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Il fronte asiatico di Biden, tra Corea del Sud e Taiwan (con altolà cinese)
L’autore di questo post è Guglielmo Gallone, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso la Sapienza – Università di Roma –
La multinazionale sudcoreana Hyundai, terza casa automobilistica più grande al mondo per vendite di veicoli, investirà entro il 2025 oltre 10 miliardi di dollari negli Stati Uniti in robotica, intelligenza artificiale, mobilità aerea urbana e sviluppo della guida autonoma. L’annuncio è arrivato durante la visita del presidente Joe Biden a Seoul presso il neoeletto Yoon Suk-yeol, 61 anni, presidente conservatore dichiaratamente filoamericano. Non solo: Biden e Yoon sono stati accompagnati nel più grande impianto di semiconduttori al mondo, situato nella città di Pyeongtaek, circa 50 chilometri da Seoul, da Jay Y. Lee, vicepresidente di Samsung Electronics.
Economia e geopolitica, multinazionali e governi. Sono queste le novità del viaggio di Joe Biden in Corea del Sud, tenutosi il 21 e 22 maggio scorsi. È vero, i due leader hanno anche annunciato la possibilità di aiutare la Corea del Nord nella lotta al Covid-19 e, allo stesso tempo, di incrementare la cooperazione militare di fronte alle minacce missilistiche di Pyongyang. Quest’ultima non è però una novità: dal 1950 la Corea del Sud ospita circa 28.500 soldati statunitensi a causa della «minaccia nordcoreana». Il progetto di un incremento militare tra i due Paesi va avanti da maggio 2021, quando alla presidenza della Corea del Sud c’era ancora il democratico Moon e, con la revisione della Global Posture Review, si prevedeva di rinnovare le guide strategiche sulla pianificazione di un eventuale conflitto con Pyongyang e rivedere il comando militare combinato. Che dire poi delle dichiarazioni di Yoon dopo la vittoria delle elezioni, in base a cui i rapporti con Washington costituiranno «l’asse centrale» della sua politica estera, così come della sua visita alla guarnigione dell’esercito statunitense Humphreyes, sempre nella città di Pyeongtaek, prima di ogni altra base militare nazionale?
Economia e geopolitica, dunque. A conclusione della sua visita in Corea, Biden è stato accompagnato da Chung Eui-sun, presidente di Hyundai Motor Group, che ha commentato la decisione di costruire un nuovo impianto di produzione di batteria e veicoli elettrici a Savannah, in Georgia. Da una nota della società si legge che l’impianto dovrebbe essere pronto all’inizio del 2023 per poi iniziare la produzione commerciale nella prima metà del 2025. Capacità annuale di produzione di veicoli elettrici: 300 mila. Posti di lavoro: più di 8 mila. Reuters ha rivelato che il fornitore di batterie di Hyundai, la SK on della società SK Innovation, ha costruito due stabilimenti in Georgia: il primo che rifornisce principalmente l’azienda Volkswagen e il secondo la Ford Motor Co.
Ma la cooperazione tra Hyundai e governo statunitense risale addirittura al 2004, quando la società automobilistica sudcoreana e la sua affiliata Kia Motors Corporation offrivano 33 veicoli elettrici a celle a combustibile per una serie di progetti infrastrutturali. Così, un anno dopo, è stato inaugurato il primo impianto Hyundai in territorio americano, a Montgomery, con un progetto di assemblaggio e produzione da 1,4 miliardi di dollari distribuito su 1.600 acri di terreno. Infine, nel 2020, Hyundai e dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti firmavano il programma «Doe Hydrogen and Fuel Cells» con cui l’impresa automobilistica s’impegnava a implementare la collaborazione tecnica e pubblicare dati indipendenti su tecnologie delle celle a combustibile e impianti a idrogeno.
Poi c’è la questione dei semiconduttori. La visita di Yoon e Biden all’impianto di Pyeongtaek non è casuale. Il complesso di produzione di chip è di proprietà della Samsung, è grande quanto 400 campi da calcio, ha due linee di produzione per chip di memoria flash, mentre una terza linea sarà completata quest’anno. Lo scorso novembre, approfittando della carenza globale di semiconduttori, dell’elevato incremento della domanda e dell’incapacità di risposta da parte della produzione, Samsung aveva annunciato l’intenzione di aprire in Texas una fabbrica per produrre chip attraverso un investimento da 17 miliardi di dollari. Secondo l’azienda sudcoreana, il progetto porterebbe 3000 posti di lavoro nell’alta tecnologia.
Ma in Corea del Sud è anche e soprattutto il governo a premere sulla produzione globale di semiconduttori. Nel maggio 2021 è stata annunciata la K-Semiconductor Belt Strategy, cioè la catena di approvvigionamento di semiconduttori più estesa al mondo. Materiali, componenti, attrezzature e imballaggi si muoveranno in una zona a forma di K, che collegherà Yongin con Hwaseong, Pyeongtaek, Onyang a ovest e Cheongju a est. Valore complessivo: 452 miliardi di dollari. Nuovi posti di lavoro stimati in dieci anni: 36 mila.
Gli Stati Uniti sono sempre più convinti che sostenere l’economia di Seoul significhi promuovere progetti geopolitici nell’Oceano Pacifico in chiave anticinese. E ne sono ancor più convinti perché consapevoli di tre dati diffusi dalla Semiconductor Industry Association. Nel primo trimestre del 2022, rispetto allo stesso periodo del 2021, le vendite globali di chip per computer hanno raggiunto i 151,7 miliardi di dollari, crescendo così del 23%. Tuttavia, oltre il 75% della produzione globale di chip proviene dall’Asia. In termini di produzione, la Cina guida il pacchetto globale con una quota del 24%, seguita da Taiwan (21%), Corea del Sud (19%) e Giappone (13%). Solo il 10% dei chip è prodotto negli Stati Uniti. Infine, c’è un dato interno agli Stati Uniti stessi: lavoro e tecnologia portano consenso politico, fondamentale quanto mai per Biden, i cui consensi sono calati al 39%. Non a caso, il leader di Washington ha menzionato fieramente, proprio a Seoul, l’indagine di Bloomberg secondo cui «per la prima volta dal 1976, l’economia degli Stati Uniti potrebbe crescere di più di quella cinese nel 2022».
Ecco, dunque, perché nel comunicato congiunto di Biden e Yoon non viene menzionata solo la «necessità di rafforzare l’alleanza tra Stati Uniti e Repubblica di Corea nella penisola coreana», ma anche l’obiettivo di «preservare pace e stabilità nello stretto di Taiwan». La Cina ne è consapevole. E non ha esitato a definire queste iniziative il risultato di «un aumento della pressione di Washington verso i suoi alleati in Asia – si legge in un editoriale del Global Times, il quotidiano in lingua inglese del Partito Comunista Cinese – ciò può consentire all’isola di Taiwan di diventare ancora più disposta a essere una pedina per gli Stati Uniti per contenere la Cina continentale. La più grande preoccupazione della Corea del Sud non è come mantenere la pace e la stabilità dello Stretto di Taiwan, né come contenere l’ascesa della Cina, ma la questione della penisola coreana». Infine, l’avvertimento del Dragone Rosso: «Se la Corea del Sud crea problemi sulla questione di Taiwan, sarà sicuramente lei stessa a pagarne il prezzo».