categoria: Distruzione creativa
Tutti d’accordo: le criptovalute vanno regolamentate. Ecco 4 ragioni
L’autore del post è Stefano Capaccioli, dottore commercialista, fondatore di Coinlex, società di consulenza e network di professionisti sulle criptovalute e soluzioni blockchain, presidente di Assob.it, autore di “Criptoattività, criptovalute e bitcoin” –
Il bitcoin pone delle insidie, le criptoattività non hanno alcun sottostante e sono strumenti pericolosi: il mercato ribassista del primo semestre 2022, con dimezzamento dei prezzi delle principali criptovalute, presenta nuovamente questi dubbi dopo un periodo di euforia. Molti ne sono sorpresi, e pullulano gli esperti e i detrattori di varia natura, che confondono le normali oscillazioni di un mondo innovativo con collassi tipo bolla delle “dot com”, indicando i vari fallimenti di protocolli (Terra-Luna, Celsius Network, Three Arrows Capital, etc) come la dimostrazione dell’assenza di qualsiasi sottostante.
Banca d’Italia, in una Comunicazione di giugno 2022:
“Le cripto-attività possono generare rischi di vario genere.
Una rapida e ampia diffusione di questi strumenti potrebbe compromettere la stabilità del sistema finanziario a causa dell’interdipendenza dei soggetti che vi partecipano, regolamentati e non, nonché della mancanza di controlli e strumenti che possono limitare gli effetti di eventi sfavorevoli.
Il mondo delle cripto-attività è infatti ancora largamente deregolamentato.
Sono in corso a livello internazionale ed europeo i lavori per disegnare un nuovo insieme di regole e di controlli per questi prodotti e per i relativi “ecosistemi” ma la loro entrata a regime richiederà ancora tempo”.
Il documento rileva come sollevino preoccupazioni all’Istituto:
– l’estrema volatilità delle quotazioni;
– i ricorrenti episodi di crisi di operatori e schemi della specie, dovuti a truffe, a incidenti informatici o a difetti di fondo, che hanno comportato anche di recente ingenti perdite per i soggetti coinvolti;
– la forte opacità degli scambi e degli assetti proprietari di gran parte di questi schemi.
Per ogni preoccupazione esiste una e una sola soluzione: l’introduzione massiccia di organismi, controlli e regole.
Questo è il nuovo mantra ai piani alti della finanza italiana: è necessario un intervento invasivo per evitare che la casalinga di Voghera possa correre rischi inenarrabili. Fortunatamente, nell’ultima Indagine Fintech in Italia (link), Banca d’Italia ha certificato che il sistema finanziario è “de-criptizzato”. Nessuna banca possiede cripto-attività e solo quattro banche hanno contatti con soggetti che operano con le cripto-attività.
“Nessun intermediario detiene crypto-attività nei propri bilanci, sia nella forma di esposizioni dirette sia come sottostante di derivati o come oggetto di investimento di fondi comuni; non risultano, inoltre, affidamenti concessi alla clientela al fine di effettuare investimenti in crypto-attività. I servizi connessi con la gestione delle crypto-attività sono offerti alla clientela soltanto da quattro intermediari e sempre attraverso partnership commerciali con operatori terzi; questi ultimi offrono alla clientela degli intermediari wallet per la custodia, la compravendita e l’utilizzo di crypto-attività”.
Tale messaggio appare rassicurante: il nostro sistema finanziario è totalmente immune dal contagio delle cripto-attività, ha respinto gli attacchi ed azzerato i rischi. Ma allora perché tutta questa preoccupazione e questa richiesta di regole?
Del resto, nessun salvataggio statale è stato effettuato in Italia nei confronti del mercato delle cripto-attività e non risulta alcun intervento con i soldi dei contribuenti in alcuna parte del mondo, differentemente dal sistema finanziario tradizionale.
In aggiunta, non pare che alcuno abbia mai richiesto un intervento statale a ristoro, se non qualche autorità giudiziaria sulla presenza di sottostante relativamente a stable coin, senza che questa abbia perso fiducia, rimanendo sorprendentemente ancorata al dollaro.
Approfondendo, nessuno propone vendita di criptovalute per telefono, per strada, con sollecitazione al pubblico risparmio: al massimo qualche “cold calling”, sovente, senza alcuna cessione di criptoattività.
