Open innovation: ecco come le multinazionali possono essere startup

scritto da il 01 Marzo 2022

Nelle grandi multinazionali è sempre più forte la necessità di assomigliare alle piccole startup, assumendone quei tratti che rendono le aziende veloci nei cambiamenti di scenario del mercato globale e competitive nelle sfide per l’innovazione. Una delle possibili strategie per farlo è sviluppare incubatori interni, creare modelli innovativi per i reparti di ricerca e sviluppo e, più in generale, elaborare sistemi di open innovation.
Le open innovation sono iniziative che includono un sistema di pratiche con lo scopo di avvicinare le grandi organizzazioni alle start up. Ma come si avvia un progetto di open innovation in una multinazionale strutturata?

Quali sono i rischi e quali le opportunità?

Il crowdsourcing
Il modello più comune di open innovation è il crowdsourcing, ovvero un bando che prevedono premi per le iniziative o le idee più innovative che emergono. Il termine crowdsourcing si riferisce alla possibilità di utilizzare i contributi indipendenti di una
“folla” di persone(crowd) per uno scopo, senza che questi siano organizzati a priori in flussi di lavoro (rendendo quindi queste iniziative indipendenti ed aperte a gruppi di dipendenti o collaboratori esterni).

In altre parole il crowdsourcing prevede che tutti possano contribuire all’evoluzione di un’idea, fornendo punti di vista ed opinioni anche se l’idea stessa non è strettamente collegata col proprio lavoro o col proprio business.

Oggi il crowdsourcing è per le aziende un nuovo modello di open enterprise ovvero di impresa aperta: un insieme di modelli di business che si fonda sulla collaborazione di risorse sia esterne che interne, al fine di ottenere vantaggio in termini di competenza specifiche, costi competitivi e tempi di realizzazione.

L’open enterprise si rende necessario per sviluppare prodotti innovativi che necessitano di expertise globali, non accessibili dall’interno, oppure accessibili ma poco utilizzabili perché legate a procedure o sistemi già consolidati (che prevedono iter approvativi o processi poco compatibili con la velocità imposta dall’innovazione).

Questo modello si fonda sulla facilità di comunicazione globale, resa possibile dagli strumenti del web e del digitale.

Qualche esempio..
Esempi di crowdsourcing sono:

– la sfida da un milione di dollari che ha lanciato Zillow (società operante nel settore degli annunci immobiliari online) per migliorare i dati del proprio algoritmo di valutazione degli immobili (generando quasi 4000 proposte provenienti da 90 paesi diversi sviluppati da team internazionali).

– il progetto di co-creazione dei kit realizzato da Lego, che ha aperto ai propri clienti la possibilità di creare idee per proposte future (quelle che vengono selezionate, vengono poi realizzate riconoscendo una royalty dell’1% agli ideatori).

– il progetto “green X” di Nike (che mette a disposizione le proprie ricerche sui materiali ad altre aziende non operanti nel proprio settore fornendo le proprie “expertise” e mettendole a fattor comune per dare una spinta all’innovazione degli altri settori).

Foto di Viktor Forgacs per Unsplash

(Foto di Viktor Forgacs per Unsplash)

Opportunità e sfide
Le opportunità per le aziende sono enormi perché i progetti di open innovation favoriscono la contaminazione, l’accesso flessibile a nuove conoscenze/idee e la possibilità di reclutare talenti in un bacino molto più grande (senza dover ricorrere ad onerose selezioni e assunzioni locali).

Le sfide maggiori sono l’apertura verso nuove possibilità, la condivisione di informazioni riservate e l’acquisizione di una mentalità aperta del tutto nuova nell’ambito delle “big corporation”.

Si tratta, per i leader, di disimparare i vecchi modelli per acquisirne di nuovi, ponendo attenzione alle tendenze emergenti e sfruttando parte delle proprie energie per volgere il proprio sguardo verso un orizzonte più ampio.

Le difficoltà che si possono incontrare sono molteplici perché le multinazionali tendono spesso a concentrarsi più sugli scenari attuali, muovendosi in mercati già esplorati (di cui sono leader indiscusse), indulgendo in dinamiche statiche all’interno della propria zona di comfort e vedendo l’investimento nel crowdsourcing poco profittevole sul breve termine in cui troppo spesso sono misurate da logiche azionarie.

Un esempio?

Quando lo Yoga diventò una pratica globale, Nike (la stessa che poi anni dopo avviò il progetto “green X”) ed altre “big” del settore dell’abbigliamento, erano troppo concentrate sugli sport nazionali e sulle sponsorizzazioni celebri per accorgersi di questa tendenza minore che stava prendendo campo: questa “svista”, lasciò campo aperto a competitor minori che si inserirono velocemente nel mercato dell’abbigliamento per lo yoga costringendo le “big” a rincorse faticose (simili a quelle che le grandi aziende dell’automotive sono state costrette a fare nei confronti di Tesla per il passaggio dal motore a combustione a quello elettrico).

Questi esempi insegnano quanto, per chiunque voglia realmente innovare, sia fondamentale l’umiltà di scendere dal proprio piedistallo e consentire ai propri collaboratori o “stakeholders” di frequentare ambienti diversi… contaminandosi con clienti, competitor e realtà più piccole e allargando le proprie fonti ed il proprio campo di conoscenza.

Uscire dalla propria zona di comfort è però insufficiente; per fare vera innovazione è necessario sfidare le proprie credenze e comprendere quello che sta succedendo a livello globale: chi vuole fare un passo in avanti non deve limitarsi a prendere ad esempio la Silicon Valley, ma deve guardare con altrettanto interesse alla Cina che, da sola, detiene il 50% delle vendite online di tutto il mondo, sgretolando la convinzione radicata che sia Amazon il monopolista mondiale delle vendite online.

Le nuove tendenze riguardano sia prodotti che servizi: sono quelle che spingono le persone a noleggiare anziché acquistare, quelle di ordinare online anziché recarsi nei negozi fisici, quelle di accedere alla diagnostica da remoto, il crescente utilizzo della realtà aumentata e del metaverso, l’inflessione verso il digitale, i cloud, la domotica, l’uso del riciclo e del riutilizzo di beni di seconda mano, la tecnologia blockchain, la propensione verso il “chilometro zero”, le vacanze nel proprio paese o i “brand nazionali”, gli effetti della tecnologia sulla salute mentale, la necessità di maggior supporto e sicurezza psicologica negli ambienti di lavoro e così via.

(kugelwolf - stock.adobe.com)

Evocare la Blockchain (kugelwolf – stock.adobe.com)

Concentrandosi sulle tendenze attigue al proprio business di riferimento, è possibile chiedersi quali possono essere i prossimi sviluppi, quali gli scenari, quali le possibili conseguenze o le controtendenze.

Fare uno sforzo di immaginazione verso il futuro sarà la chiave per essere protagonisti nel processo di innovazione in corso. Così come lo sarà capire come mettere a frutto le proprie competenze per creare nuovi prodotti e nuovi business portando alla luce esigenze non soddisfatte proprio come hanno fatto Google, Apple e tutte le start up che sono poi diventate multinazionali.

In conclusione, per fare open innovation, le grandi organizzazioni devono cambiare i propri approcci, passando da una mentalità statica ad una mentalità dinamica, rinnovando la leadership ed aprendosi ad una contaminazione che sul lungo termine porterà ad una maggiore comprensione delle dinamiche in continuo cambiamento (aumentando, non solo la possibilità di sopravvivere, ma anche quella di essere motori dell’innovazione e fari per “mondo che verrà”).

Twitter @EnricoZanieri