categoria: Vicolo corto
Guerra e nuovo ordine monetario: l’equilibrio deve prevalere sulla verità
Nella lingua latina, esiste un verbo di cui i sistemi economici, in specie quelli contemporanei e che hanno seguito l’esempio statunitense del 1971, si sono voracemente appropriati: si tratta di fio, il cui paradigma completo si esplica in fio, fis, factus sum, fieri. In pratica, è un semideponente, per quanto quest’ultima informazione giovi poco al senso di questo articolo. Per semplificare le cose, diciamo che il paradigma è una sorta di codice fiscale di un verbo; attraverso di esso, infatti, siamo in grado di ottenere i temi necessari alla coniugazione. Qui, non abbiamo di certo intenzione di coniugarlo. Ma, se ne osserviamo l’infinito, fieri, non facciamo fatica a notare qualcosa di familiare. Anche coloro che non hanno studiato latino conoscono la locuzione in fieri, che possiamo rendere con “non ancora compiuto”, “in corso di lavorazione”, “in divenire” et cetera. C’è di più, ossia una voce verbale su cui si regge il nostro intero sistema monetario: ed è la terza persona del presente congiuntivo di fio: fiat. La nostra moneta, a corso legale, è, per l’appunto, moneta fiat, una moneta il cui valore dipende non già da una copertura di materie prime, come, per esempio, l’oro, né possiede un valore intrinseco, bensì dallo Stato che la emette. Non a caso, il suo uso è considerato fiduciario. In latino, fiat si traduce esattamente con “sia fatto” (anche con “diventi”) e, in questa forma, sembra già avere qualcosa di prodigioso.
Dunque, in principio, era il verbo e, riformulando il vangelo di Giovanni, col dovuto rispetto all’evangelista, e il verbo era ed è presso le banche centrali. La semantica e la pragmatica del fiat, infatti, si esplicitano nel controllo dell’emissione di denaro proprio da parte delle banche centrali. Giusto o sbagliato che sia, è un fatto. Si facciano avanti sostenitori e oppositori! La questione, per il momento, è un’altra; e si chiama guerra, una guerra in cui una superpotenza come la Russia è protagonista e una superpotenza come la Cina è sua alleata.
A tal proposito, i redattori di Credit Suisse, in un report recentissimo, non hanno voluto rinunciare alle provocazioni: non hanno messo per iscritto chiaramente l’ipotesi di un nuovo ordine monetario mondiale, ma lo hanno lasciato intendere. E qualcuno ne ha approfittato per trasformare l’ipotesi in analisi di scenario bell’e compiuta, quand’anche nel documento non se ne trovi traccia. La frase che ha guadagnato immediatamente l’attenzione dei più è stata la seguente: “You can print money, but not oil to heat or wheat to eat”. La dichiarazione, sulle prime, non appare compromettente; anzi, contiene delle informazioni che tutti – chi più, chi meno – possediamo. Andando oltre la sequenza dei significati superficiali, però, scopriamo facilmente un rinvio a qualcos’altro, una dialettica profonda tra gli elementi della frase e ciò che nella frase stessa non è presente.
Proviamo a fare uno sforzo di classificazione logica:
- La maggior parte delle valute al mondo, oggi, non è ancorata alle materie prime.
- Il 41% delle importazioni europee di gas e il 10% della produzione mondiale di petrolio provengono dalla Russia.
- La Cina detiene la metà delle riserve mondiali di grano.
- La Cina sta accumulando materie prime.
- Le banche russe, a giugno, aumenteranno le proprie riserve aurifere.
- La Russia è anche uno dei massimi esportatori di rame, palladio, nichel et cetera.
- Le valute dei paesi in cui abbondano le materie prime si stanno apprezzando in modo considerevole.
Secondo alcuni, questi sette punti in elenco sarebbero sufficienti per affermare che Putin, di fatto, ha già sganciato la bomba atomica, una bomba atomico-finanziaria, naturalmente. Secondo altri, i quali offrirebbero il rovesciamento della medaglia, le sanzioni costituiscono un autentico suicidio dell’Occidente. In effetti, a ben vedere o a leggere il documento dell’istituto svizzero, le sanzioni non parrebbero un colpo di genio: non possiamo riscaldarci con la moneta né mangiare moneta. Ma andiamo ancora oltre! Il problema, molto probabilmente, non è questo.
E qui vogliamo sfruttare al meglio, sempre nei limiti delle nostre capacità, gli strumenti dell’analisi linguistica.
In primo luogo, esaminando il punto 7 e lasciando scorrere gli aggiornamenti finanziari, è ormai noto ai più che il rend sudafricano, cioè la valuta di un paese che possiede oro, platino, ferro, argento, uranio e legname, ha guadagnato addirittura l’8,6%, mentre il real brasiliano, in relazione a rame, bauxite, stagno, acciaio, gomma naturale e stagno, l’11%. D’ora in avanti, in sostanza, nell’analizzare l’informazione, si dovrà badare più alla referenza extralinguistica, al contesto, per così dire, che alle parole stesse. Secondo Credite Suisse, rubli, oro e materie prime continueranno a crescere. Di qui, prestigiatori e interpreti bulimici si sono affrettati a dire che questa crescita sarà talmente schiacciante da mettere in crisi euro e dollaro. Credit Suisse – questo – non l’ha detto. Certo, se due superpotenze si unissero nel concepire un eventuale sistema di copertura e ancoraggio della moneta, i mercati finanziari occidentali subirebbero un tale contraccolpo che le conseguenze, oggi, non sono neppure immaginabili. Basterebbe il solito fiat – si fa per dire – dei banchieri centrali in direzione del rialzo dei tassi per contrastare l’inflazione? Nient’affatto. Ci vuole poco a capirlo.
