Crisi d’impresa, ecco il Piano di ristrutturazione omologato: come funziona?

scritto da il 01 Aprile 2022

Hanno collaborato alla stesura di questo post Paolo Rusconi e Mattia Maggioni, avvocati presso K&L Gates

Prosegue senza sosta il lavoro del legislatore su quel grande cantiere che è la riforma complessiva della disciplina italiana della crisi d’impresa e dell’insolvenza: la convergenza verso la Direttiva Europea Insolvency determina continue modificazioni dell’impianto del nuovo Codice come uscito dai lavori della Commissione Rordorf e varato con il DL 14/2019.

Come si ricorderà, anche per il clamore suscitato presso gli addetti ai lavori, uno dei punti centrali della riforma furono le famose – alcuni direbbero famigerate – “procedure di allerta”, insieme all’abbandono, prettamente lessicale, ma significativo, del termine “fallimento” verso un meno connotato “liquidazione giudiziale” (oltre che alcune facilitazioni in termini proposizione del concordato preventivo).

Successivamente, un ulteriore rilevante passo è stato fatto con l’introduzione di un nuovo strumento, la “composizione negoziata della crisi“, messo a punto da una commissione guidata da Ilaria Pagni e varato lo scorso agosto, mentre oggi un nuovo schema di decreto uscito dall’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia (e quindi passibile di modificazioni in Commissione ed in Aula) ipotizza ulteriori variazioni del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, introducendo altri aggiustamenti.

Fra questi ultimi vi è uno strumento ulteriore a disposizione di imprenditori, manager e consulenti per gestire quella che spesso abbiamo chiamato la “malattia dell’impresa”, vale a dire la sua crisi, cui purtroppo può seguire, se non gestita correttamente, la sua morte (cioè la liquidazione e la fine della stessa sotto il controllo di un Tribunale): si tratta del Piano di Ristrutturazione Omologato (P.R.O.).

Ma prima di entrare nel merito di questa nuova interessante possibilità, è il caso di ricordare che la ratio di questa e di altre norme che hanno caratterizzato l’intervento legislativo negli ultimi anni è riconducibile a nostro parere a due concetti fondamentali:

1)l’emersione anticipata dei focolai di crisi e la necessità, quindi, di avere un assetto organizzativo ed un sistema di controlli atti a identificare ed a gestire anticipatamente fenomeni di squilibrio finanziario;

2)la tutela del patrimonio aziendale, del suo avviamento e della possibilità di proseguire in continuità le operazioni dell’azienda come asset prioritario da proteggere: una ricchezza da preservare con priorità massima, anche a scapito, come vedremo, di altri principi cardine della gestione del concorso dei creditori e della loro par condicio, propria delle procedure concorsuali.

foto di Dmitry Gladkov su Unsplash

foto di Dmitry Gladkov su Unsplash

Questi concetti, che si sono fatti strada negli ultimi dieci anni con molti strumenti (come i piani attestati, il concordato in bianco, il concordato in continuità) sono stati corroborati e rinforzati dalle più recenti novità legislative: dalla previsione di un assetto organizzativo adeguato, alle stesse procedure di allerta, che sono state molto criticate proprio per la loro funzione di “signalling”, forse troppo accentuata, tanto da far temere l’effetto stigma sulle imprese che fossero state oggetto di segnalazione.

La recente procedura di composizione negoziata della crisi (ne abbiamo già parlato qui) è anch’essa senza dubbio fra gli strumenti che consentono di raggiungere i due obiettivi sopra citati, così come lo è il Piano di Ristrutturazione Omologato (P.R.O.), previsto dall’articolo 16 dello schema di Decreto correttivo, che introduce l’articolo 64-bis del Codice della Crisi e dell’Insolvenza.

Il contesto a cui ci riferiamo è quello di un’impresa che abbia uno squilibrio di carattere finanziario, un concetto che torna spesso nelle previsioni normative riferibili a queste fattispecie: non è qui il caso di tornare sulla primaria necessità, per imprenditori e manager, di comprendere prima di tutto la natura di questi squilibri, la loro causa di fondo, ma è chiaro che ci si sta riferendo a quei famosi “sintomi” di una malattia, che, se trascurati, possono aggravare le condizioni dell’azienda e portarla a fallire.

Il P.R.O. è quindi, innanzitutto, un piano di riequilibrio, di cura di questi sintomi: il legislatore parla di un’azienda che sia in stato “di crisi o di insolvenza” e, come sempre in questi casi, anche il P.R.O. introduce la necessità di adottare un piano, una manovra finanziaria, che normalmente prevede vari provvedimenti, quali il riscadenziamento di debiti finanziari, la negoziazione di condizioni migliori con i fornitori, o talvolta lo stralcio di posizioni debitorie saldando una quota percentuale delle stesse; spesso, per fare questo, sono necessarie nuove risorse finanziarie, che possono essere richieste agli Istituti di credito o a operatori di Private Debt (è la cosiddetta “nuova finanza”), eventualmente a fronte di nuove immissioni di Equity da parte degli azionisti.

Ebbene, il PRO prevede che di questo piano, con le azioni ed i provvedimenti che introduce, possa essere chiesta l’omologazione dal Tribunale anche non rispettando i criteri della par condicio creditorum (il riferimento è alla deroga degli articoli 2740-41 cod. civ.), cioè di fatto potendo trattare in maniera diversa crediti della stessa natura, od un maniera uguale crediti che hanno gradi di privilegio diversi.

