categoria: Res Publica
Italia, momento critico. Le mosse da azzeccare e i libri da buttare
Nei prossimi due anni il ripristino degli equilibri mondiali verrà ostacolato da una crescita fragile, a rischio recessione. Troppe le difficoltà per poter incrociare le dita, chiudere gli occhi e sperare di farcela.
Ordine globale da ridisegnare. Lo scenario geopolitico è come un piatto della tradizione nelle mani di uno chef: scomposto da lasciare perplessi, conto (caro) in arrivo. Quando i carri armati russi hanno attraversato il confine ucraino è finita la Pax Americana. La guerra ha certificato una metamorfosi in atto da un decennio[i], le cui parole d’ordine sono ‘frammentazione’ e ‘competizione’. Si è aperta un’epoca nuova[ii], in cui la democrazia liberale – da tempo in crisi – traballerà sotto i colpi polarizzanti dell’autocrazia, e l’impero si riproporrà come alternativa socioeconomica allo stato nazione[iii].
Economia mondiale indebolita. Nuove ondate di protezionismo e nazionalismo fiaccheranno la globalizzazione. Le sanzioni ridurranno il commercio internazionale. I consumi soffriranno: l’inflazione[iv] eroderà il potere d’acquisto delle famiglie. Stagflazione e incertezza freneranno gli investimenti. Le politiche economiche, di bilancio e monetaria – capaci di sostenere la domanda durante la pandemia – faticheranno[v] a coordinarsi. La crescita rallenterà, aumentando le probabilità di una recessione.
Europa meno rilevante, Italia ancor meno. Il declino geopolitico dell’Unione Europea (Ue)[vi] verrà accelerato dalla riduzione del suo contributo all’economia globale – soprattutto rispetto a Stati Uniti e Cina. Inevitabilmente, l’Italia uscirà dalla ‘top ten’ dei paesi ad alto Pil nominale, scendendo[vii] dall’ottavo posto nel 2022 al tredicesimo nel 2036.
È necessario cambiare marcia. Il contesto – più che in evoluzione – è in ‘rivoluzione’[viii]. Nei nuovi equilibri globali, i rapporti di forza conteranno più dei vecchi accordi. Gli Stati nazionali verranno confinati a ruoli più marginali; le medie potenze soffriranno le ripercussioni di scelte non loro. Se è vero che il carattere emerge quando la posta in gioco è alta, l’Italia deve essere capace di posizionarsi. Nel panorama geopolitico, deve saper al contempo coltivare il progetto europeo e relazioni bilaterali strategiche. In campo economico deve puntare sulla crescita, grazie alle riforme del ‘Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza’ (Pnrr o Recovery and Resilience Plan)[ix].
Purtroppo, nulla cambierà nel Bel Paese. A livello geopolitico, l’Italia rinuncerà a un ruolo di primo piano. Per il resto, è penoso tornare su cose scritte cinque anni fa: il circolo vizioso “stagnazione economica, governo debole, mancanza di riforme, alto debito” rimane lo scenario più probabile.
Il Pnrr non inciderà: poche riforme, poche risorse. Per tradurre le risorse del Pnrr in investimenti efficaci è necessario avviare un (noto) percorso di riforme strutturali. Pur obbligata dall’Europa, l’Italia non sarà in grado di farlo, e il Pnrr rimarrà sulla carta. Sinora governo e parlamento hanno adottato i provvedimenti e gli atti legislativi più facili[x]. Ben presto, la crisi provocata dalla guerra diventerà pretesto di rinvio[xi] delle decisioni più difficili. Il ‘conflitto esterno’ verrà usato come scusa per evitare il ‘conflitto interno’ che le riforme comportano – e per mantenere lo status quo. Arriveranno meno risorse rispetto alle attese.
