Chi avesse dimenticato cosa significa un spirale prezzi-salari, può andare a vedere gli ultimi dati sull’indice dei prezzi al consumo in Turchia e osservare al contempo il comportamento delle retribuzioni. Un case history che forse è capace di qualche buon insegnamento, in un momento in cui l’inflazione (con i relativi dibattiti) accelera anche da noi.
Gli ultimi dati sull’indice dei prezzi al consumo turco confermano l’accelerazione in corso dell’inflazione nel paese, che a giugno ha raggiunto, su base annua, il 78 per cento, oltre cinque punti sopra il dato di maggio.
Il peggioramento del contesto internazionale certo non aiuta, visto che la Turchia è un paese che trasforma beni primari, e quindi dipende molto dall’estero per le sue forniture, a cominciare da quelle energetiche. E questo spiega come il settore dei trasporti sia uno dei più penalizzati, insieme a quello degli alimentari, dai rincari.
Dal primo grafico, tuttavia, si vede con chiarezza che l’accelerazione dei prezzi si è innescata a partire dalla parte finale dell’anno scorso. Ossia da quando il governo, nonostante un’inflazione già a due cifre e una moneta indebolita, ha imposto una politica monetaria basata su bassi tassi di interesse.
Ma non è successo solo questo, in quel finire del 2021. Al tempo stesso anche le retribuzioni sono cresciute bruscamente.
“L’indice dei salari lordi – spiega l’istituto di statistica -, inclusi i settori dell’industria, delle costruzioni, dei servizi commerciali, è aumentato del 68,1% nel primo trimestre del 2022 rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Il settore industriale è aumentato del 63,3%, il settore delle costruzioni è aumentato del 53,5% e il settore dei servizi commerciali è aumentato del 73,8%”.
Questo andamento si è rispecchiato in quello dell’aumento del costo orario del lavoro, cresciuto del 55 per cento su base annua nel primo trimestre del 2022.
I prossimi dati usciranno in agosto. Ma ce n’è abbastanza per aspettarsi che la crescita delle retribuzioni abbia seguito quella dei prezzi, nella più classica delle spirali che hanno reso celebri gli anni ’70.
Un film che nessuno dovrebbe aver voglia di rivedere e che dovrebbe incoraggiare i nostri governi a sperimentare soluzioni diverse per difendere il potere d’acquisto delle famiglie. Riducendo, per esempio, la componente fiscale dei prezzi: vedi caso accise-carburanti.
Il problema è che questa strategia trasferisce l’onore della correzione sul bilancio dello Stato, che dovrebbe rivedere le proprie spese. Facile dirlo. Quanto a farlo è un altro paio di maniche.