categoria: Vicolo corto
Intelligenza artificiale e lavoro, la politica è pronta per un cambio radicale?
La premessa storica è: “Creeremo un milione di posti di lavoro”.
In un tempo etologicamente molto lontano (ma sfortunatamente relativamente vicino), le campagne elettorali facevano leva sulla creazione dei “posti di lavoro”.
Solo una ventina di anni fa, chi voleva introdurre un’innovazione o un miglioramento all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione pubblica o privata, doveva scontrarsi con sindacati e dinamiche “politiche” che poco avevano a che fare con le incipienti logiche industriali.
La società intera era ingessata su principi che contenevano valori giusti ma ancorati a una visione del capitalismo superata dal capitalismo stesso (e dall’evoluzione di organizzazioni e società).
Sebbene buona parte della campagna elettorale sia ancora incentrata (per motivi di voti) su tematiche populiste o in difesa di diritti che già oggi non esistono più, è evidente come il dibattito si stia spostando su ciò che sta accadendo in termini di cambiamenti macroeconomici globali.
Da un po’ di tempo si inizia a parlare di reddito minimo in modo progressivamente sempre più importante.
E non a caso…
Una rivoluzione in corso
La robotica sta prendendo campo, il capitalismo è duro a morire e qualsiasi impresa dotata di razionalità punterà sempre più ad adottare tecnologie che permettano di risparmiare sul lavoro, cercando modi per sostituire le persone con le macchine (che si formano gratuitamente, non vanno in burn out e non hanno bisogno né di malattia, né di sacrosanti ma costosi diritti).
La crescita demografica in corso, che prevede di arrivare a 9 miliardi di persone nei prossimi decenni, creerà nuove esigenze che però verranno più che compensate dall’evoluzione tecnologica (che sfornerà molti prodotti con poca necessità di manodopera).
Stiamo tutti facendo uno sforzo enorme per sottolineare l’importanza della formazione e dell’auto formazione (a dispetto del correttore automatico che mentre sto scrivendo ha appena sostituito il termine autoformazione con “automazione”).
Stiamo cercando di sottolineare l’importanza delle soft skills come elementi differenzianti di noi “umani” rispetto alle macchine o a modelli di management che di umano hanno ben poco.
Cerchiamo di aumentare la sensibilità su argomenti legati a diversità, inclusione e leadership, mettendo l’accento sulla centralità delle persone nel contesto industriale e produttivo.
Ma la verità è che mentre noi facciamo uno sforzo enorme (anche a livello individuale, cercando di rimanere costantemente aggiornati in modo che la nostra professionalità continui a essere spendibile), le big corporation sembra stiano cominciando a investire sull’intelligenza artificiale generale (quella che oltre a sostituire l’uomo nei compiti automatizzabili, porterà i robot a sviluppare un pensiero cosciente).
Molto business con poche persone
Le grandi multinazionali che sono in grado di direzionare i mercati globali più di ogni altra entità socio-politica, sono tutte aziende con un rapporto fatturato/dipendenti altissimo: pochi dipendenti sono in grado di generare incassi enormi.
Per avere un’idea di questo fenomeno è sufficiente pensare a YouTube, che fu acquistata per 1,65 miliardi di dollari quando aveva 66 dipendenti (realizzando una valutazione di 25 milioni per dipendente) o a WhatsApp, che fu acquistata per 19 miliardi quando di dipendenti ne aveva 55 (ottenendo una stima di ben 345 milioni per dipendente).
Le aziende più ricche e con un potere negoziale maggiore all’interno del mondo del lavoro hanno quasi tutte modelli di business che impiegano pochissime persone.
È ovvio che non si può vivere di YouTube e WhatsApp (anche se le generazioni dopo la mia potrebbero avere un’opinione diversa), ma è curioso osservare come la stessa tendenza sia verificabile anche in aziende come Apple, Microsoft, Google, Amazon o Uber, che dominano il mercato producendo beni e servizi molto meno “irrinunciabili”.
Tutte le società che di per sé impiegano poche persone producendo utili enormi, stanno investendo pesantemente per rendere i propri modelli di business ancora più automatizzati ed indipendenti dalle persone stesse (come i magazzini automatici o i droni sviluppati da Amazon).
A questo si somma l’effetto di accelerazione tecnologica dovuta alla nota legge di Moore secondo cui l’evoluzione delle capacità computazionali dei computer aumentano esponenzialmente nel tempo.
Così come in pochi anni siamo passati dai PC a schede a “reti computazionali in cloud”, presto potremmo vedere ridotti non solo i nostri stipendi ma anche la nostra possibilità di accesso a un mondo del lavoro sempre più ristretto e sempre più “automatizzato” (e automatizzabile).
La crescita demografica farà il resto perché sebbene sia prevedibile un aumento dei consumi, i 9 miliardi di persone che popoleranno la Terra nei prossimi decenni avranno aspettative di vita e di lavoro più alte (andando a saturare ancora di più il mercato del lavoro).
Un cambio di paradigma (e di dibattito) necessario per la sopravvivenza
Con lo scenario attuale, è pertanto evidente quanto il dibattito politico dovrà necessariamente spostarsi verso un cambio culturale radicale in grado di guardare al futuro in modo completamente nuovo.
Tutto quello che pensiamo di aver appreso nel corso dello scorso secolo dovrà essere messo in discussione e i temi al centro del dibattito politico odierno dovranno andare in una direzione completamente opposta rispetto agli scontri per il potere, alla polarizzazione estrema e alla rincorsa ad accaparrarsi la fetta maggiore.
Se non riusciremo a cambiare completamente il modo in cui interpretiamo il nostro modo di vivere all’interno del nostro pianeta organizzandoci per un futuro “senza lavoro”, l’alternativa potrà essere quella di farsi “staccare la spina” dai robot (che nel frattempo avranno sviluppato reti neurali migliori delle nostre e che potrebbero trovare del tutto inutili e inopportuni dibattiti su temi per loro inesistenti).