Risultato: irrilevanza e ‘accettazione di fatto’ di un ruolo periferico. Per l’Italia, nel trasformato sistema internazionale, la collocazione odierna comporta rischi concreti di arretramento. A livello globale, i giochi li faranno Stati Uniti e Cina. In Europa, Germania[xii] e Francia. L’Italia rischia di non sedersi neppure al tavolo. La storia recente è già cronaca di una leadership perduta; in assenza di uno scatto d’orgoglio, il trend sembra ineludibile.
L’Italia deve capire il contesto per migliorare il proprio posizionamento … A livello internazionale, solo visione, strategia e leadership possono creare i presupposti per riavviare l’economia e ripensare la democrazia, coniugandola con la globalizzazione. È interesse dell’Italia che l’Ue diventi un leader globale, ridefinendo il proprio rapporto con gli Stati Uniti e la Cina, ma anche con la Russia e con il Regno Unito post-Brexit. La vulnerabilità della collocazione geografica[xiii] della Penisola va trasformata in un ‘atout geopolitico’, che consenta al governo di gestire i propri interessi strategici[xiv], mantenendo indipendenza e influenza.
… e costruire il proprio futuro. A livello nazionale, l’Italia deve definire le proprie priorità e assumersi maggiori responsabilità[xv]. Oltre ad adottare le riforme del Pnrr, nei prossimi due anni il governo deve: 1) risolvere l’odierna incompatibilità tra le politiche energetiche e quelle di sicurezza, riducendo la dipendenza energetica (fra le più alte in Europa e freno allo sviluppo[xvi]); e 2) attrarre investimenti migliorando la competitività, per aumentare la crescita potenziale di lungo periodo.
Nel caos che distrae, bisogna fermare il pensiero sull’essenziale. Continuare a fare ‘ciò che si è sempre fatto’ non conviene; vivere di rendita, aggrappati al passato, sarebbe un lento suicidio[xvii], perché nel frattempo i rischi aumentano e l’economia viene esposta a potenziali shock avversi[xviii]. Se elevata a sistema, la mentalità dell’“io speriamo che me la cavo” porterà al naufragio o all’irrilevanza – che è lo stesso.
Twitter @AMagnoliBocchi
Linkedin Alessandro Magnoli Bocchi
NOTE
[i] Il dominio dell’Occidente è minato da invecchiamento della popolazione, mancanza di materie prime, politiche energetiche incompatibili con quelle di sicurezza, flussi finanziari e migratori mal ponderati.
[ii] Due libri possono essere buttati senza rimorsi: 1) “La fine della storia e l’ultimo uomo” di Francis Fukuyama, secondo cui il processo di evoluzione dell’umanità avrebbe raggiunto il suo apice irreversibile con la caduta del muro di Berlino e l’avvento della democrazia liberale; e 2) “Il mondo è piatto. Breve Storia del Ventunesimo Secolo” di Thomas Lauren Friedman, in cui l’autore descrive la globalizzazione come un fenomeno evolutivo che comporta l’inarrestabile appiattimento del mondo.
[iii] Arrivano alla stessa conclusione autori di diversa estrazione ideologica, quali: 1) Niall Ferguson (“Empire: How Britain Made the Modern World”, London: Allen Lane, 2003); e 2) Michael Hardt e Antonio Negri (“Empire”. Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 2000).
[iv] Uno shock dell’offerta ha causato l’accelerazione dei prezzi delle materie prime, su tutte energia e cereali. Il valore del petrolio (Wti e Brent) si è attestato al sopra dei 100 dollari al barile, il livello più alto dal 2008 – mentre il gas è volato al massimo storico di 225 euro. Il prezzo del grano e del mais hanno stabilito nuovi record sui mercati europei, rispettivamente a 351,25 e 340 euro per tonnellata. Non finirà presto: Russia e Ucraina sono il primo e il quinto esportatore mondiale di grano; insieme rappresentano un terzo delle esportazioni mondiali. L’Ucraina è il terzo produttore al mondo di frumento e, assieme alla Russia, arriva a un quarto della produzione mondiale.
