categoria: Distruzione creativa
Space Economy, il grande business da un trilione di dollari
A cura di Luca Maltauro per Accademia Politica –
16 novembre 2022 – è finalmente decollato verso la Luna il vettore NASA SLS con alla sommità la capsula Orion, dopo i rinvii delle settimane scorse dovuti a cause tecniche e maltempo. Il programma Artemis è quindi ufficialmente operativo. Dopo 50 anni, ci stacchiamo finalmente dall’orbita bassa e torniamo sulla Luna, questa volta con tutta l’intenzione di restarci, costruirci insediamenti e sfruttarne le risorse, specie minerarie. In poche parole, inizia una nuova fase della cosiddetta New Space Economy.
Space Economy – di cosa parliamo?
La Space Economy (SE) o Space-based Economy (in italiano Economia dello Spazio o Economia Spaziale) è il nome del comparto produttivo e finanziario orientato alla creazione e all’impiego di beni e di servizi e allo sfruttamento delle risorse nell’ambito dello spazio extra-atmosferico. In altre parole, la Space Economy è la catena del valore, cross-settoriale e cross-tecnologica, che, partendo dalla ricerca, sviluppo e realizzazione delle infrastrutture spaziali abilitanti arriva fino alla generazione di prodotti e servizi innovativi abilitati. Essa rappresenta una delle più promettenti traiettorie di sviluppo dell’economia mondiale dei prossimi decenni.
Più precisamente, possiamo distinguere i segmenti upstream e downstream, ovvero da una parte la creazione di infrastrutture spaziali, satelliti, vettori, stazioni spaziali fino alle future basi collocate sulla Luna o su pianeti rocciosi del sistema solare; dall’altra lo sfruttamento dei benefici che conseguono dai dati raccolti nello spazio e dalle risorse fisiche prelevate per essere trasformate e impiegate sulla Terra.
Dalla “Old” Space Economy alla New Space Economy
L’origine della Space Economy coincide con la cosiddetta era spaziale iniziata formalmente con il lancio del satellite sovietico Sputnik 1 il 4 ottobre 1957. Nell’arco dei quindici anni che seguirono, il picco di spesa nel campo degli investimenti spaziali fu raggiunto dal programma Apollo per un costo complessivo di 153 miliardi di dollari e un totale di 400 mila persone complessivamente impiegate. Tra questi vanno annoverati i dipendenti di molte aziende private che collaborarono al programma spaziale con la NASA come Boeing, North American Aviation e Whirlpool.
Dal 1957 fino al 1999 la Space Economy ha ruotato principalmente attorno alle missioni d’esplorazione scientifica, alle stazioni spaziali e alla messa in orbita di satelliti scientifici e commerciali. L’indotto principale è stato (e continua ad essere, almeno nel breve termine) quello dello spin-off aerospaziale, quel processo per cui molte delle tecnologie prodotte per l’impiego extra-atmosferico trovano rapidamente un utilizzo anche in comparti economici e attività pratiche più tradizionali.
Cambio di passo dai primi anni 2000
La Space Economy assume una conformazione nuova a partire dai primi anni 2000 con l’emergere di aziende private e startup (giusto per citarne due, la Blue Origin di Jeff Bezos specializzata nella costruzione di lanciatori riutilizzabili e capsule spaziali e l’ormai celeberrima SpaceX di Elon Musk) caratterizzate da profili aziendali orientati alle attività extra-atmosferiche indipendenti dagli enti spaziali degli stati a cui appartengono. Questa nuova fase prende il nome di New Space Economy ed estende i campi d’interesse della SE anche all’estrazione mineraria sugli asteroidi (la NASA stima a 700 quintilioni – miliardi di miliardi – di dollari il valore dei minerali presenti nella fascia tra Marte e Giove), al turismo spaziale, e all’inumazione spaziale (a cui verosimilmente assisteremo nel medio-lungo termine).
Anche in questa fase un ruolo importante è comunque interpretato dagli enti spaziali statali, prima tra tutti la NASA, ma anche da agenzie come l’Agenzia Nazionale Cinese per lo Spazio (CNSA), l’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), l’Organizzazione Indiana per le Ricerche Spaziali (ISRO) e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) che comprende anche l’italiana ASI (Agenzia Spaziale Italiana), supportata da gruppi privati come Leonardo e Avio e da istituti di ricerca.
Space Economy in numeri
Dopo aver registrato un calo del 4% nel 2020 a causa della pandemia, nel 2021 il settore è arrivato a valere 370 miliardi di dollari (la navigazione satellitare e i sistemi di comunicazione satellitare continuano ad essere i maggiori contributori di crescita, rappresentando rispettivamente il 50% e il 41% del valore complessivo del mercato) e si stima proseguirà la sua corsa con una crescita del +74% entro il 2030, anno in cui dovrebbe raggiungere i 642 miliardi di dollari (Space Economy Report – Euroconsult).
Tale tendenza porterà, secondo Morgan Stanley e UBS, la Space Economy a toccare nel 2040 il valore di 1 trilione di dollari. Da notare come altri enti, tra cui Bank of America e la United Launch Alliance, prevedano che si raggiungerà tale valore già alla fine di questo decennio.
