categoria: Distruzione creativa
Il fattore umano nel new normal della data-driven economy
Post di Francesco Trapani, Data Analyst presso Si-Net, Microsoft Gold Certified Partner e corsista EMBA Ticinensis –
Creare un’esperienza di valore per i clienti può basarsi solo sull’analisi dei dati?
I dati scambiati in rete, a partire dai diversi lockdown, sono aumentati in modo esponenziale. Le informazioni raccolte dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) indicano, per le reti fisse, un aumento del 90 per cento nel primo mese di lockdown rispetto al marzo 2019. Ciò è stato possibile grazie ai benefici derivati dalla migrazione di sistemi e applicazioni nel Cloud, in termini di velocità, storage, resilienza, in un contesto di continua riduzione dei prezzi.
La notevole mole di dati a disposizione potrebbe indurre alcune aziende a concentrarsi sulla ricerca di uno scopo per essi, adottando una strategia data-driven e non business-driven. Approccio quest’ultimo che prevede l’identificazione di un quadro strategico, la ricerca di fattori critici di successo, la definizione e misurazione di indicatori e – solo in ultima analisi – la raccolta di dati e informazioni funzionali all’intero processo.
Secondo Thomas Davempor, professore alla Babson University e Jeffrey Camm, professore e associato di business analytics alla Wake Forest University, le aziende stanno prendendo tempo per valutare quali dati siano ancora rilevanti. Il new normal porterà come conseguenza che il passato (le serie storiche dei dati) non sarà più una guida certa per interpretare il futuro. Il mondo della data science si trova ora ad affrontare un problema: come usare la notevole mole di dati esistenti per prevedere il comportamento futuro dei clienti di fronte all’incertezza, e con quali indicatori.
Un algoritmo di machine learning può dirti, ad esempio, quale è la probabilità che una donna manager di 44 anni, madre di famiglia, abbia di acquistare un nuovo servizio della tua azienda, ma non ti dice il perché.
In mancanza di un contesto chiaro, in cui non è possibile applicare modelli predittivi, occorre pensare a organizzazioni snelle, progettate intorno a esperimenti e test, attraverso i quali imparare velocemente e a poco costo, facendo tesoro degli eventuali insuccessi. Qui entrano in scena tool quali business model canvas e value proposition design, di cui andranno testate idee e proposte in essi contenute, mediante un approccio “lean”.
L’utilizzo di questi strumenti richiede il possesso di quelle abilità e competenze trasversali che, nella terminologia inglese, sono definite soft skills. In primis, l’abilità di spaziare in diversi ambiti e settori produttivi, individuando le informazioni utili con senso obiettivo e capacità di sintesi. In secondo luogo, l’abilità di utilizzare la data analytics come strumento di indagine nella ricerca di insights, che a loro volta generino nuove domande su ipotesi e alternative.
Un recente articolo di HBR, “Are You Developing Skills That Won’t Be Automated?” di Stephen M. Kosslyn, sottolinea l’importanza di abilità, quali il pensiero critico, sempre più richieste dai datori di lavoro, e ancora difficili da sviluppare per le macchine.
Un recente studio ha stimato che quasi la metà dei lavori negli USA potrebbe essere automatizzato e sostituito da una macchina nel prossimo decennio. I lavori che probabilmente saranno automatizzati sono quelli ripetitivi, che comportano una routine. Sempre più datori di lavoro stanno cercando candidati in possesso di “soft skills”, quali la capacità di imparare in modo adattivo, di prendere decisioni e di lavorare in team.
La RPA (robotic process automation) prima o poi interesserà anche l’attività di innovazione, generando idee automatiche, basate su serie storiche, ma questa non è innovazione, se con tale termine intendiamo il risultato di un processo che crea valore, e che è partito dalla generazione di un’idea, prerogativa dell’essere umano.
Nel suo libro “The Technology Trap: Capital, Labor, and Power in the Age of Automation”, Carl Benedikt Frey indaga sul rapporto fra lavoro e progresso tecnologico, un aspetto diventato di nuovo cruciale oggi con gli esiti della pandemia. Anche secondo Frey il lavoro umano avrà ancora un futuro originale e decisivo.
Come ci insegnano i CEO di origine indiana di alcune big tech d’oltreoceano, sono proprio alcune soft skills, oltre alla forte propensione all’investimento in formazione professionale, che possono condurre a risultati eccezionali.
Crescere in India, in un ambiente fortemente competitivo, contraddistinto da pesanti inadeguatezze strutturali, equipaggia gli indiani ad essere “manager naturali”, sostiene Gopalakrishnan, ex direttore esecutivo di Tata Sons e co-autore di The Made in India Manager, citando il famoso stratega aziendale indiano C K Prahalad. Sarebbe proprio la competizione e il caos a rendere gli indiani adatti alla soluzione dei problemi.
Tra i CEO di origini indiana più famosi nella Silicon Valley c’è Sundar Pichai, a capo di Alphabet e della sua controllata Google, Parag Agrawal, CEO di Twitter in seguito alle dimissioni di Jack Dorsey, il co -fondatore del social network. Senza scordare, nella West Coast settentrionale, il CEO di Microsoft, Satya Nadella.
Come si legge nel suo libro “Hit Refresh”, il numero uno di Microsoft rivela la propria ossessione nel realizzare prodotti e servizi adatti a creare valore per i clienti, individuando nell’empatia la chiave per per conseguire il risultato.
First, we need to obsess about our customers. At the core of our business must be the curiosity and desire to meet a customer’s unarticulated and unmet needs ….. There is no way to do that unless we absorb with deeper insight and empathy what they need.…..
FONTI
How Covid-19 is disrupting data analytics
HBR: Are you developing skills that won’t be automated?
Parag Agrawal: Why Indian-born CEOs dominate Silicon Valley
Carl Benedickt Frey, (2019), “The Technology Trap: Capital, Labor, and Power in the Age of Automation”, Princeton University Press
Satya Nadella, Greg Shaw, Jill Tracie Nichols and Bill Gates, (2017), “Hit Refresh: The Quest to Rediscover Microsoft’s Soul and Imagine a Better Future for Everyone”, HarperCollins
Gary P. Pisano, (2019), “The DNA of Sustained Innovation”, PublicAffairs New York
Ivan Ortenzi, (2020), Innovation + Management, Franco Angeli