Secondo il Tesoro statunitense, gli ‘stranieri’ possiedono più di 32.000 miliardi di dollari in titoli e asset finanziari a breve termine. Che cosa accadrebbe, se l’equilibrio cambiasse improvvisamente, cioè se una presunta alleanza orientale sancisse la convertibilità della propria moneta in una materia prima di copertura?
Qui, ci fermiamo: non per fare un passo indietro, ma per rielaborare quanto abbiamo letto o, diversamente, per mettere in discussione il contenuto di certe letture. È risaputo che, oggi, le guerre non si svolgono in trincea, ma prevalentemente secondo protocolli e strategie d’informazione, a tal punto che informazione e disinformazione diventano paradossalmente sinonimi. Se c’è un motivo per cui i ‘consumatori’ occidentali possono sentirsi al sicuro da uno scenario come quello descritto dagl’interpreti del documento di Credit Suisse, questo motivo è da trovarsi proprio nel fatto che un istituto così prestigioso avrebbe previsto e reso pubblico tale scenario: si tratta della migliore tra le garanzie possibili in un contesto di guerra. Qualcuno potrebbe chiedersi perché lo scrivente appaia così spregiudicato, risoluto e asseverativo. La risposta, in parte, è semplice; in parte, è molto complessa e rientra nell’analisi dei sistemi informativi. In soldoni, se un colosso come Credit Suisse ci dicesse “la moneta fiat crollerà a causa della guerra”, allora potremmo dormire tranquilli perché la moneta fiat non crollerebbe.
Attenzione! Precisazione doverosa: nessuno sta mettendo in dubbio la qualità del lavoro degli analisti di Credit Suisse. L’esatto contrario! Si sta facendo un ragionamento su coloro che hanno visto in questa ricerca un presupposto del declino dell’Occidente.
In primo luogo, pur volendo rispettare l’autorevolezza e l’onestà intellettuale degli autori di un qualsivoglia istituto di ricerca, le informazioni, in specie quelle asimmetriche, hanno un valore che talora è inestimabile; di conseguenza, nessuno le condividerebbe volentieri. In secondo luogo, gli apparati di sicurezza di ogni paese, soprattutto quelli delle superpotenze, adottano metodi di differimento dell’informazione talmente sofisticati che occorrerebbero parecchie triangolazioni tra le fonti per ricostruire una notizia sul piano dell’OSINT (Open Source Intelligence). In alcune circostanze, un servizio di sicurezza può far pervenire la notizia autentica, ma sapientemente modificata, a una fonte ritenuta poco attendibile per poi vendere quella falsa sotto forma di versione ufficiale, in modo che il discredito a scapito della notizia autentica sia superiore che in qualsiasi altro caso, grazie all’effetto che si scatena nei social network. E questo, naturalmente, è solo un esempio tra i numerosi che si possono fare. Ma pensare, come stanno facendo molti in queste ore, che una dichiarazione, quale che sia, possa diventare una sentenza circa le sorti del nuovo ordine economico mondiale è proprio da sempliciotti e creduloni.
Le lingue di settore e, in particolare, quelle dei periodi di guerra, hanno delle caratteristiche precise: bisogna studiarle in modo sistemico e senza affidarsi alle deduzioni facili.
In parole povere, gli addetti stampa di Kennedy, nei primi anni Sessanta, non avrebbero mica potuto dichiarare che il presidente era troppo impegnato in politica estera a contrastare i sovietici per potersi occupare adeguatamente dei diritti civili e dei segregazionisti. Allo stesso modo, i colleghi al soldo di Chruscev non avrebbero mai potuto dichiarare pubblicamente il fallimento dei piani quinquennali o delle riforme agrarie. Di conseguenza, le notizie diramate erano sempre più o meno confortanti. Tra le altre cose, nel dire “confortanti”, qui, si applica una drastica ed ingenerosa riduzione delle questioni che riguardano quel periodo storico. Ciò che si configura, sulle prime, come un occultamento della verità altro non è che una variante della necessità e del dovere di mantenere l’equilibrio. Giusta o sbagliata che fosse, l’Operazione Mongoose, voluta dalla CIA contro Fidel Castro, all’epoca sostenuto dall’Unione Sovietica, era sottoposta ai criteri della massima sicurezza, come lo era la propaggine italiana di Stay-behind, Gladio, venuta alla luce nei primi anni Novanta perché non c’era più ragione di nasconderla. Ora, tutte le volte in cui l’opinione pubblica chiede a un governo di rivelare ciò che per natura non può essere rivelato e, così facendo, s’avviano, a poco a poco, inchieste giornalistiche e processi, la menzogna viene potenziata e legittimata.
Di fatto, in una democrazia contemporanea, il popolo avrebbe il sacro e irrinunciabile dovere d’indottrinarsi almeno un po’ su ciò che accade, ma, poiché è evidente che non si verifica alcun fenomeno di acculturamento politico, fuorché di rimando, il governante deve agire per compensazione, senza sollecitare il senso di scandalo e facendo prevalere l’equilibrio sulla verità.
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