Gli utenti, peraltro, per acquistare criptovalute e criptoattività devono superare molti ostacoli, dato che devono (i) individuare l’Exchanger, (ii) registrarsi on line, (iii) riuscire a soddisfare i requisiti del processo di identificazione (KYC), (iv) effettuare un bonifico con alcune banche che rifiutano certi IBAN (in palese violazione dell’art. 9 del Regolamento SEPA), (v) comprendere cosa e come si compra, (vi) informarsi sui wallet, (vii) eccetera…
Infine, nessun utente pare aver richiesto protezioni statali ovvero rimborsi. Allora sarà che il sistema finanziario tradizionale ha pesanti posizioni in criptoattività (come in derivati)? No, non ne ha: quindi nessun rischio. Se il rischio non è così sistemico, perché questa attenzione e questi toni?
Tutti i rappresentanti apicali di regolatori/supervisori sono assolutamente concordi nell’individuare rischi sistemici e di mercato per gli utenti nell’utilizzo e nella diffusione delle cripto-attività, tali da spingere verso regolamentazioni stringenti, finalizzate a cercare di limitarne gli impatti.
Fabio Panetta, membro esecutivo della BCE, in un intervento alla Columbia University da titolo “Per qualche cripto in più: il Far West della cripto-finanza” evidenzia come:
Le cripto-attività non rappresentano soltanto investimenti speculativi ad alto rischio, ma costituiscono anche una minaccia concreta per la stabilità finanziaria.
Nella seconda metà del diciannovesimo secolo l’espansione verso l’ovest degli Stati Uniti coincise con l’introduzione, in più stati, di leggi sul free banking che di fatto allentarono i vincoli all’apertura delle banche, facilitando l’emergere delle cosiddette “wildcat banks”].
Queste ultime – tipicamente situate in aree sperdute, “dove si aggiravano gatti selvatici” – emettevano mezzi di pagamento garantiti da attività di dubbia qualità, spesso con l’intenzione di non onorare tali passività. Molte di esse fallirono, minando la fiducia che i risparmiatori riponevano nelle banche.
Non dobbiamo permettere che una tale situazione si ripeta nel mercato digitale delle cripto-attività.
Piero Cipollone, vice direttore generale della Banca d’Italia nel suo intervento “Conference on Digital Platforms and Global Law” a Villa Aldobrandini ha rilevato che
“Nell’esperienza concreta, abbiamo inoltre sollecitato gli intermediari che hanno sviluppato partnerships con terzi a introdurre precisi limiti operativi per restringere e monitorare l’attività della clientela che opera in crypto.
La Banca d’Italia continuerà a monitorare il mercato, in raccordo con le altre Autorità, e sarà pronta a intervenire, anche in anticipo rispetto alla definizione del quadro regolatorio europeo, attraverso la pubblicazione di specifiche indicazioni per gli utilizzatori, gli intermediari e i fornitori delle soluzioni tecnologiche in materia di crypto-attività.
Presterà inoltre particolare attenzione alla crescente integrazione dei profili di vigilanza prudenziale sugli intermediari finanziari, sui fornitori di funzioni critiche e di sorveglianza sul regolare funzionamento del sistema dei pagamenti connessi con le crypto-attività.
Interverrà inoltre con tutti gli altri strumenti a sua disposizione per intercettare e prevenire potenziali minacce per la tutela degli utilizzatori e per la stabilità del sistema”.
Paolo Ciocca, Commissario della Consob, auspica l’anticipazione della regolamentazione in Italia, peraltro in assenza di un quadro normativo stabile a livello europeo, più preoccupato dei rischi per gli investitori rispetto all’attrazione di investimenti ovvero progetti in Italia.
Paolo Savona, Presidente della Consob, in audizione in Commissione Banche sullo scandalo della vendita dei diamanti tramite il canale bancario, solleva i rischi delle criptoattività:
Il primo riguarda il fenomeno della circolazione di cripto-attività nell’ambito di piattaforme di scambio on-line, fenomeno che negli ultimi tempi si sta diffondendo sempre di più e che comporta un alto rischio per gli investitori retail.
Appare infatti evidente che l’acquisto e lo scambio di criptovalute da parte dei piccoli investitori sono determinati essenzialmente dallo scopo di ottenere un profitto collegato all’aspettativa di una rivalutazione di tali attività che però è dovuta a fenomeni di mercato che poco o nulla hanno a che vedere con il loro valore intrinseco.
Stante l’assenza, allo stato, di uno specifico quadro regolatorio se non per le finalità antiriciclaggio, potrebbero essere considerate offerte di prodotti finanziari le proposte che vengano reclamizzate con modalità tali da enfatizzare la possibilità che gli aderenti all’iniziativa conseguano ritorni economici collegati alla fluttuazione di valore della cripto-attività nelle piattaforme in cui questa è o sarà eventualmente scambiata.
