L’anno delle criptovalute: è davvero una nuova età dell’oro?

scritto da il 21 Gennaio 2022

Post di Gianluigi De Marchi, consulente finanziario, giornalista e scrittore –

Sicuramente il 2021 ha avuto come protagonista assoluto il mercato delle cosiddette “criptovalute”, quegli oggetti ancora misteriosi che hanno fatto registrare un boom di diffusione e, in molti casi, performance incredibili.

Emblematico il caso di Shiba INU, una criptovaluta creata ad agosto 2020 da un certo Ryoshi, un nome di fantasia così come l’ormai famoso Satoshi Nakamoto, il presunto inventore di Bitcoin.

Il prezzo iniziale di Shiba è stato di 0,0000000001 (guardate quanti zeri prima dell’1…), il prezzo è schizzato alle stelle quando il 7 maggio, il direttore di Tesla, Hiromichi Mizuno, ha dichiarato su Twitter che “Non è un problema se gli investitori vogliono scambiare monete Shiba a breve termine ma non pensano nemmeno di fare lo stesso con i cani Shiba”. Musk ha risposto immediatamente: “Cercasi cucciolo di Shiba!”.

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Dopo la condivisione del tweet, il prezzo unitario di Shiba è salito del 1.400% rispetto al prezzo precedente. Oggi questa valuta che gira per Internet sotto il simbolo di un simpatico cucciolo di cane vale la bellezza di 0.00003179 euro, con una strabiliante performance di crescita di oltre il 300.000%!

Il bello è che nessuno sa bene se si tratti di una moneta o di un simpatico scherzo, visto che Shiba fa parte di una “famiglia” chiamata Erc 20, che comprende anche Leash (guinzaglio in inglese) e Bone (osso in inglese), tutti e tre inseriti in un processo automatizzato che promette ai possessori di guadagnare ricompense su base settimanale pari al 33%…

È la punta di un iceberg, che riempie migliaia di pagine su Internet; un fenomeno che sembra inarrestabile, visto che ormai le criptovalute esistenti sono quasi diecimila, e ne nascono come i funghi ogni giorno. Si pensi che il solo 8 dicembre, invece di godersi la festività, qualche fenomeno ha lanciato queste novità: API3, Bluzelle, Gods Unchained, Measurable Data Token, Immutable X, Ribbon Finance, Polkastarter.

(Foto di Kanchanara su Unsplash)

(Foto di Kanchanara su Unsplash)

Conviene fare un rapido esame di questo particolare mercato che nel corso del 2021 ha attirato tanta attenzione.

Cominciamo a chiarire che le criptovalute si chiamano così non perché sono “crittografate” (come si legge su varie fonti) e quindi implicitamente protette, ma perché sono “nascoste” nel web; l’origine del termine viene infatti dal greco, in cui krypto significa “nascondere”.
Anche la seconda parte del termine dà adito ad equivoci, perché “valuta” fa pensare ad una moneta, cioè ad un mezzo di pagamento, ad uno strumento finanziario; invece le criptovalute sono tutt’altro che moneta!

Pur essendo dei semplici “spazi crittografici” vaganti nella blockchain, chi ne sostiene la validità le presenta come concorrenti (o addirittura, in prospettiva, sostitute) delle valute oggi circolanti, da quelle ad utilizzo planetario (dollaro USA, euro, sterlina), a quelle di uso internazionale su aree ampie del pianeta (yuan, yen, rublo) a quelle di uso circoscritto ad un paese più o meno vasto (rupia, cruzeiro, bath).

Per cercare di rafforzare questa posizione, tutte le criptovalute usano immagini rutilanti, ricorrendo a tecniche di marketing e di comunicazione subliminale.

Avete mai notato come su Internet sono rappresentate Bitcoin, Ethereum, Dogecoin e le altre “consorelle”?

Monete d’oro scintillante, lingottini, blocchetti d’argento…

E sulla superficie, ben in vista, il simbolo della criptovaluta, facendo ben attenzione a scimmiottare i simboli delle monete più importanti: Bitcoin usa una B maiuscola, attraversata in verticale da due sbarrette parallele: il dollaro USA; Litecoin usa una L maiuscola con una barretta inclinata: come la lira sterlina…

Insomma, si vantano le caratteristiche straordinarie delle “valute digitali” ma, per farle accettare dal pubblico, si devono camuffare da “vetero valute”, quelle che secondo i nuovi profeti della finanza virtuale, sono destinate a sparire!

Domandiamoci: a cosa serve una moneta?

1 – Mezzo di pagamento

È possibile pagare una pizza utilizzando Bitcoin? La domanda non è fuori posto, poiché il primo acquisto al mondo è stato effettuato proprio per consumare due pizze a Miami! La risposta è sì, ma assaporare il prezioso piatto sfruttando la criptovaluta può essere complesso ed obbligare il potenziale consumatore a fare qualche centinaio di chilometri…

È possibile pagare un’auto nuova utilizzando Polkadot, Shiba o Dogecoin? Potete passare le ore su Internet a digitare la domanda, ma non troverete alcun esercizio commerciale o sito Internet che accetti di consegnarvi uno spillo in cambio di queste criptovalute…

E allora facciamo qualche considerazione sul tema.