[v] La politica fiscale ha le mani legate: al debito pubblico della ‘lotta al Covid’ si aggiungeranno: 1) spese energetiche e militari inaspettate; e 2) la necessità di ridurre la pressione fiscale (i.e. l’Irpef) sulle classi di reddito medio basse. La politica monetaria ha spazi di manovra assai ridotti: se aumenta i tassi riduce la crescita e se non li aumenta spinge l’inflazione.
[vi] Ad oggi, nell’Unione europea vive il 6 per cento della popolazione mondiale, si produce il 22 per cento del prodotto interno lordo (Pil) globale e l’euro – la valuta di 19 dei 28 paesi dell’Ue – è il secondo mezzo di pagamento negli scambi planetari.
[vii] Il Pil pro capite è ridisceso ai valori del 1995. Gli ultimi dati confermano che la stagnazione è dovuta a rigidità strutturali: 1) l’invecchiamento della popolazione riduce i consumi; 2) alti livelli di debito – pubblico e privato – limitano gli investimenti e la crescita della produttività; e 3) innovazione e competitività sono al di sotto della media europea.
[viii] Trattati e confini ignorati, violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, ritorno della minaccia nucleare.
[ix] L’Italia sarà il principale beneficiario dei fondi europei per un totale di 191,5 miliardi di euro, tra risorse a fondo perduto e prestiti a tasso agevolato. Da qui al 2026, per ottenere i fondi (suddivisi in 10 rate), l’Italia dovrà realizzare 520 obiettivi. Quasi un terzo (154 su 520) degli obiettivi sono riforme, tra cui 59 leggi. I 51 obiettivi sinora conseguiti sono ‘di facile attuazione‘ e hanno permesso la richiesta di pagamento della prima rata (24,1 miliardi di euro, di cui 11,5 in sovvenzioni e 12,6 in prestiti) alla Commissione Europea. Nel 2022, per assicurarsi seconda e terza rata dei fondi (in tutto 40 miliardi) il gioco si farà duro: le riforme da approvare sono 66 (23 con atti legislativi e 43 con atti normativi secondari, concentrati per lo più nel secondo trimestre del 2022) e gli obiettivi da raggiungere 102 (47 nel primo semestre e 55 nel secondo). Per esempio, entro: 1) il 30 giugno 2022 sono previste la riforma del ‘Codice degli Appalti pubblici’ (tramite approvazione della legge delega) e la riforma della ‘Carriera degli insegnanti’; 2) il 31 dicembre è prevista l’adozione della ‘Legge annuale sulla concorrenza’, con provvedimenti nei campi: i) delle reti di telecomunicazione; ii) delle reti di distribuzione dell’energia elettrica e del gas naturale; iii) della gestione dei porti; e iv) delle concessioni autostradali.
[x] L’ultima relazione dal Parlamento sullo ‘stato di attuazione’ (del dicembre 2021 – Tabella 2, pagina 49) parla chiaro: sinora ci si è concentrati su “piani operativi e di riorganizzazione, assunzione degli esperti, decreti interministeriali, entrata in vigore di linee guida, legislazione attuativa, modifiche legislative, norme”. Se è andata bene è stata fatta una riforma del quadro giuridico (condizione necessaria ma non sufficiente). La parte difficile – quella in cui vanno fatte le scelte ingrate – deve ancora venire.
[xi] Va ammesso: il quadro economico e politico cui il Pnrr si riferisce è cambiato a causa di variabili esogene: la guerra in Ucraina, la crisi energetica, i costi delle materie prime. Tuttavia, la prima fase di attuazione del Pnrr ha già mostrato criticità evidenti: incapacità delle amministrazioni locali (soprattutto al Sud), necessità di dotare i comuni di risorse professionali esterne (per esempio, per essere in grado di partecipare ai bandi), ritardi di molti progetti, costi più alti. Gli iter burocratico-legislativi rimangono troppo lunghi: per esempio, per la ‘Riforma del pubblico impiego’ (DL n. 80/2021), prima deve “entrare in vigore la legislazione attuativa” (2021), poi devono essere “adottati i provvedimenti attuativi e organizzativi conseguenti” (2022). Lo stesso vale per gli altri settori chiave: lavoro, giustizia, turismo, salute, transizione ecologica.
