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Green pass tra amore e odio: cosa è stato e cosa sta per diventare
Post di Andrea Arcangeli, presidente di CrescItalia, azienda che si propone come cerniera fintech tra le PMI e i capitali non bancari, a supporto dell’economia reale –
Che il Green Pass sia uno strumento destinato inevitabilmente a sollevare polemiche è apparso chiaro una volta di più quando, il 22 febbraio scorso, esso ha rischiato di spaccare la maggioranza di governo. In sede di conversione del decreto-legge n.1 del 7 gennaio 2022, infatti, la Lega ha presentato un emendamento che avrebbe abolito del tutto il certificato verde dopo il 31 marzo, data in cui cesserà lo stato di emergenza. La proposta, che aveva il parere contrario dell’esecutivo, è stata poi respinta all’atto della votazione finale.
Nel momento in cui si scrive, dunque, i tempi per il superamento del Green Pass restano ancora incerti. Il 3 marzo 2022, intervistato a “Un Giorno di Pecora” su Rai Radio 1, il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri ha evocato, a partire da aprile, la rimodulazione dell’uso del Certificato fino alla sua abolizione, sebbene in modo graduale. Con la situazione destinata ad evolversi progressivamente con l’avvicinamento del 31 marzo, lo scopo di questo contributo è analizzare lo stato attutale del dibattito sulla legittimità del Green Pass, anche alla luce di alcune importanti pronunce giudiziarie intervenute nel mese di febbraio 2022.
Introdotto per la prima volta con il decreto-legge n.52 del 22 aprile 2021, il Green Pass (ufficialmente “Certificazione verde COVID-19”) è un documento digitale o stampabile rilasciato a chi sia guarito dalla COVID-19, si sia vaccinato contro la stessa, o abbia effettuato un test antigenico rapido o molecolare risultato negativo. Solo nei primi due casi, invece, è rilasciato un Green Pass “rafforzato”. Tale certificato è tuttora necessario, in Italia, per svolgere una serie di attività che riguardano, di fatto, la quasi totalità della vita sociale e civile. Le uniche eccezioni sono l’utilizzo di mezzi di trasporto pubblico non di linea o privati; la fruizione del trasporto scolastico dedicato; l’accesso ad esercizi commerciali che vendano beni essenziali o cibo da asporto; l’accesso agli uffici pubblici per esigenze primarie; la frequentazione delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie; e l’ingresso di utenti e accompagnatori nelle strutture sanitarie e sociosanitarie (incluse quelle veterinarie), incluse quelle dove si svolga attività riabilitativa o terapeutica.
All’infuori da questi casi, il Green Pass è obbligatorio in ogni circostanza, compreso l’accesso ai luoghi di lavoro pubblici e privati, disposizione introdotta con il decreto-legge n.127 del 21 settembre 2021 (convertito, con modificazioni, dalla legge n.165 del 19 novembre 2021). Ai sensi del già citato decreto-legge n.1 del 2022, in particolare, la versione rafforzata del Certificato è obbligatoria per tutti i lavoratori, a partire dai cinquanta anni di età, dal 15 febbraio fino al 15 giugno (ovvero, essi devono sottoporsi a vaccinazione o risultare guariti dalla COVID-19 nei sei mesi precedenti). Per tale fascia di popolazione, in generale, è in vigore l’obbligo di vaccinazione contro la malattia, pena un’ammenda pecuniaria una tantum del valore di 100 euro.
Sembra, quindi, inevitabile che uno strumento così invasivo fosse destinato a suscitare polemiche circa l’opportunità del suo utilizzo e la sua legittimità. Una diffusa tesi, ad esempio, sostiene che il Green Pass non sarebbe valido perché in contrasto con il Regolamento UE n.953 del 14 giugno 2021, che disciplina le Certificazioni COVID a livello europeo. Come noto, infatti, il principio del primato del diritto dell’Unione Europea su quello nazionale richiede che il primo prevalga sul secondo in caso di contrasto. Ora, il suddetto regolamento afferma esplicitamente che «è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate […].
Pertanto il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l’uso di uno specifico vaccino anti COVID-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati» (Preambolo, “Considerando” n.36).
Tuttavia, la tesi che vorrebbe fondare l’illegittimità del Green Pass su tale atto non tiene conto del fatto che esso si occupa della libera circolazione tra Stati membri dell’Unione Europea: quella all’interno dei singoli Paesi, invece, resta di competenza dei governi nazionali. Non a caso, l’articolo 11, par. 1 del Regolamento fa salva la «competenza degli Stati membri di imporre restrizioni per motivi di salute pubblica».
Altri critici, invece, fanno riferimento alla risoluzione n.2361 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (l’organizzazione internazionale cui fa riferimento la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo). Il documento, intitolato “Vaccini Covid-19: considerazioni etiche, giuridiche e pratiche”, esorta gli Stati membri ad assicurarsi «che i cittadini siano informati del carattere non obbligatorio della vaccinazione, e che nessuno sia sottoposto a pressioni politiche, sociali o di altra natura per vaccinarsi se non intende farlo», e che «nessuno sia discriminato per non essersi vaccinato a causa di possibili rischi per la salute o per non essersi voluto vaccinare» (punti 7.3.1 e 7.3.2). Anche questa tesi, però, pare irricevibile, dal momento che tale risoluzione è un atto non vincolante e, pertanto, non crea diritti che possano essere fatti valere davanti ad un giudice.
