categoria: Res Publica
Riforma Cartabia: sarebbe stato opportuno un maggiore ricorso all’arbitrato
Post dell’avvocato Maurizio D’Albora, Senior Partner dello Studio Legale Carnelutti di Napoli, fondatore della Camera Arbitrale Italiana, general counsel di gruppi italiani ed esteri, esperto di diritto societario e di contenzioso ordinario e arbitrale –
L’avvertita esigenza di semplificare e accelerare i tempi del processo civile, ha partorito la cd. Riforma Cartabia che ha affidato al Governo la delega ad adottare decreti legislativi in grado di garantire il riassetto formale e sostanziale del processo in funzione di obiettivi di speditezza e razionalizzazione.
I principi generali dettati dalla legge delega possono così sintetizzarsi: introduzione permanente nel giudizio ordinario delle udienze da remoto e a trattazione scritta; soppressione di alcune udienze considerate superflue; previsione di un calendario del processo da definire alla prima udienza; previsione di termini intermedi, per la precisazione di domande, eccezioni e mezzi di prova e maggiore rigore nella applicazione del cosiddetto “filtro” preventivo del giudizio di appello.
In attuazione di detti principi ispiratori, la legge delega ha preso in esame svariate aree ed istituti del processo civile invitando i legislatori delegati ad attuare lo spirito riformatore attraverso l’adozione di procedure, sostanziali e processuali, connotate da maggiore snellezza e semplicità.
A detto fine sono stati enunciati numerosi principi ai quali, nel rispetto e nei limiti della delega, il legislatore dovrà attenersi per arginare il sempre più consistente aumento del contenzioso, per il cui completo smaltimento si stima almeno un decennio.
Ci si sarebbe, pertanto, attesi, oltre ad un auspicabile, (ma non previsto) incremento del personale e delle strutture giudiziarie, (grazie alle risorse del PNRR), l’incentivazione delle procedure alternative di soluzione delle controversie e non il, pur lodevole ma insufficiente, rimaneggiamento di quelle in essere.
In tal senso, e soprattutto per determinate materie, sarebbe stato consigliabile un maggiore ricorso all’istituto dell’arbitrato che, rafforzandone le prerogative, avrebbe ridotto enormemente i tempi della giustizia le cui lungaggini, come è noto, costituiscono, specie per gli imprenditori stranieri, il maggiore deterrente ad investire nel nostro Paese.
Colpisce, perciò, negativamente, la circostanza che, nonostante il dichiarato intento deflattivo del contenzioso, la Riforma abbia dedicato un consistente spazio al rimedio (dichiaratamente alternativo, ma in realtà aggiuntivo) della conciliazione e della negoziazione assistita che, contrariamente alle aspettative, ha prodotto un allungamento dei tempi del processo civile introducendo, di fatto, quando previsto in forma obbligatoria, un ulteriore, e il più delle volte ininfluente, grado di giudizio.
Il dato tangibile di tale scelta è costituito dal fatto che la legge delega ha riservato all’istituto della conciliazione ben 19 capitoli (art.1, punto 4., da lett. a. sino a lett. u), mentre l’arbitrato (art.1, punto 15) ha ricevuto soltanto 9, e poco significative, raccomandazioni, che, assai marginalmente, incentiveranno il ricorso al rimedio alternativo.
Eppure, la necessità di attenuare i costi e di accelerare i tempi del giudizio era già stata avvertita dalle principali istituzioni arbitrali del Paese che, attraverso una modifica dei rispettivi Regolamenti, hanno disciplinato ed attuato forme più semplici ed economiche di soluzione delle controversie sottoposte alla loro cognizione.
Risulta, infatti, che alcune Camere arbitrali, già prevedono che in determinati casi di minor valore economico e di più semplice istruttoria, la cognizione e la decisione della controversia sia affidata ad un Arbitro Unico, oppure che, quando il caso lo consente, l’istruttoria sia basata esclusivamente sui documenti prodotti dalle parti,
Nel primo caso, come è evidente, si otterrà un considerevole risparmio dei costi rispetto a quelli, talora insostenibili, di un Collegio arbitrale, mentre nel secondo caso, sarà possibile ridurre enormemente i tempi di emissione della pronuncia arbitrale che, il più delle volte,”pareggia”, se non supera quelli del giudizio ordinario.
Altre importanti misure ispirate al contenimento dei costi e dei tempi, ma pur sempre rispettose del più ampio contraddittorio, sono state (e saranno) attuate e, perciò, non si può non auspicare che l’iniziativa privata delle Camere arbitrali supplisca al silenzio del legislatore.