Il tutto alle seguenti condizioni:

a)l’asseverazione di un terzo indipendente: ormai un’attestazione di questo genere da parte di un professionista abilitato è la norma in questi casi e ci si riferisce (i)sia al tema della veridicità dei dati contabili di partenza che (ii)all’adeguatezza del Piano a garantire ragionevolmente il riequilibrio finanziario dell’impresa;

b)la corretta formazione delle classi e l’ottenimento dell’accordo dei creditori in ogni classe;

c)il pagamento dei lavoratori, che hanno grado di privilegio elevato (unica “deroga alla deroga”, se così possiamo dire) entro 30 giorni dall’omologa, che di fatto “blinda” il credito dei dipendenti anche di fronte a eventuali riscadenziamenti o falcidie di altre classi.

Il P.R.O. ha il vantaggio, similmente al piano attestato ex art. 182.bis della vecchia legge fallimentare, di mantenere la gestione in capo all’imprenditore e di non essere una procedura concorsuale, che prevedrebbe la necessitò di formare uno stato passivo alla data dell’apertura della procedura, ma ha un ulteriore margine di manovra dato dalla possibilità di derogare alla par condicio fra i creditori: per fare esempi concreti, per il tramite della divisione in classi omogenee, l’impresa potrebbe promettere a taluni creditori (ad esempio i fornitori non strategici) di essere pagati in tempi rapidi, mentre a quelli strategici – cui ovviamente si potrà garantire il proseguimento delle forniture – possono essere offerte condizioni diverse, compatibili con il riequilibrio della situazione.

Similmente, alle banche potranno essere offerti trattamenti differenziati, mentre a taluni creditori privilegiati ad esempio alle stesse banche per l’indebitamento “senior” o ai professionisti (ma non ai lavoratori, né, riteniamo, all’Erario), potranno essere proposte condizioni di pagamento che non tengano conto del loro grado di privilegio.

La condizione di tutto questo? Che i creditori, raccolti in classi, siano d’accordo (in ogni classe): una condizione forte, e ovviamente doverosa, che può dare all’imprenditore ed ai suoi consulenti la possibilità di negoziare al meglio e, in un certo qual modo, di “giocarsi le proprie carte” al tavolo con coloro che sempre determinano la sorte – nel bene e nel male – dell’impresa in crisi: i suoi creditori.

Ultime annotazioni che ci paiono significative: l’omologa del Tribunale, a differenza del 182-bis, comporta la nomina di un commissario giudiziale che sorvegli la gestione, che può continuare in capo agli amministratori dell’impresa sia nell’ordinaria che nella straordinaria amministrazione. Un’altra circostanza che ci pare molto significativa, che, di nuovo, differenzia il P.R.O. dal 182-bis (che aveva la fattispecie dei “creditori estranei all’accordo”, da saldare entro 120 giorni): il creditore che si opponga non determina l’impossibilità di omologa da parte del Tribunale, che può omologare ugualmente a condizione che consideri conveniente per il creditore la proposta, dove la convenienza si valuta in rapporto alla procedura di liquidazione giudiziale, ovvero il vecchio “fallimento”. E’ chiaro qui l’intendimento del legislatore: se un creditore si oppone, ciò non deve precludere l’omologazione di un piano di risanamento che consenta a quel creditore di essere soddisfatto almeno quanto accadrebbe nel caso di liquidazione dell’azienda sotto il pieno controllo del Tribunale ad opera di un Curatore, circostanza questa normalmente soddisfatta, in quanto appare evidente che la liquidazione giudiziale, nella stragrande maggioranza dei casi, fornisca ristori ai creditori inferiori rispetto a quelli garantiti da un piano in continuità.

Un ultimo riferimento necessario è alle c.d. “misure protettive”, di cui si è parlato in sede di commento dello strumento di composizione negoziata della crisi: spesso i creditori iniziano azioni esecutive sul patrimonio aziendale, e questo mette in difficoltà l’imprenditore che stia cercando un faticoso riequilibrio della sua situazione; anche nel caso del P.R.O., con un’istanza al Tribunale il debitore può ottenere che i creditori non possano “iniziare o proseguire” azioni esecutive, né chiedere il fallimento dell’impresa; si tratta di una protezione molto forte, ed estremamente utile al fine di poter procedere in maniera ordinata alle trattative con i creditori, senza che alcuni di essi possano utilizzare azioni già iniziate, o la minaccia di nuove, per ottenere posizioni negoziali vantaggiose, quanto – talvolta – esiziali, per il prosieguo del risanamento; è quindi molto opportuno che il legislatore lasci questa opportunità anche nel caso di utilizzo del P.R.O.

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La cassetta degli attrezzi di noi consulenti e manager si arricchirà quindi di un nuovo strumento: come sempre, sarà la prassi a dirci quale tipo di utilizzo, e di utilità pratica, esso avrà, e a dirci anche l’accoglimento che ne daranno i Tribunali di fronte ai casi che si presenteranno; di certo, le premesse e le finalità di questo strumento ci fanno ben sperare sulla scelta di soluzioni che sempre più vadano a tutelare la continuità dell’azienda, vero patrimonio di ogni impresa.