Prezzi del gas e impatto sull’economia. Un monito per il Governo che verrà

scritto da il 12 Settembre 2022

Ciò che da tempo si temeva si sta velocemente concretizzando: Gazprom ha dichiarato il blocco totale dei flussi di gas dalla Russia all’Europa attraverso il canale Nord Stream 1 per un periodo indeterminato (ovvero fino a quando non verranno riviste le sanzioni comminate alla Russia, secondo quanto dichiarato dal Cremlino). L’infrastruttura era già rimasta ferma a luglio per manutenzione programmata a una turbina e poi era ripartita ma a una capacità ridotta di circa il 40% rispetto alla portata normale. Successivamente il flusso era stato ulteriormente ridotto al 20%, a circa 38 milioni di metri cubi al giorno rispetto ai 66 delle settimane precedenti alla manutenzione.

Si preannunciano, dunque, un autunno e un inverno rigidi per l’economia europea e, soprattutto, per quella italiana. L’Italia è, infatti, uno dei paesi europei con la più alta dipendenza dal gas, importando circa il 90% necessario a soddisfare la domanda nazionale. Fino a pochi mesi fa la Russia era il principale fornitore per l’Italia (copriva circa il 40% delle importazioni di Gas) ma, grazie agli accordi sottoscritti nei mesi scorsi dal Governo Draghi per diversificare le forniture e ridurre la dipendenza dalla Russia, la quota di gas russo importata è scesa al 23% nel periodo gennaio-luglio 2022, lasciando all’Algeria il posto come primo fornitore col 29%.

I più ampi effetti economici conseguenti alla riduzione dei flussi di gas dalla Russia sono prevalentemente indiretti e legati all’impatto sull’aumento dei costi energetici. Il prezzo del gas per l’Europa si definisce nella borsa di Amsterdam ed è anche soggetto a forti interventi speculativi: solo il 5 settembre – in conseguenza della chiusura del Nord Stream 1 – si è avuto un aumento del 35% del prezzo del gas, che ha superato i 260 euro per MWh. A fine agosto aveva superato i 300 euro per MWh, sulla base delle voci di chiusure degli approvvigionamenti di gas russo all’Europa.

Ma perché ciò è avvenuto? Perché il gas è una materia prima energetica che viene utilizzata direttamente in numerose attività industriali e dei servizi ma è anche utilizzata per produrre circa il 50% dell’energia elettrica utilizzata in Italia. Ha un effetto pervasivo, dunque, che incide sui prezzi di gran parte dei beni. Ecco perché l’inflazione al consumo, che in luglio ha toccato il massimo dal 1985 (8,5%), viene spinta al rialzo sia dalle materie prime energetiche che dai prezzi dei beni non energetici: l’inflazione “core”, ovvero quella calcolata al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi, è salita ben sopra il 2% (attualmente è al 4,4%), obiettivo fissato dalla BCE per decidere gli interventi di politica monetaria.

(Imagoeconomica)

(Imagoeconomica)

Dunque, per sintetizzare, l’aumento dei prezzi del gas – dovuto alla guerra in Ucraina e alle ritorsioni russe in conseguenza delle sanzioni – e il conseguente incremento dei prezzi dei beni energetici collegati al gas stesso, stanno spingendo all’insù la dinamica inflattiva e questa produce effetti macroeconomici rilevanti, che sono destinati ad aggravarsi nei prossimi mesi. In particolare, tali aumenti dei prezzi hanno un impatto negativo sui bilanci di famiglie e imprese. Il potere d’acquisto delle famiglie si sta velocemente erodendo, anche in considerazione della quasi stagnazione delle retribuzioni, e i risparmi accumulati nei mesi del lockdown e a scopo precauzionale si stanno gradualmente riducendo. Inoltre, le attese di ulteriori aumenti dei prezzi e il peggioramento del contesto economico italiano (come rilevato nelle statistiche ISTAT sulla fiducia dei consumatori) sta spingendo le famiglie ad accumulare risparmio precauzionale e, quindi, ciò frena i consumi.

Per le imprese, in particolare quelle che operano nei settori più energivori (metallurgia, minerali non metalliferi, carta, alimentare), tale contesto rischia di generare un effetto ancora più negativo: molte imprese infatti hanno già dichiarato di volere sospendere temporaneamente l’attività e questo ha effetti non solo sulla produzione ma anche sull’occupazione. Inoltre, un contesto inflattivo di tale portata tende a far crescere vertiginosamente i rischi di fallimento. Inoltre l’aumento dei costi energetici spiazza la spesa delle imprese per investimenti e ciò contribuisce ancora a frenare la crescita del PIL e della produttività.

Quali sono gli effetti sull’economia italiana dovuti al peggioramento del contesto?

L’impatto dell’aumento dei costi energetici è stato calcolato da Confindustria facendo un confronto internazionale: rispetto a Francia e Germania, l’Italia è il paese dove la crisi energetica rischia di produrre i maggiori danni. In particolare, a politiche invariate precrisi, l’incidenza dei costi energetici sul totale dei costi di produzione per l’economia italiana raggiungerebbe l’8,8% nel 2022, più del doppio del corrispondente dato francese (3,9%) e quasi un terzo in più di quello tedesco (6,8%). Ciò amplierebbe il divario di competitività di costo dell’Italia dai principali partner europei e ciò avverrebbe per tutti i principali comparti dell’economia: dal settore primario, all’industria e fino ai servizi.

Cerved ha recentemente stimato che in conseguenza del peggioramento del contesto economico causato dal conflitto russo-ucraino, è molto aumentata la probabilità di default delle imprese italiane: rispetto al 2021 le società di capitale a rischio default sono passate dal 14,4% al 16,1%; si tratta di quasi 100 mila aziende, 11 mila in più rispetto al periodo pre-conflitto.

Infine, Banca d’Italia ha stimato che un arresto totale delle forniture energetiche russe – in assenza di interventi governativi a supporto di famiglie e imprese – determinerebbe interruzioni produttive nelle attività industriali caratterizzate da più elevata intensità energetica, maggiori rincari delle materie prime, un impatto più forte su incertezza e fiducia, un calo dei consumi e una dinamica più debole della domanda estera. Ciò porterebbe il PIL ad aumentare di circa l’1% nel 2022 (a fronte del +3,2% previsto nello scenario base) e a diminuire nel prossimo anno di quasi 2 punti percentuali (da +1,3%). A fronte di questo rischio di aumento dei prezzi, la politica monetaria restrittiva decisa dalla BCE per cercare di portare il tasso d’inflazione nel medio periodo al 2% rischia di comprimere ulteriormente la domanda aggregata e frenare la crescita, senza risolvere gli squilibri settoriali e le strozzature dell’offerta.

Alla luce di questi rischi, è necessario che il Governo che verrà consideri un intervento massiccio a supporto di famiglie e imprese se si vuole preservare l’occupazione e la tenuta del sistema.