Una moneta “fisica” consente di effettuare qualunque tipo di transazione commerciale in qualunque paese del mondo: pagare un caffè a Napoli, comprare una bicicletta a Shanghai, assaporare un’aragosta a Cuba è facilissimo. Si estrae dal portafoglio uno o più biglietti nella valuta locale (euro, yuan, peso) e si soddisfa il proprio desiderio. Chi aborrisse l’uso del contante, considerato primitivo oppure portatore di germi oppure simbolo di riciclaggio mafioso di capitali può utilizzare la carta di credito e, digitando un codice, autorizza l’addebito sul proprio conto corrente dell’importo dovuto.

Attenzione: poiché le monete hanno “corso legale”, il barista, il commerciante di biciclette o il proprietario del ristorante non possono rifiutare la vostra offerta di pagamento. Potrebbero nascere difficoltà se offriste yuan a Napoli, pesos cubani a Shanghai, euro a L’Avana (in realtà in questo caso il pagamento potrebbe essere accettato con gioia dello chef…). Ma altrimenti non avrete mai difficoltà entrando in qualunque negozio del mondo.

Come mai questa differenza?

Il fatto è che le criptovalute non sono, come vogliono far credere i loro sostenitori più accaniti, una moneta, perché sono accettati come mezzo di pagamento solo da chi li vuole: sono una “moneta distribuita libera” a circolazione limitata fra coloro che l’apprezzano.

Insomma, come mezzo di pagamento le criptovalute hanno utilità prossima allo zero! E pensare che all’origine proprio il Bitcoin (l’unica criptovaluta che ha una parvenza di mezzo di pagamento) era utilizzato esclusivamente per compravendite, da parti di giovani entusiasti del mondo virtuale, i nerds o i geeks, che amavano usare la firma digitale.

È interessante citare il parere di Christine Lagarde, Presidente della BCE, che a gennaio 2021 parlando del bitcoin ha affermato: “Certamente mi dispiace ma non è una moneta. Ha creato alcuni business divertenti e ha facilitato alcune attività poco oneste”.

Un po’ poco, essere divertente e facilitare attività poco oneste per essere una moneta…

2 – Mezzo di riserva di valore

Periodicamente i guru del grande crollo spargono fiumi d’inchiostro prefigurando la fine del vecchio mondo e la sua sostituzione con un’economia digitale, impalpabile, eterea.
I risparmiatori più prudenti sanno bene che non conviene mai concentrare tutti i propri risparmi in un unico strumento, fosse anche quello considerato più sicuro ed affidabile. Detenere solo BTP, oppure Treasury bonds americani o bund tedeschi è un investimento a basso rischio, ma non certo a rischio zero. Così come non sono a rischio zero i cosiddetti beni rifugio (oro, opere d’arte, francobolli ed altre forme non finanziarie di accumulo di riserva di valore).

Ma indipendentemente dalla forma dell’investimento, un punto è fondamentale: per accumulare capitale per il futuro occorre scegliere un paniere diversificato di beni aventi caratteristiche ben precise:

– stabilità nel tempo del prezzo, con una crescita tendenziale nel lungo periodo, per custodire il valore nel tempo

– valore uniformemente e mondialmente riconosciuto, per disporre di un bene utilizzabile ovunque.

– liquidabilità elevata, per consentire la monetizzazione in tempi brevi in caso di necessità

Possono le criptovalute adempiere tale funzione?

I prezzi delle 9.000 monete digitali hanno caratteristiche di volatilità estrema, con oscillazioni abnormi (il già citato Shiba è cresciuto del 500% in un giorno…) sia nel breve sia nel lungo periodo.

Il valore delle criptovalute non è uniforme (varia da una piattaforma di negoziazione all’altra) e non è mondialmente riconosciuto (vale solo se qualcuno lo accetta in cambio di moneta “tradizionale”…). Come già detto, nessuno è obbligato a cambiare un Bitcoin o un Ethereum in dollari.

La liquidabilità è scarsa, dipendendo in misura totalitaria dall’umore del mercato e dal trend del momento: nelle fasi di euforia è abbastanza facile vendere Polkadot, ma quando si entra in fase di panico, liquidare la posizione diventa molto problematico.

Veniamo alle conclusioni.

Se le criptovalute non servono come moneta e non servono come riserva di valore, a cosa servono?

La domanda può avere come risposta: “Potrebbero servire a speculare sui mercati non regolamentati, a spostare capitali da un paese all’altro senza controlli delle autorità valutarie, a riciclare fondi di dubbia provenienza”.

Sono tutte ipotesi. Ipotesi sostenute con forza da molti che vedono nelle criptovalute una fonte di “pulizia” di capitali derivanti da attività illegali.

La domanda più importante è: a parte la circolazione di questo nuovo “contante digitale”, dove finiscono i dollari e gli euro consegnati dalle folle di acquirenti di criptovalute?

Perché, dopo aver magnificato “le magnifiche sorti e progressive” del bitcoin e dei suoi simili, qualcuno cede il suo “tesoro” ritirando gli aborriti strumenti monetari tradizionali?

Ricordiamoci che su qualunque mercato, in contropartita di un compratore che crede di fare un affare c’è sempre un venditore che fa un affare…