In un altro intervento, il Presidente Savona sottolinea:
“Le autorità dei paesi sede di centri finanziari internazionali hanno tollerato la circolazione dei Bitcoin in quanto non presentavano, avulsi dal resto delle crypto, rischi per la stabilità dei mercati mobiliari, ma hanno subito avvertito che l’anonimità del possesso e l’impenetrabilità del meccanismo contabile decentrato avrebbero incrementato il riciclaggio di danaro sporco, l’evasione fiscale e il finanziamento del terrorismo“.
Christine Lagarde, Presidente della Banca centrale europea, in una recente intervista ha affermato che le criptovalute si basano sul nulla e dovrebbero essere regolamentate per evitare che le persone speculino su di esse con i loro risparmi, con una preoccupazione per le persone che non capiscono i rischi, che perderanno tutto e che saranno terribilmente deluse.
Tutti concordi, dunque, nel ritenere tali strumenti dannosi, non solo per gli utenti, ma anche per la stabilità finanziaria. Posizione anche condivisibile, ma a ben vedere, né gli utenti né il sistema stanno rischiando e quindi le risposte alle motivazioni di questa avversione possono essere trovate altrove:
– In primis, poiché il sistema delle cripto attività disintermedia e di conseguenza, rende il regolatore o meglio, questa tipologia di regolatori, inutili.
– In secondo luogo, pare si sia perso totalmente il senso delle istituzioni, dato che non devono essere gli organismi tecnici (regolatori e supervisori) ad invadere sfere tipiche della politica: ognuno segua il proprio angolo di osservazione e non invada campi altrui.
– In terzo luogo, sembra che il “paternalismo” di stato sia oramai necessario, con la conseguente riduzione delle scelte considerate “accettabili” e “ammesse”.
– In quarto luogo, la disintermediazione va respinta dato che le banche e le istituzioni finanziarie tradizionali devono avere il monopolio esclusivo dell’intermediazione finanziaria, utilizzando qualunque strumento per mantenerlo.
In definitiva, torna alla mente l’insegnamento di Popper in “La società aperta e i suoi nemici”, ove viene analizzato il comportamento dei “centri di potere” di fronte al cambiamento e possiamo estendere tali riflessioni ai nemici della rivoluzione della “moneta aperta”.
Le istituzioni finanziarie che reagiscono al cambiamento, appaiono quali “società chiuse”, con una rigidità propria del tribalismo, tale per cui ogni cambiamento viene visto alla stregua di una conversione o un mutamento religioso, in cui ad un tabù, se ne sostituisce un altro. È chiusa nel momento in cui pretende di essere portatrice di valori e verità assolute da poter imporre agli altri e le stesse istituzioni non possono e non debbono essere soggette a critica.
Sulla base di questa trasposizione, le dichiarazioni e le affermazioni effettuate dagli attori apicali del sistema finanziario tradizionale risultano coerenti e finalizzate ad alzare recinti affinché agli utenti sia limitato con qualunque mezzo l’accesso alle criptoattività, per motivazioni forse non proprio di interesse generale.
Nel frattempo, la BCE ha annunciato l’introduzione, ancorché non prima di quattro anni, del Digital Euro quale risposta alla digitalizzazione dell’economia, una moneta virtuale emessa della Banca Centrale (Central Bank Digital Currency). Purtuttavia ad oggi, oltre a tanti speech ed interessanti studi, non vi è alcuna informazione né sulla tecnologia utilizzata, né sul livello e/o sul sistema di riservatezza delle transazioni, né sulle modalità di accesso ai dati, con la preoccupazione che il sistema venga sviluppato sui principi alla base dell’E-Yuan, ove le esigenze di controllo hanno la prevalenza sui diritti individuali.
Il clima che ne emerge non è sicuramente favorevole per le imprese “cripto”, anzi le respinge attraverso “moral suasion”, in assenza di qualsivoglia scelta politica di indirizzo, lasciando tutto nelle mani di ministeriali e di funzionari delle varie istituzioni, che peraltro esternano che “nel complesso, è difficile vedere motivi che giustifichino l’esistenza delle crypto-attività nel panorama finanziario”.
Ha senso costruire muri e respingere l’innovazione, indicando le criptovalute come responsabili di rischi sistemici, quando i due “mondi” non paiono avere intersezioni? O è solamente la ricerca di un comodo capro espiatorio?
Possibile, poi, che ovunque si parli di WEB3, NFT e metaverso, respingendo le piattaforme delle criptovalute ove presumibilmente saranno costruite?
Sfortunatamente, l’innovazione non attende i comodi tempi dei percorsi ad ostacoli, delle incertezze interpretative e delle autorizzazioni, con la conseguenza che le start up innovative in Italia in tale campo tendono a non radicarsi, con gli imprenditori italiani che “imprendono” all’estero, in giurisdizioni più ospitali (o più spregiudicate secondo taluni).