categoria: Res Publica
Autonomia differenziata: cosa farà il nuovo Governo?
Il prossimo 22 ottobre saranno già passati cinque anni dai referendum promossi dalle Regioni Lombardia e Veneto per l’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e per l’attuazione dell’autonomia differenziata. L’obiettivo era quello di ottenere più autonomia nelle materie di cosiddetta “competenza concorrente” ed in tre materie oggi devolute alla competenza esclusiva dello Stato. Da allora, le due Regioni, alle quali si è aggiunta l’Emilia-Romagna, in due legislature hanno ottenuto “solo” tre accordi preliminari, all’epoca del Governo Gentiloni (febbraio 2018).
Dopodiché, nei Governi presieduti da Conte, ha visto la luce una bozza di disegno legge volto a fungere da legge quadro per le successive intese Stato-Regioni, ma non ha avuto fortuna. Nessun passo avanti significativo durante il Governo Draghi. Nel mezzo, però, a causa della pandemia il rapporto Stato-Regioni ha attraversato diversi momenti di tensione. Ciò ha generato innumerevoli riflessioni sul tema e tanta giurisprudenza (soprattutto TAR).
I programmi del Centro-destra in materia di autonomia differenziata
Adesso si riparte, con un nuovo Parlamento ed un nuovo Governo. Il tema dell’autonomia differenziata è contenuto nell’accordo quadro di programma sottoscritto dai leader di centrodestra. Il testo prevede di “Attuare il percorso già avviato per il riconoscimento delle Autonomie ai sensi dell’art. 116, comma 3 della Costituzione, garantendo tutti i meccanismi di perequazione previsti dall’art. 119 della Costituzione”. Abbastanza generico.
Analizzando poi i programmi dei singoli partiti, si legge che in quello di Fratelli d’Italia il tema è menzionato marginalmente, in linea con l’accordo quadro di cui sopra: “Attuazione virtuosa di federalismo fiscale e autonomie, con completa definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e corretto funzionamento del fondo di perequazione, per assicurare coesione e unità nazionale.”
Anche Forza Italia si pone sulla scia del partito di maggioranza relativa: “Attuazione di un modello di federalismo responsabile che armonizzi la maggiore autonomia prevista dal titolo V della Costituzione e già richiesta da alcune regioni in attuazione dell’articolo 116, portando a conclusione le trattative attualmente aperte tra Stato e Regioni.”
Molto più ricco, soprattutto in termini di enfasi, è il programma della Lega sul tema. Ecco un estratto: “(…) L’autonomia è una dimensione spirituale, un’autentica vocazione. È una questione di cultura politica, dunque. Che comporta una dose di sano orgoglio e di fierezza regionalista nel “far da sé”, responsabilmente accettando la sfida della responsabilità e dell’efficienza. Chiedere più autonomia significa infatti accogliere il confronto e la competizione, che dovrebbe essere l’essenza del regionalismo a geometria variabile.(…)”
Il nodo delle risorse
Non sarà facile trovare una sintesi. Il tema è delicato, soprattutto perché i programmi tergiversano sul vero nodo della questione, ossia le risorse. Come noto, l’idea delle Regioni promotrici, Veneto in primis, è quella di finanziare le maggiori competenze attraverso la trattenuta di parte delle tasse pagate all’interno del territorio regionale. Come scrivevo su questi pixel un po’ di tempo fa Il Veneto mirava a trattenere i nove decimi del gettito dell’IRPEF, i nove decimi del gettito dell’IRES e i nove decimi del gettito IVA. La Corte Costituzionale si è pronunciata sul tema, bocciando simil proposte (che erano inserite nei quesiti referendari posti al vaglio della Consulta). Ma è chiaro che si tratta del vero argomento di discussione.
Anche il disegno di legge di cui in narrativa era in palese difficoltà sul tema. In un primo momento, le risorse sarebbero state attribuite sulla base della spesa storica (la competenza che ti ho passato mi costava 100, ti do 100), per poi arrivare, entro un anno dall’approvazione dell’Intesa, ai famigerati fabbisogni standard. Lo stesso Ddl demandava poi alla medesima Intesa di definire “(…) le modalità di finanziamento delle funzioni conferite tra i tributi propri, la compartecipazione o la riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale (…).” Il nodo delle risorse è particolarmente complesso. Anche l’ufficio parlamentare di bilancio ha manifestato molti dubbi.
Cosa accadrà?
Alla luce dei programmi, è molto difficile prevedere cosa potrà accadere e se il tema finirà nel solito cassetto, per poi esser tirato fuori per qualche battaglia politica. Magari strumentale. Perché il problema non sembra riguardare la volontà di farlo (ci sono varie aperture anche a sinistra infatti), ma come farlo.
La paura di tanti politici, ma anche dei tecnici, è che le Regioni non siano pronte ad affrontare una competizione virtuosa. Lo si è visto anche nelle fasi più acute del Covid-19. Le rassicurazioni sulle perequazioni non bastano, perché giocoforza si dovrebbero comunque sussidiare ancora i territori meno abbienti. Con il rischio di vanificare lo scopo della riforma.
L’esempio più classico di autonomia rafforzata è quella già in atto nel settore sanitario, che rappresenta la grossa fetta dei bilanci regionali. Cos’ha prodotto? Una competizione caotica, notevoli divari, burocrazia, dissesti e commissariamenti. Forse si dovrebbe partire dall’analisi di quel modello, evidenziandone virtù e vizi, prima di attribuire nuove forme di autonomia.
Twitter @francis__bruno