Startup e imprenditoria digitale, 10 mosse per un vero cambio di rotta

scritto da il 18 Novembre 2022

Post di Andrea T. Orlando, Managing Partner di Startup Wise Guys Italy –

Secondo il report Mise, il 2021 si è chiuso con una crescita sostenuta delle attività imprenditoriali arrivando a soglia 332.596 nuove iscrizioni al Registro delle Imprese, con un incremento pari al +14% in più rispetto al 2020. Il Mezzogiorno è l’area del Paese che ha visto – nell’ultimo anno – il maggior numero di iscrizioni: 109mila le nuove aziende nate lo scorso anno, a fronte di circa 72mila cessazioni.

Una crescita che rappresenta l’emblema del potenziale del tessuto imprenditoriale italiano. Soprattutto se si guarda a un Paese – l’Italia – che è sempre stato storicamente “rallentato” dal farraginoso, e spesso inefficiente, apparato burocratico. Con un inevitabile impatto negativo per le tasche delle startup, in termini di risorse economiche e di tempo.

Da un’analisi dei dati di settore è emerso, infatti, che gli italiani hanno bisogno di lavorare in media per 11 settimane, 4 giorni, 5 ore e 42 minuti per avere i soldi necessari ad avviare una nuova attività. Agli inglesi, invece, bastano 1 ora e 21 minuti. Per avviare una startup in Italia sono necessari, in media, 3.941 euro contro i 14 euro del Regno Unito. E non stupisce che il Bel Paese si classifichi all’ultimo posto rispetto ai 35 Stati presi in esame.

Un limite strutturale che frena, inevitabilmente, anche gli investimenti da parte dei Venture Capital stranieri. Secondo l’indagine di TechChill, organizzazione no-profit nata in Lettonia e operante nel mondo delle imprese innovative – che ha inaugurato da poco anche la sua branch italiana (TechChill Milano)-, la gran parte degli investitori sarebbe pronta a finanziare le startup italiane se si presentasse un’opportunità adatta al proprio portafoglio. Un terzo di loro ha già supportato la crescita di almeno una startup italiana. I principali ostacoli segnalati, come prevedibile, risultano la burocrazia (50%) e un ecosistema poco sviluppato e disconnesso dagli ecosistemi degli altri Paesi.

Quali sono, quindi, i cambiamenti e le riforme – concrete – di cui avremmo bisogno per un vero cambio di rotta nell’ecosistema italiano delle startup?

Istituire l’identità digitale attraverso la blockchain opzionale

Tra i numerosi paesi che stanno investendo nella tecnologia blockchain, l’Estonia ricopre un ruolo di rilievo, soprattutto nella digitalizzazione della pubblica amministrazione. Per comprendere l’efficacia dell’E-Government estone, basta guardare ai numeri. L’intero territorio nazionale risulta fornito di una connessione internet. Oltre il 99% dei servizi pubblici sono online e il 98% della popolazione è dotato di una carta d’identità digitale, tanto che è stato adottato il motto «only getting married or divorced and selling real estate cannot be done online». Istituire una carta d’identità digitale permetterebbe a startup e imprenditori di accedere facilmente a tutti i servizi della PA e di ridurre molti dei processi burocratici obsoleti.

Incoraggiare il talento sbloccando incentivi e buffer finanziari e  insegnando imprenditoria nelle scuole dell’obbligo

Per incoraggiare e “scovare” il talento bisogna puntare sull’ingaggio e il coinvolgimento diretto: ad esempio per testare l’appetito dei giovani verso il percorso imprenditoriale bisognerebbe andare nelle scuole e creare una cultura dell’imprenditorialità, organizzare dei campi estivi per attirare i futuri giovani imprenditori e stanziare degli sgravi fiscali destinati alle famiglie per attività di formazione mirata.

Segnali di snellimento (digitale)

Per esempio, eliminerei la PEC per le startup  (ma in generale per tutte le aziende) in modo da garantire loro una modalità di costituzione digitale più snella (per esempio una casella di posta digitale collegata allo SPID), oltre a semplificare i processi burocratici che permetterebbe anche di risparmiare sulle spese legali che per le aziende in early stage risultano gravose e, soprattutto, dirottano fondi altrimenti destinati agli investimenti iniziali.

Riformare il codice civile aggiungendo una nuova sezione

Il codice civile è obsoleto e a tratti criptico e capzioso. Con l’intento di garantire diritti alle parti coinvolte in un negoziato, a volte rallenta, confonde e dissuade. Anche quando si è tentato di modificarlo non si è mai riusciti pienamente nell’obiettivo di modernizzarlo e di utilizzare un linguaggio che ne frattempo è cambiato e sta cambiando. Chi avrà l’audacia di riformarlo e aggiornarlo pensando alla società e l’economia del XXI secolo e non più allo spunto, seppur prezioso, di Napoleone?