La crescita del settore
L’intero comparto risulta ad oggi formato da 130 agenzie governative, 150 centri di ricerca e sviluppo e ben 10mila aziende. Secondo il rapporto Start-Up Space 2022 di Bryce Tech, il 2021 è stato l’anno dell’avvio di una nuova importante fase di crescita del settore. Gli investimenti nelle startup dell’economia spaziale hanno raggiunto infatti un nuovo record di 15 miliardi di dollari, battendo il precedente di 7,7 miliardi di dollari raggiunto l’anno precedente.
La corsa del settore sta proseguendo anche nel 2022, con 13,8 miliardi di dollari raccolti da inizio anno a oggi. In particolare, 1,6 miliardi di dollari hanno riguardato investimenti early stage in startup. Complessivamente, negli ultimi 10 anni sono stati investiti in 1727 società operanti nel settore spaziale circa 264 miliardi di dollari (Space Economy: Lift-off into the final frontier – Klecha & Co). Inoltre, dal 2021 ad oggi, sono state annunciate 12 IPO di SPAC, incentrate sull’economia spaziale con piani di crescita molto ambiziosi nei prossimi anni.
E l’Italia?
Il nostro Paese vanta una lunga tradizione nelle attività spaziali. Terza nazione ad avere mandato in orbita un satellite dopo URSS e USA, è tra i membri fondatori dell’Agenzia Spaziale Europea, di cui è oggi terzo paese contributore, con 589,9 milioni di euro nel 2021, dopo Francia con 1.065,8 milioni e Germania con 968,6.
L’Italia è inoltre uno dei 9 Paesi dotati di un’agenzia spaziale con un budget di oltre 1 miliardo di dollari all’anno e viaggia tra il 6°/7° posto nel mondo per spese spaziali in relazione al PIL, anche grazie al PNRR. Il budget italiano impiegato sullo Spazio, infatti, poteva già contare su circa 1.835 milioni di euro di finanziamenti del piano pluriennale dell’Agenzia Spaziale Italiana (distribuiti come in figura) e 300 milioni di euro per la quota della partecipazione italiana al programma Artemis con la NASA, rifinanziato nell’ultima legge di bilancio.
A questo budget nazionale si aggiungono poi i 2,3 miliardi del PNRR, di cui 1,5 miliardi dalla RRF europea e 800 milioni da fondo complementare. Anche questi ultimi sono stati già integralmente assegnati ai diversi soggetti attuatori. Parliamo quindi di un totale di 4,6 miliardi di investimento italiano nel settore Spazio.
Piccole imprese iperspecializzate
Serena Fumagalli, economista della direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo (la quale tra l’altro ha appena concesso un finanziamento di due milioni di euro, attraverso la linea NOVA+, all’azienda campana Space Factory, per il completamento e lo sviluppo del mini satellite IreneSat-Orbital, e per i servizi in orbita per esperimenti scientifici) sottolinea inoltre come nel nostro Paese emerga una specializzazione nella manifattura spaziale, una filiera che conta 286 imprese, nate dopo gli anni 2000 e di piccole dimensioni (oltre la metà è sotto i 2 milioni di fatturato). Realtà piccole, ma iper-specializzate che vanno dalla progettazione software alla rielaborazione di dati satellitari passando per la produzione di componenti per i veicoli spaziali e per le telecomunicazioni via satellite.
L’Italia, sia nel pubblico che nel privato, vuole quindi puntare sul settore spaziale come strumento efficace per la ripresa economica e lo sviluppo sostenibile, essendo uno dei pochi Paesi al mondo ad operare in tutte le aree delle attività spaziali e avendo intrapreso negli ultimi anni una strategia di investimenti che mira a rafforzare ulteriormente la propria capacità di innovare, sviluppare e implementare servizi e infrastrutture nel settore.
Gli investimenti in Italia
Gli investimenti nel settore Spazio previsti in Italia nel periodo 2021-2026 sono quindi riconducibili a 4 linee di investimento:
SatCom – investire nelle comunicazioni satellitari sicure. Si tratta di un’iniziativa che mira a fornire servizi di telecomunicazione innovativi e sicuri basati su un’architettura che utilizzerà sia piccoli satelliti che sistemi geostazionari;
Osservazione della Terra – abilitare una serie di servizi riguardanti la gestione del territorio, comprese le problematiche ambientali, la sicurezza del patrimonio culturale e archeologico e le calamità naturali;
Space Factory – aumentare la capacità di investimento nei sistemi di accesso allo spazio sollecitati dal forte avanzamento tecnologico che interessa questo settore attraverso il programma Space Factory 4.0, dedicato allo sviluppo di fabbriche intelligenti per la produzione di piccoli satelliti, e quello di Sistemi di Trasporto Spaziale, dedicato allo sviluppo di tecnologie verdi per le future generazioni di propulsori e lanciatori;
In-Orbit Economy – promuovere i cosiddetti “Servizi in orbita” nella fornitura di moduli per l’occupazione dello Spazio LEO e dello Spazio cislunare, per poterci posizionare al meglio nell’esplorazione lunare, anche grazie alla forte collaborazione con la NASA sul programma Artemis.
Per concludere, possiamo quindi dire che l’Italia occupa un livello di primo piano in campo spaziale. Ultimo esempio tangibile di ciò, è proprio la missione Artemis, con molta tecnologia italiana a bordo di Orion, come, ad esempio, i grandi pannelli solari, costruiti da Leonardo, ed il sistemo di video reporting, Argomoon, dell’italiana Argotec, costruito grazie anche alla nostra Agenzia spaziale, l’ASI.