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Come nuotare nel mare insidioso della consulenza finanziaria
Nel grande mare della consulenza finanziaria porta a porta, le cosiddette banche-reti (un nome che chiama facili ironie), nuotano pesci diversi, non tutti raccomandabili, alcuni pericolosi predatori, anche se una parte svolge un utile ruolo di accompagnamento e informazione. È tuttavia singolare che l’esame per diventare consulente finanziario sia gestito dalla associazione dei consulenti finanziari: sarebbe preferibile una valutazione esterna e terza.
Per un risparmiatore medio, l’ideale sarebbe tuffarsi in questo mare dopo aver acquisito una base minima di educazione e consapevolezza finanziaria, una base che non è purtroppo fornita dalla scuola, ma da una galassia di iniziative provenienti da soggetti diversi, che possiamo dividere in due categorie: soggetti istituzionali neutri e soggetti con conflitto di interesse. I primi sono quelli che istituzionalmente hanno una funzione informativa e educativa ( la Consob, la Banca d’Italia, il Governo, il giornalismo indipendente), i secondi sono collegati più o meno direttamente al mondo della finanza e agli emittenti di strumenti finanziari. I primi non vendono prodotti finanziari, i secondi si.
Quando si legge nei prospetti informativi l’espressione “potenziale conflitto di interesse” bisogna intendere “reale conflitto di interesse”. Un consulente finanziario con conflitto di interesse è spinto a proporre prodotti finanziari su cui lui o l’istituzione che rappresenta ha un maggiore guadagno, trascurando prodotti della concorrenza che per il risparmiatore, ma non per lui, potrebbero essere più fruttuosi. Inoltre, il consulente finanziario ha interesse a fare molte operazioni (le sue commissioni spesso dipendono dal numero di operazioni effettuate) ma per il risparmiatore quasi sempre la scelta migliore è non fare nulla, non muoversi. C’è comunque una regola vecchia come il mondo: la saggezza popolare diffida dell’oste quando parla di vino, e dell’agente immobiliare quando tesse le lodi di un appartamento, perché non diffidare anche in finanza?
I guadagni della consulenza finanziaria porta a porta sono stati esaminati in una recente ricerca che, pur provenendo da ambienti finanziari, merita buona reputazione per il giudizio impietoso sulle rendite pagate al settore dagli investitori : il 2% del patrimonio investito per i clienti piccoli (sotto il milione di euro), un po’ meno per la clientela private, quella sopra il milione. In pratica, un risparmiatore che affida 100.000 euro ne paga 2.000 di gestione. Per avere un rendimento occorre che il consulente/gestore realizzi più del 2%, altrimenti il risparmiatore perde capitale. Non stupisce che nel 2021 le banche-reti abbiano ottenuto risultati brillanti per i loro azionisti: ogni euro agli azionisti, tuttavia, è un euro in meno per gli investitori che hanno affidato i loro risparmi.
Tornando alla educazione finanziaria, una prima utile regola per selezionare i percorsi dovrebbe seguire la seguente domanda: chi educa/consiglia vende anche prodotti oppure no? Nel primo caso una sana dose di scetticismo è giustificata. Un secondo aspetto riguarda il linguaggio, un terreno su cui i consulenti finanziari si cimentano con espressioni che confondono più che istruire. Molti concetti finanziari potrebbero essere spiegati in modo semplice ma la finanza ricorre a parole difficili e espressioni oscure: è un vizio che potrebbe nascondere la malafede del venditore.
Nella finanza le parole dovrebbero essere importanti, perché la finanza si basa sulla fiducia e la fiducia si alimenta con la chiarezza. Eppure la terminologia finanziaria presenta curiosi controsensi e paradossi, come se qualcuno avesse provato a giocare con le parole per capovolgere il buon senso.
La storia economica qualche insegnamento ce l’ha dato, a cominciare dal termine banca: si chiamano banche perché qualcuno metteva in strada un banchetto, potevi vedere in faccia chi vi stava seduto e prestava denaro. Oggi molte banche non hanno più il bancone, per dire. Per rappresentare un debito la lingua italiana ha utilizzato il termine più semplice e significativo, il futuro del verbo pagare: un “pagherò” è un titolo che dice tutto già dal suo nome.
Molte energie degli operatori finanziari sono state spese per complicare le cose semplici e inventare parole e definizioni che confondono le idee ai clienti. Prendiamo il termine securitization: fa venire in mente sicurezza perché la radice è chiara: securitas, in latino, vuol dire sicurezza, quiete, tranquillità d’animo. La finanza usa securitization per indicare una operazione che produce, per chi la sottoscrive, tutto il contrario: i debiti rischiosi vengono impacchettati con altri, e poi rimpacchettati fino a che nessuno ci capisce più niente, cioè nessuno è più in grado di dire cosa c’è dietro quel “pacchetto”, che la finanza a volte chiama paniere, ma che con la semplicità del pane non ha niente a che fare.
Il vero nome di quello che la finanza chiama securitization dovrebbe essere, per chi compra questi pacchetti, complication, e anche obscuration, dal latino obscuratio (res contortam et difficilem reddo) altro che securitization! In italiano, si potrebbe dire impacchettamento: ma ve lo immaginate il promotore finanziario che dice al cliente:
“Ti ho preparato un bel pacco…ho usato le tecniche dell’alta finanza anglosassone della complication e dell’obscuration?”.
Twitter @fbecchis