Al contrario, bisogna rilevare come, almeno in una prima fase, le pronunce giudiziarie italiane ed europee siano state generalmente favorevoli alla Certificazione Verde. Così, il 17 settembre 2021, una sentenza del Consiglio di Stato ha confermato la legittimità dello strumento, in quanto esso non violava la privacy dei ricorrenti e non sembrava arrecare loro un pregiudizio fondamentale. Con motivazioni simili, il 20 ottobre 2021, il TAR del Lazio ha respinto il ricorso di alcuni operatori scolastici contro la norma che imponeva loro il possesso del Green Pass per accedere al luogo di lavoro (Sez. III Bis, Ordinanza n.5705).
Su posizioni simili si è attestata anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il cui Tribunale (l’organo di prima istanza) in data 29 ottobre 2021 ha rigettato il ricorso presentato da una cittadina italiana contro le norme europee istitutive della Certificazione Verde, in quanto nessun argomento dimostrava «il carattere manifesto della presunta violazione» dei suoi diritti fondamentali (Causa T‑527/21 R, Considerato In diritto, par. 25). In precedenza, il 21 settembre 2021, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva fatto lo stesso con la richiesta avanzata da un cittadino francese, Guillaume Zambrano (Decisione n.41994).
Vale, comunque, la pena notare che tale pronuncia si fonda su motivazioni di natura perlopiù procedurale. In particolare, il ricorrente non aveva previamente esaurito i rimedi messi a disposizione dall’ordinamento del suo Paese (una delle condizioni per adire la Corte), aveva abusato del diritto di ricorso (in quanto, a seguito delle sue iniziative via social, l’organo si era ritrovato subissato da diciottomila richieste) e, soprattutto, non era qualificabile come “vittima” di una violazione della Convenzione dei Diritti dell’Uomo, in quanto, anche in Francia, il pass sanitario introdotto per lottare contro la COVID-19 poteva essere ottenuto con un semplice tampone negativo.
Quest’ultima circostanza, in realtà, era alla base anche di altre delle pronunce che abbiamo analizzato. Nel momento in cui essa viene meno, e quindi la Certificazione Verde si trasforma di fatto in un obbligo vaccinale (o, come per tutti i lavoratori ultracinquantenni d’Italia, viene imposto l’obbligo tout court) i problemi giuridici sollevati diventano inevitabilmente più complessi.
Al riguardo, se in ottobre il Consiglio di Stato aveva dichiarato la legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario (sentenza n.2045/2021), negli ultimi tempi, come anticipato nell’introduzione, la giurisprudenza sembra aver parzialmente cambiato rotta. Così, a inizio febbraio, il TAR del Lazio ha reintegrato in via cautelare la retribuzione di alcuni ricorrenti appartenenti al personale carcerario, che ai sensi del decreto-legge n.172 del 26 novembre 2021, ne erano stati privati in quanto non vaccinati (decreti nn. 721, 724 e 726/2022). Il medesimo organo, il 14 del mese, ha bloccato temporaneamente l’efficacia di alcuni provvedimenti di sospensione dall’incarico nei confronti di alcuni dipendenti del Ministero della Difesa (Sez. 1 Bis, decreto n. 919/2022). Quello stesso giorno, un’ordinanza del TAR Lombardia è arrivata a sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma che impone la vaccinazione obbligatoria del personale sanitario, a pena di sospensione dal servizio: nel mentre, il tribunale ha sospeso l’efficacia del provvedimento che aveva colpito la ricorrente, una psicologa lombarda, nella parte in cui non le consentiva di svolgere l’attività professionale in assenza di contatti interpersonali o, comunque, con modalità tali da non comportare il rischio di diffusione del contagio da Sars-Cov-2 (Sez. I, Ordinanza n.192/2022).
Naturalmente, si deve ritenere che eventuali pronunce sfavorevoli all’obbligo vaccinale generalizzato colpirebbero, prima o poi, anche il Green Pass, almeno nella sua versione rafforzata, che impone di fatto la stessa cosa.
In conclusione, pare inevitabile che, a mano a mano che ci si avvii verso la fine dell’emergenza, le misure eccezionali che sono state imposte per fronteggiarla vengano sottoposte a un vaglio sempre più severo. Visti i tempi della giustizia, c’è da attendersi che le pronunce concernenti tanto il Green Pass quanto l’obbligo vaccinale si susseguiranno anche quando entrambi non saranno più in vigore da lungo tempo. Nella speranza che giunga presto il giorno in cui tali misure di carattere straordinario non saranno più necessarie, il divulgatore non può fare altro che limitarsi a riferire lo stato del dibattito sulla questione, e lasciare al lettore il compito di formulare la propria opinione in merito.