oggi è possibile pensare di non prevedere lo Smart Working?
Oggi la domanda che le organizzazioni di tutto il mondo si pongono non è più “È possibile includere lo smart working?”, ma piuttosto “È possibile pensare di non farlo?”.
È necessario mettere in campo una vera e propria nuova modalità nell’organizzazione del lavoro, fondata sulla responsabilizzazione delle persone e dei gruppi. Questa deve fare leva soprattutto sulla capacità di coinvolgimento delle persone e sulla collaborazione reciproca piuttosto che sul concetto di autorità o di gerarchia tradizionalmente intesi.
Per arrivare a nuove forme di organizzazione del lavoro bisogna porre al centro le persone e valorizzare il loro potenziale di autonomia e di sviluppo. Lo ‘smart working’ rappresenta una grande innovazione ma l’innovazione normalmente avviene in presenza di una cultura aziendale dinamica fondata sulla collaborazione, fiducia, motivazione e senso di scopo comune.
Il cambio di passo della cultura aziendale
Per realizzare questo obiettivo, occorre rafforzare la formazione non solo di tipo tecnologico ma sulle soft skill, sulla capacità di coordinare e gestire i gruppi anche da remoto.
Lavorando in presenza infatti spesso i meccanismi professionali e relazionali utilizzati sono noti e vengono dati per scontati, cosa che da un lato dà sicurezza (e quindi di solito rende poco propensi al cambiamento), ma contemporaneamente fanno sì che ci si percepisca come parte di un sistema complesso di cui ognuno fa la propria piccola parte, con perdita di visione trasversale e complessiva. Lavorare fisicamente altrove può aiutare a vedere meglio sia l’organizzazione sia il modo in cui noi siamo inseriti nei processi organizzativi.
Alla luce di queste premesse, “le aziende che intendono assumere e trattenere i nuovi talenti sono chiamate a rispondere oggi alle esigenze di mercato, attuali e future, che la yolo economy sta imponendo. Per capire come far fronte a questo fenomeno, le imprese dovranno quindi individuare le ragioni alla base del proprio turnover e saranno chiamate a rispondere proattivamente alle aspettative delle nuove generazioni“.
NOTE
[1] Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
[2] Blog degli Osservatori Digital Innovation
FONTI