Istituire una campagna di growth hacking sul brand startup Italia

Si tratta di un lavoro a lungo termine: bisogna individuare role model che siano intercettabili da parte dei giovani, condividere storie di successo per creare valore all’interno della comunità. Le startup, ad esempio, una volta raggiunto un adeguato livello di crescita,  possono diventare dei casi di successo in grado di ispirare e coinvolgere molti giovani. Questo approccio, però, non può essere demandato alla sola iniziativa privata delle aziende e al loro lavoro di comunicazione; è necessaria la spinta da parte delle istituzioni per sponsorizzare nuovi role model, in grado di guidare i futuri imprenditori.

startup

Immagine da Unsplash

Affidare il Registro delle Imprese al Crowd

Per costruire un ecosistema virtuoso di startup bisognerebbe partire dalle basi. Come? Affidando il compito di selezionare le giovani imprese – che soddisfano i requisiti per essere definite “startup innovative” – a 1000 selezionatori in tutta Italia con una expertise nell’ambito dell’innovazione. In questo modo si solleverebbe la burocrazia da un ruolo complesso e che richiede competenze verticali che, spesso, mancano. Non solo, si eviterebbe di precludere importanti prospettive di sviluppo a delle realtà promettenti e di concedere benefici e agevolazioni a startup con poche prospettive di crescita. Sarebbe un modo per preservarci dallo scenario attuale, dove delle oltre 14mila startup “ufficiali” molte hanno avuto accesso al Registro per caso o per incompetenza dell’ente preposto.

Revisionare lo Startup visa

Il MISE ha attualmente sospeso le startup VISA. Il Programma Italia Startup Visa è uno strumento strategico per attrarre talenti e innovazione nel nostro Paese. Si rivolge, infatti, agli imprenditori provenienti da Paesi extra-UE che intendono avviare in Italia, individualmente o in team, una nuova startup innovativa. Ed offre l’opportunità di richiedere un visto d’ingresso di un anno per lavoro autonomo nel nostro Paese. Inoltre, se si guardano i dati gli individui unici coinvolti dal Programma sono circa 433. Non sono numeri di un Paese che si confronta con l’ambizione di diventare un punto di riferimento in ambito imprenditoria digitale e startup.

Pensare a forme di visto digitale/ la E-residency

Anche in questo caso l’Estonia rappresenta il caso maestro: la residenza elettronica consente a chiunque, in tutto il mondo, di presentare domanda per diventare un residente elettronico del paese e creare una società sul posto, consentendo anche alle persone residenti in Stati extra  UE di ottenere un facile accesso al mercato italiano ed europeo.

Abbattere l’Inps per le startup salary

Attualmente il peso fiscale dell’INPS sulle startup è ancora troppo alto: molte giovani imprese, in Italia, decidono di non assumere i propri founder, ma di pagare un minimo di salario base in modalità partita IVA. Se l’imponibile ai fini del calcolo IRPEF non è così elevato e quindi non costituisce un gran problema, i contributi INPS raggiungono quota 27%. In Danimarca i lavoratori autonomi e dipendenti possono o non possono pagarsi i contributi INPS. Si tratta, infatti, di  una cifra troppo alta per imprenditori che devono ancora iniziare a generare utili. E che si trovano costretti, tra i tanti rischi di una startup in early stage, ad accollarsi anche il costo relativo al  mantenimento INPS.

Stimolare l’attività d’impresa all’interno delle burocrazie

L’attività di impresa si stimola creando incentivi – di solito patrimoniali – o condividendo una visione innovativa. Ogni volta che un imprenditore si interfaccia ad un apparato burocratico, che può non essere necessariamente la P.A. – si pensi ad esempio ad una banca – gli obiettivi non sono allineati perché ogni parte ha una finalità diversa.

Cosa fare, quindi? È necessario lavorare per arrivare a un allineamento e a una visione comune – che venga condivisa e comunicata da quei role model di cui abbiamo parlato e costruire, passo dopo passo, una nazione a trazione startup.

Una sfida che non può più essere rimandata. Anche alla luce della scelta del nuovo governo di non avere una delega o un sottosegretario specificatamente dedicato alle startup. Sarebbe stata un’occasione incredibile per tutti. Prima di tutto perché avrebbe superato in audacia il precedente governo che per quanto preparatissimo, non aveva – diciamolo – un’agenda startup. In secondo luogo, perché avrebbe creato un primo caso in Europa  di “Ministro delle startup”: la Corea del Sud ne ha istituito uno con ottimi risultati. E, infine, perché avrebbe dato un bellissimo segnale a chi cerca un faro: le startup italiane.