categoria: Vicolo corto
Un fantasma si aggira (ancora) per l’Italia: il salario dei giovani
Post di Carlo Giannone, Strategy Consultant e Fondatore di Pillole di Politica –
Nel 2018, 117mila italiani hanno deciso di abbandonare l’Italia per questioni lavorative. Di questi, il 32% ha conseguito una laurea. Da anni ormai si continua a parlare della fuga di cervelli verso l’estero indagandone le cause e proponendo soluzioni temporanee quali bonus e sgravi fiscali. Nessuno tuttavia si concentra strutturalmente sulla prima ragione addotta dai giovani Italiani emigrati all’estero, il salario.
In Italia i salari non crescono più da molti anni. Secondo un sondaggio Ocse (Figura 1), tra il 1990 e il 2020 tutti i Paesi dell’area euro hanno avuto un incremento dei salari annuali medi attestatosi tra il 7% come nel caso della Spagna fino al 277% in Estonia. In realtà non tutti i Paesi, l’Italia non rientra in questa lista. Il nostro Paese detiene il triste primato registrando una decrescita del 2% dei salari annuali medi.
Figura 1 – Variazione salari annui medi 1990-2020
Vivere in Italia non sembra essere più sostenibile da un punto di vista economico, perlomeno non se si è un giovane under 30. Il nostro Paese è l’unico in Europa in cui i lavoratori under 40 sono pagati meno della media nazionale, con un evidente divario salariale rispetto agli over 50.
Il trend non sembra purtroppo migliorare. I giovani Italiani sono costretti attualmente ad inseguire tirocini non retribuiti o compensati al minimo sindacale pur di entrare nel mondo del lavoro. E se si decide di prendere come riferimento quella percentuale di neolaureati che riescono ad entrare in contesti aziendali internazionali, la situazione non tende comunque a migliorare. Il compenso per tirocinio rimane più basso di altre economie avanzate come Francia, Germania, Regno Unito a parità di costo della vita e similmente la progressione salariale in caso di assunzione a tempo indeterminato rimane alquanto piatta.
È lecito domandarsi la ragione per cui molteplici multinazionali americane tendano a offrire un compenso di 800-1.000 euro in Italia, a differenza di quanto accade in altri Paesi benchmark in cui il compenso si attesta a valori doppi o tripli. Le aziende si adattano al contesto italiano e riducono gli stipendi avendo davanti una vasta offerta di giovani disoccupati che accetteranno una proposta salariale al ribasso pur di inseguire la tanto agognata indipendenza economica.
La stagnazione salariale ha evidenti problemi per l’economia Italiana. Deprime i consumi e la domanda interna, riduce la produttività dei lavoratori, disincentiva gli investimenti di individui e famiglie a causa dell’insicurezza economica di lungo termine, stimola l’emigrazione degli Italiani all’estero.
Mentre i sindacati Italiani protestano per le pensioni e le imprese chiedono flessibilità, i giovani Italiani decidono sempre più di non sottostare a questa logica ribassista e scelgono di fuggire all’estero, in Paesi in cui il lavoro è correttamente retribuito e permette di risparmiare parte del salario.
Non è sufficiente ridurre marginalmente l’aliquota IRPEF cosi come non è pensabile che l’argomento di divergenza nel governo sia relativo, ancora una volta, alla pensione. I giovani Italiani meritano rispetto e meritano di poter ambire ai salari e alla progressione di carriera a cui i loro padri e nonni potevano aspirare negli anni ’60,’70,’80. Rilanciare l’Italia richiede un profondo lavoro di riforme sul mercato del lavoro. Questa missione può tuttavia essere perseguita con successo solo attraverso una nuova dinamica di partenariato tra governo da un lato e sindacati e aziende dall’altro.