[xii] In assenza di riforme, la progressiva condivisione dei rischi a livello europeo – attraverso meccanismi quali (o simili a) gli Eurobonds, l’unione bancaria e lo schema unico di assicurazione dei depositi – rafforzerà Germania e Francia. Il processo sarà lento e implicito: per esempio, la Germania accetterà la mutualizzazione senza dichiararlo esplicitamente, e i soldi tedeschi arriveranno in cambio di un consolidamento della leadership di Berlino.
[xiii] L’area compresa tra Mediterraneo occidentale (Marocco, Algeria, Libia), confini sud-orientali dell’Unione Europea (Turchia, Ucraina, Georgia) e Golfo (Arabia Saudita, Iran) è tanto fragile quanto strategica per: 1) la sicurezza energetica; 2) il controllo dei flussi migratori; 3) la lotta al terrorismo; e 4) la gestione delle crisi.
[xiv] Per esempio, promuovere (con strumenti multi e bilaterali) sicurezza, diritti umani e sviluppo economico.
[xv] Sono necessarie una visione di lungo periodo delle scelte chiave, la volontà politica di attuarle in tempi rapidi e la decisione di dotarsi delle risorse umane adeguate. Per sviluppare il paese e garantire coesione non è sufficiente rivendicare diritti, ci vogliono i doveri. I valori prevalenti – egalitari e comunitari – vanno integrati con valori altrettanto importanti: l’etica del lavoro, il merito, il civismo e la responsabilità sociale. Quasi fosse una nuova religione, bisogna iniziare a premiare chi crea valore aggiunto, assumendosi le responsabilità richieste dal proprio ruolo nella collettività.
[xvi] La dipendenza energetica dell’Italia è fra le più alte d’Europa. Nel 2021, il 77 per cento del fabbisogno è stato soddisfatto da importazioni di combustibili fossili (gas, petrolio e carbone) e solo il 23 per cento da fonti energetiche nazionali (principalmente rinnovabili). Per soddisfare il proprio consumo di combustibili fossili (di cui solo il 5 per cento è coperto da produzione nazionale), l’Italia dipende dalla Russia (25 per cento del consumo), Algeria (15 per cento), Azerbaijan (13 per cento) e Libia (9 per cento). Rispetto alla media europea, l’Italia – che non impiega energia nucleare – presenta un maggiore consumo di gas (39 per cento del totale), petrolio (35 per cento) e di fonti rinnovabili (19 per cento) ma un minor consumo di carbone (5 per cento).
[xvii] Il vivere di rendita comporta Disneyzzazione. Commercializzare vestigia di uno splendore costruito da antenati più laboriosi è strategia miope. Se il capitale è la bellezza (anche svuotata d’identità) e la propensione al rischio rimane minima, verranno privilegiati i “buoni guadagni senza troppi sforzi”: paesaggio, cultura e tradizioni verranno venduti al turismo di massa. Tuttavia, “vendere” gloria passata – senza investire per costruirne di nuova – rischia di far diventare l’Italia una Disneyland delle classi medie dei paesi emergenti, i cui flussi sono in continua crescita.
[xviii] Conflitti e tensioni geopolitiche, deglobalizzazione, turbolenze sui mercati finanziari, erosione dei diritti, possibili crisi sociali, inquinamento di aria e acqua e degrado ambientale richiedono nuove politiche economiche. Dovesse la politica monetaria della Banca Centrale Europea (Bce) diventare restrittiva, la stabilità finanziaria del Paese potrebbe essere a rischio.